In un momento in cui il dibattito sui costi dei concerti si concentra quasi solo sul prezzo dei biglietti, abbiamo voluto spostare lo sguardo dietro le quinte, parlando con una delle figure più autorevoli del settore indipendente italiano. A Giordano Sangiorgi abbiamo chiesto: è davvero possibile oggi organizzare un concerto in cui tutti vengano pagati in modo equo? E se no, perché?
“Oggi c’è questa tendenza ai grandi numeri, ai grandi prezzi, a un’offerta che prosciuga le risorse dei ragazzi e dei consumatori” sottolinea Sangiorgi, e prosegue: “In più, interrompe anche la carriera di artisti importanti del settore big delle major, oltre che occupare in maniera militare tutti quei piccoli spazi che le realtà indipendenti ed emergenti italiane si erano create, e che si stanno piano piano perdendo e diminuendo, sia con i club in autunno, sia con i festival in estate”.
Come presidente Audiocoop, fondatore del MEI, il coordinamento delle etichette indipendenti italiane, e già coordinatore del tavolo Musica, Sangiorgi mantiene stabilmente un dialogo con le istituzioni. Ma come si sta muovendo il Governo in questa situazione?
“Attualmente, per quanto riguarda la nostra realtà, siamo in una fase di approfondimento. Ha circolato proprio adesso, in questo periodo, il nuovo codice dello spettacolo dal vivo che si aspetta da 30 anni” risponde Sangiorgi. E aggiunge: “Verificheremo a ottobre tutte le proposte di integrazione e di modifiche che riguardano le realtà musicali, che vanno dal produttore al lavoratore precario. Noi avremmo voluto che il codice, come da promesse, fosse varato entro quest’anno. Così non è, quindi lavoriamo affinché venga varato entro la fine della legislatura”.
Passando al secondary ticketing, poi, il danno è evidente. Sangiorgi utilizza una metafora per descriverci quello che accade per via di questo meccanismo. È come entrare in un supermercato e – su uno scaffale dove ci sono varie offerte – trovare solo quattro o cinque prodotti delle stesse marche. Chi domina il settore non permette agli altri di diventare un’alternativa, non lascia più spazio.
“È quello che è già accaduto con la discografia, dove i tre marchi occupano oltre i tre quarti dello spazio per le loro produzioni, anche se queste ultime sono per l’80% indipendenti” spiega Sangiorgi. “Così come la piattaforma Spotify monopolizza il digitale europeo, emarginando tutto il settore indipendente ed emergente”. La stessa cosa sta accadendo con il live, quest’anno – secondo Sangiorgi – in maniera emblematica.
A vantaggio di tutta la filiera, infatti, sostiene il direttore del MEI, dovrebbe esserci un calmieramento dei prezzi e delle spese, oltre a una valorizzazione della musica non in termini di numeri, ma di qualità.
“In un Paese come il nostro, che si sta impoverendo, il rischio è che molti giovani abbiano i soldi solo per un grande concerto, e non gli rimanga nulla per i medi” dice. Per lui è ciò che rimane fuori – tutto quello che non emerge – che in realtà spesso fa innovazione musicale. Ci spiega che un giovane che fa nuovi brani non ha le risorse che c’erano quando esisteva il mercato fisico: oggi va su Spotify e non incassa nulla, il pagamento dopo mille ascolti è del tutto irrisorio, anche una canzone di un cantautore che va contro le mode correnti del pop, che dura più di due minuti, magari con un messaggio impegnato e che inserisce addirittura nei brani degli assoli.