La dismissione della produzione di motori a combustione decisa dall’UE per il 2035 sta provocando licenziamenti a catena nell’automotive: è il caso della Bosch e della Marelli, a Bari. Sul tema abbiamo raccolto dichiarazioni in esclusiva di Pierluigi Bersani.
#Licenziarsi: QuitTok, le dimissioni si fanno social
Licenziati in diretta social o ripresi subito dopo le dimissioni: su TikTok è in voga un trend che racconta il rapporto di Millennial e Gen Z con il mondo del lavoro, fatto di incertezze, insoddisfazioni e profondi ripensamenti riguardo l’equilibrio con la vita privata
Per capire come i ragazzi vivono il lavoro basta aprire TikTok.
Hashtag molto popolari come #quittok, #burnout, #licenziarsi tracciano una condizione di insoddisfazione e precarietà, ma anche una voglia di rivalsa nei confronti di un sistema dove i lavoratori per troppo tempo hanno sopportato condizioni limitanti.
I video sono girati dai più giovani, come i Millennial, anche se è la Generazione Z a raccontare più di tutte cos’è, e soprattutto com’è complicato, lavorare oggi.
Guardami perdere il lavoro: Gen Y e Z si chiamano fuori
La camera vicina al viso, la voce tremolante, una frase che va dritta al punto: “Watch Me Lose My Job on TikTok”, “Guardami perdere il lavoro su TikTok”. Filmati in diretta o con stacchi dove si alternano lacrime, imprecazioni, riflessioni. Sono queste le caratteristiche di video che si rincorrono su TikTok, e che raccontano i licenziamenti di centinaia di lavoratori. Nelle ultime settimane, infatti, molte aziende, soprattutto americane dell’area tech, come Discord o Google, stanno licenziando in massa i loro lavoratori che, in una sorta di forma di protesta, o semplicemente come sfogo, stanno condividendo il loro punto di vista sulla questione.
Questo tipo di video ha sempre lo stesso format, l’utente si filma mentre sta per ricevere la notizia del licenziamento nell’ufficio delle risorse umane o in una videochiamata, o si prende un momento per raccontare a cose avvenute.
La prima a farlo lo scorso gennaio è stata una millennial, Folashade Ade-Banjo (trent’anni), che rivolgendosi alla videocamera ha detto “sto per essere licenziata e tu stai per vederlo”. Ha caricato un video di cinque minuti su TikTok annuendo con rassegnazione mentre veniva licenziata da una grande azienda tecnologica che non aveva più bisogno di lei nel reparto marketing. Il video ha rapidamente raggiunto mezzo milione di visualizzazioni e migliaia di commenti in poche ore. Subito dopo anche altri utenti hanno deciso di raccontare le loro esperienze.
QuitTok, un fenomeno anche italiano: la fuga dai lavori tossici
Il “Watch Me Lose My Job on TikTok” non è più legato solo a questa ondata di licenziamenti oltre l’Atlantico, ma è utilizzato per raccontare le testimonianze dei licenziamenti in tutto il mondo.
Sono molte anche le persone che nel nostro Paese svelano su TikTok le proprie vicissitudini legate al mondo del lavoro. Cambiano gli hashtag e il geotag, ma non la sostanza, perché si tratta di un fenomeno che si inserisce in un modo diverso di gestire la vita off e online.
Sempre più persone decidono di raccontare con un video il proprio licenziamento o le proprie dimissioni. Come nel caso di Isa (nome di fantasia), 29 anni, che aveva un contratto a tempo indeterminato in una piccola azienda a Londra, “un ambiente tossicissimo” dove predominavano sessismo e razzismo. “Le promesse fatte ma venivano mai mantenute – prosegue Isa – e non vi era alcuna apertura a migliorare nessuno di questi aspetti”.
Per questo Isa ha deciso di non volerci avere più niente a che fare. “Sono arrivata al culmine quando la mia manager totalmente ignorante in materia mi metteva i bastoni tra le ruote senza lasciarmi fare il mio lavoro. Mi sono licenziata in modo che il preavviso finisse prima di un viaggio di lavoro importante che non avevo nessuna intenzione di fare”. Una scelta non facile: “Non avevo un altro lavoro e sentivo di avere bisogno di prendere una pausa e ritrovare la libertà di poter pensare creativamente”.
La fine del lavoro arriva a volte inaspettata dopo una rassicurazione, come è successo a Laura (nome di fantasia), 26 anni, una delle tante fuori sede a Milano, che lavorava per un colosso del make-up ed è rimasta senza lavoro dopo essere stata rassicurata sul fatto che ci sarebbe stato un ulteriore contratto.
