La protesta dei trattori e quel solco tra politica e territorio

Entriamo nel movimento dei trattori che sta agitando l’Italia e l’Europa per capire le richieste e le differenze interne che lo agitano. Viller Malavasi (COPOI), uno dei capi della protesta intervistato da SenzaFiltro: “Avere prodotti green adesso significa averne di meno”

05.02.2024
La protesta dei trattori in strada

Dal 22 gennaio stanno occupando le città italiane con i loro trattori e la loro protesta. Sono gli agricoltori italiani, che sono riusciti a diventare la prima notizia del telegiornale e ad arrivare (con i loro colleghi europei) a protestare a Bruxelles, per chiedere in sostanza che i prodotti Made in Italy vengano tutelati. Cosa che, a quanto pare, non avviene a sufficienza, nonostante il governo di Giorgia Meloni abbia addirittura istituito un ministero apposito, che a quanto pare non ha funzionato (almeno secondo i diretti interessati). Così come si è interrotta la love story tra gli agricoltori e le associazioni di categoria, Coldiretti in primis.

Ma che cosa chiedono di preciso gli esponenti del movimento dei trattori?

Assieme a Viller Malavasi, modenese e a capo del COPOI (Coordinamento Produttori Ortofrutticoli Italiani) dell’Emilia-Romagna, abbiamo esaminato punto per punto la serie di richieste che i contadini italiani fanno sia a Bruxelles che a Roma, perché tra il movimento europeo e quello italiano ci sono anche delle notevoli differenze.

La protesta dei trattori in Italia: questione di prezzi e di mercati

Il tema attorno al quale girano molti dibattiti è quello dei prezzi dei prodotti italiani.

Secondo gli agricoltori negli ultimi anni hanno dovuto cedere il proprio prodotto a prezzi che non coprivano nemmeno il costo di produzione, a causa degli aumenti del costo delle materie prime, del gasolio e dell’elettricità, assieme a una burocrazia sempre più asfissiante e alle variazioni.

L’altro elemento che ha danneggiato l’agricoltura italiana è rappresentato dai limiti del mercato europeo. Le richieste ufficiali del movimento consistono nel riconoscimento del costo di produzione, nella modifica della legge 102/2004 che disciplina gli aiuti comunitari, e in un nuovo piano assicurativo nazionale. In questo caso secondo il COPOI sul banco degli imputati ci finisce non tanto l’Europa quanto l’Italia, che non avrebbe recepito la direttiva europea sulle pratiche sleali.

“Secondo la direttiva – dice Malavasi – quando non viene pagato in modo giusto il prodotto conferito, si dovrebbe applicare il valore che ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, N.d.R.) dà al costo di produzione, perché si tratta dell’unico ente statale che è in grado normarlo. Anche perché ci sono dei Paesi che organizzano una vera e propria concorrenza sleale, facendo pagare i prodotti sotto costo. Per tutelare i nostri prodotti si potrebbe tornare a una politica di dazi doganali; il modello potrebbe essere quello canadese, che tutela i prodotti locali. Il nostro obiettivo dovrebbe essere consumare prima tutti i prodotti italiani e poi quelli stranieri. Ma con i prezzi troppo bassi – a causa di pratiche sleali anche sulla manodopera – molti Paesi stranieri sono avvantaggiati. Oggi ai produttori italiani un chilo di pere costa dai 60 ai 70 centesimi, ma dai mercati esteri ne arrivano a 30 centesimi. La deroga all’uso dei fitofarmaci ce l’hanno le cooperative, che però arrivano a venderle a 40 centesimi”.

L’insostenibile sostenibilità dell’UE: “Avere prodotti green adesso significa averne di meno”

L’altro punto è quello che riguarda la transizione green, le cui regole applicate di colpo penalizzerebbero gli agricoltori italiani ed europei.

“Le impostazioni della UE, che hanno come obiettivo la sostenibilità ambientale, penalizzano la produttività. Il Farm to fork non può essere immediato.” Si tratta dell’abbandono dei fitofarmaci, che vengono utilizzati in molti Paesi dell’Unione: l’uso dei fitofarmaci protegge le colture dai parassiti e di conseguenza ne incrementa la produttività.

