Che c’importa di Di Maio, noi c’abbiamo Gabriel Attal

La nomina del trentaquattrenne primo ministro francese ha dato la stura a diversi commenti dalla superficialità imbarazzante sui giovani in Francia e in Italia. Quando si riporta la questione al contesto politico, però, le cose cambiano, e i due Paesi non sembrano più così differenti

12.01.2024
Incazzato di notte: l'autore Enrico Parolisi insonne con suo figlio neonato in braccio

La smania di dire banalità ha creato in questi giorni un cortocircuito su LinkedIn che ha il potere di svelare il dibattito social in tutta la sua vacuità. Protagonista inconsapevole di tale escalation imbarazzante è Gabriel Attal. Trentaquattro anni, in ascesa nei sondaggi, gay (non so perché ma i quotidiani italiani ci tenevano a ricordarlo finanche nel titolo), Attal è il primo ministro più giovane della storia d’Oltralpe.

Tanto è bastato a far sciorinare su LinkedIn lunghi, lunghissimi post sul fatto che l’Italia penalizzi i giovani mentre in Europa, beh, guardate! Un trentaquattrenne primo ministro! E guardate Sanna Marin in Finlandia! Buuuu Italia, buuuu!

Intanto qualcuno – dico qualcuno – inizia a commentare questi post provando a evidenziare nel bene e nel male il contesto politico in cui queste scelte si collocano – in una Repubblica presidenziale le cui redini sono in mano a Emmanuel Macron e che vede all’opposizione Marine Le Pen – e be’, lì accade il miracolo.

D’improvviso i commentatori, i pubblicatori di post dal facile impatto emotivo e dall’incetta di like come obiettivo di vita, ci tengono a sottolineare che le loro riflessioni sul giovane neonominato primo ministro non riguardano lapolitica”. In pratica, il commento alla nomina politica di un esponente politico presa per motivi politici nell’ambito del dibattito politico di un Paese che non è il nostro deve essere avulso dallo scenario politico del Paese stesso.

Un capolavoro di ignavia italiana a cui non possiamo fare a meno di applaudire. E che ci rende bene la misura di quanto lo straparlare social sia lontano anni luce dai circoletti del dopolavoro ferroviario dove lì sì che si parlava di come stavamo. Altro che discorsi motivazionali e post acchiappaclick lamentandosi facile un tanto al chilo. All’epoca nessuno avrebbe mai immaginato dire che “la politica non c’entra”. Che “questo non è un discorso politico”. Che “non volevo entrare nel merito politico” della cosa. Ma scherziamo?

“L’apoliticità non esiste. Tutto è politica”, recitava un vecchio adagio attribuito a Thomas Mann. La politica è ovunque. È nelle nostre scelte, è alle urne, è in ciò che ci succede. E parlando di lavoro in Italia, si vuole dire che la politica non c’entri un fico secco?

Allora, cari commentatori della domenica, mi rivolgo direttamente a voi: è arrivato il momento di mostrare che oltre al facile parlare le vostre elucubrazioni hanno fondamenta davvero deboli. Perché l’Italia, quell’Italia che sta davvero male a livello di giovani ma non certo perché non nominati primo ministro, può vantare un Luigi Di Maio da Pomigliano, classe 1986, ministro alla giovane età di 32 anni e solo per una mera casualità politica non Presidente del Consiglio (carica ben diversa da quella francese dove il presidente non ha gli stessi ruoli di Mattarella, per intenderci) alla stessa età (l’ingombrante presenza della Lega ha imposto poi il nome super partes dell’avvocato del popolo Giuseppe Conte).

E voi mi direte “vabbe’, che c’entra, sappiamo in che modo si è sviluppata la carriera politica di Luigi Di Maio, sappiamo in che contesto, mica è per tutti gli italiani così”. Proprio come in Francia. Uguale uguale. Solo che la questione politica francese l’avete derubricata come secondaria, nell’ansia di scrivere il vostro bel post su come non funziona l’Italia per i giovani.

Non solo avete sbagliato esempio, non solo avete azzeccato una figura grama, ma ritenere che “la politica” non sia inclusa in ogni aspetto del vivere civile, dei processi, delle decisioni, anche del vostro amato lavoro e del vostro ufficio, be’, spiega l’incapacità di scendere in piazza e di lottare per i giovani di cui volete parlare (male). Perché questa è la vera misura di quanto forse qualcuno non più giovane possa insegnarvi davvero qualcosa su questa “politica” che tanto vi spaventa nei vostri post, per paura di indispettire il CEO, il prospect o il responsabile delle risorse umane di turno.

Post scriptum. Giorgia Meloni, attuale Presidente del Consiglio dello Stato italiano, è diventata vicepresidente della Camera a 29 anni e ministro a 31 anni. E comunque l’Italia non è un Paese per giovani.

CONDIVIDI

Leggi anche

L’EGO© serious play©

“Non è più il tempo dei legami, ma delle connessioni” Luciano De Crescenzo  Nell’ubriacatura generale di iper connessione da cui nessuno è escluso (nemmeno il sottoscritto) diventa sempre più difficile riconoscere i Dottor Jekyll dai loro Mister Hyde. Giganti del post su Linkedin che presi in disparte, negli angoli dei buffet allestiti all’esterno dei convegni […]