Mezz’ora prima della fine del suo turno da make-up artist le hanno detto che non avrebbe avuto un contratto come promesso: “Mi hanno detto che c’era stato un errore. Mi è crollato il mondo addosso, credevo veramente di poter andare avanti e crescere con loro e quando i tuoi sogni e le tue aspirazioni vengono spezzati così, pensi di non essere abbastanza”.
Quando le dimissioni sono consensuali
In molti scelgono di andarsene anche senza che la situazione sia grave, ma per la necessità di trovare una dimensione più in linea con se stessi, come dimostra la storia di Carolina, 25 anni, (nome di fantasia): “Lavoravo come sviluppatrice web a tempo indeterminato per un’azienda di Milano. Avevo però la clausola smart working nel contratto che mi permetteva di viaggiare. L’azienda su questo è sempre stata d’accordo e non mi ha mai dato vincolo di luogo e di rientro”.
Quando Carolina ha dato le dimissioni in realtà è andata bene: “La decisione è arrivata diversi mesi fa perché ero in un punto della mia vita in cui sentivo l’esigenza di essere indipendente. Di conseguenza ho iniziato a muovermi nella direzione di una partita IVA”. Prima però Carolina sentiva la necessità di uno stacco perché era arrivata a un punto in cui il tipo di lavoro e il carico lavorativo risultavano pesanti. “Mi sono confrontata con tante persone e tutti mi hanno detto che un periodo sabbatico è sempre positivo. Così poi a dicembre ho dato ufficialmente le dimissioni per prendermi una pausa prima di partire con l’attività da freelance”.
Non solo dimissioni o licenziamenti, ma anche la scelta di non proseguire, come racconta Michela (25 anni), che alla scadenza del contratto ha scelto di non rinnovarlo: “Ho lavorato in università un anno, è stato frustrante perché ho fatto pochissima ricerca e molti incarichi amministrativi, che nemmeno mi competevano anche se mi trovavo molto bene a livello umano”.
Di lì la scelta di andarsene per trovare qualcosa di più inerente al suo percorso: “Ho scelto di non proseguire, pur non avendo certezze su cosa sarebbe successo dopo, con l’ansia che questo può comportare da un punto di vista economico, ma ho preferito fare così che interrompere poi più avanti, poiché sapevo che avrei voluto fare altro”.
I Gen Z hanno troppa voglia di lavorare: otto ore e mezza in più alla settimana
Nell’attuale clima economico, la Generazione Z lavora troppo spingendosi sull’orlo del burnout, ma non è il solo problema: molto spesso si tratta di lavori svolti senza compensi adeguati, o addirittura senza alcuna retribuzione.
Il rapporto People at Work 2023 dell’ADP Research Institute, che ha intervistato 32.000 lavoratori in 17 Paesi, ha mostrato che le persone di età compresa tra 18 e 24 anni tendono a dedicare otto ore e 30 minuti in più di lavoro “gratuito” a settimana iniziando presto e rimanendo fino a tardi. Giovani che arrivano anche a lavorare durante le pause e l’ora di pranzo. Ciò a fronte di sette ore e 28 minuti per i lavoratori di età compresa tra 45 e 54 anni, e solo cinque ore e 14 minuti per quelli di età pari o superiore a 55 anni.
Secondo quanto emerge da un sondaggio condotto su un campione di più di 1.200 persone tra 20 e 50 anni da Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, i ragazzi della Gen Z desiderano lavorare per realtà che garantiscano soprattutto welfare ed equilibrio tra lavoro e vita privata. Il secondo è la motivazione più importante, ed è stata scelta dal 39% delle persone intervistate, seguita da formazione (29%), benefit (14%), brand reputation (11%) e clima aziendale (7%).
I lavoratori più giovani hanno dovuto affrontare un ambiente lavorativo difficile fin dall’inizio della loro carriera, dovendo fronteggiare un panorama occupazionale caratterizzato da una crescente flessibilità, ma anche da una notevole incertezza dettata da un’economia fragile. Già la pandemia da COVID-19 ha infatti accentuato e accelerato le trasformazioni già in atto nel mondo del lavoro, costringendo i giovani professionisti a navigare in un terreno in costante mutamento.
Uno dei principali aspetti che ha influenzato i giovani lavoratori è stato dover iniziare la loro carriera durante un periodo di turbolenze globali. La pandemia ha modificato in modo radicale le dinamiche lavorative, imponendo il lavoro da remoto, la digitalizzazione delle attività e nuovi modelli di collaborazione. Questi cambiamenti, sebbene abbiano offerto nuove opportunità, hanno anche portato a una crescente incertezza occupazionale e a un senso di precarietà, che adesso sta trovando i primi, molteplici sfoghi. Ma nessuno dica che i giovani, oggi, non hanno più voglia di lavorare.
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Photo credits: adeeali.com
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