“Le imposizioni della UE di avere una sostenibilità ambientale, non possono esistere se mettono a rischio la produttività”, continua Malavasi. “È necessario avere un periodo di transizione per arrivare alla politica green dell’Europa. Avere da subito un prodotto salubre al 100% significa averne meno, perché negli ultimi anni siamo stati colpiti da popilia japonica, cimice asiatica, alternaria del pero e diversi altri problemi dovuti al cambiamento climatico, che hanno portato a un calo della produzione”.

Non è il governo degli agricoltori. Le altre richieste del movimento dei trattori

Il movimento dei trattori non si limita soltanto a intervenire sul prezzo delle merci, ma ha portato anche una serie di altre richieste all’attenzione del governo italiano. Tra le quali c’è l’accesso al credito per salvare le aziende in momentanea difficoltà per l’aumento delle materie prime, e una moratoria bancaria e fiscale al fine di consentire un po’ di respiro alle imprese dopo gli effetti nefasti delle tensioni geopolitiche ancora in atto. Ma le richieste toccano anche l’Europa, alla quale si chiede di rivisitare gli accordi bilaterali con i vari Paesi extra UE alla loro scadenza e di non togliere le agevolazioni sul gasolio che scadono nel 2026.

L’ultima richiesta è quella di essere ricevuti dal governo di Giorgia Meloni. Sebbene fin dall’inizio l’Esecutivo abbia puntato molto sulla tutela del Made in Italy e dell’agricoltura nostrana, sembra proprio che gli agricoltori non abbiano apprezzato quanto è stato fatto fino a questo momento.

“Abbiamo consegnato un documento – dice Malavasi – e chiediamo a Lollobrigida di difenderci dalle grandi lobby, ma finora non abbiamo avuto delle risposte. Abbiamo chiesto solo che l’Italia recepisse la direttiva europea contro la concorrenza sleale, cosa che hanno fatto tutti gli altri Paesi. Già nel 2019 era stato presentato un emendamento dalla senatrice Rosa Silvana Abate, che fa parte del COPOI, in cui si chiedeva di tutelare il costo di produzione”.

Alla base delle proteste c’è quindi la necessità di stimolare la politica andando oltre i simboli delle associazioni e dei partiti. “Abbiamo già diversi altri appuntamenti e ci presenteremo sempre con la bandiera italiana e non con quelle di partito o delle associazioni di categoria”.

Trattori divisi alla meta. E c’è chi cavalca le proteste

Alla fine delle proteste gli agricoltori sono arrivati a Bruxelles, ma non ci sono arrivati insieme. Infatti Coldiretti, Confagricoltura e CIA stanno da una parte e il COPOI dall’altra. E c’è proprio la Coldiretti nel mirino di quello che è stato ribattezzato movimento dei trattori.

“Noi protestiamo in Italia”, dice Malavasi, “e la Coldiretti con noi non c’è, ma loro vanno a protestare a Bruxelles, dove ci sono stati dei problemi di ordine pubblico. Noi continueremo a manifestare in modo lecito, legale e educato, perché non vogliamo fare qualcosa che disturbi i cittadini.

Non appena gli agricoltori si sono mossi in tutta Italia si è cercato di capire (assecondando un vizio tutto italiano) chi c’è dietro. Il primo paragone è stato quello con il movimento dei Forconi, che negli anni scorsi ha infiammato il Paese, ma che presto si è spento; infatti sono in molti a incitare gli agricoltori a non mollare e a non “vendersi come i Forconi”, appunto.

In alcune manifestazioni sono comparsi ex del movimento no vax, e molta scena è stata rubata dal CRA (il movimento degli “agricoltori traditi”), il cui fondatore è parte della galassia di estrema destra, no vax anche lui. Il COPOI, però, ha in più di un’occasione spiegato di essere nato dopo, nel 2022, e di fatto è un’associazione che non ha addentellati politici, anche se non sono mancati esponenti politici che si sono buttati nella mischia. La cosa curiosa è che sono tutti di partiti di Governo, come il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e l’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, entrambi della Lega.

 

 

 

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Photo credits: rtl.it

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