Il Requiem per le bufale campane non deve più suonare

Il pilastro dell’economia di un territorio minata dalle politiche regionali: 180.000 bufale abbattute negli ultimi due anni nel Casertano, con 400 aziende coinvolte; ma solo una minima parte degli animali era malata. È ancora una questione di soldi? Le voci degli allevatori e di AltrAgricoltura in piena mobilitazione

08.02.2024
Un requiem per le bufale campane: custode di violoncelli in una stalla deserta del casertano

Chiediamo giustizia per gli animali, per le aziende, per il territorio.”

Ci sono mille modi per iniziare un articolo giornalistico, questo è insolito. Prendere un virgolettato a freddo, dandogli la responsabilità di aprire il varco dentro una storia che ha più di vent’anni, è rischioso. Accetto il rischio.

Solo nel Casertano, che sull’economia delle bufale ci ha costruito una storia, negli ultimi due anni ne hanno dovute portare al macello 180.000. 400 le aziende coinvolte. Brucella e TBC sarebbero le cause della strage. La brucellosi è una malattia infettiva che tramite il sangue può raggiungere milza, ghiandole mammarie, utero, testicoli: le brucelle hanno fretta di correre verso gli organi riproduttivi. L’80% dell’economia bufalina italiana sta in Campania, il restante 20% si divide tra basso Lazio, Puglia e Molise.

Delle 180.000 bufale macellate ingiustamente negli ultimi due anni, solo l’1,4% era affetto da brucellosi, di TBC appena lo 0,8%.

Quando un amico mi segnala di partecipare alla domenica di musica dentro le stalle della zona, a sostegno della protesta, non esito e parto, prendo la macchina, imposto il navigatore verso Grazzanise, una decina di chilometri da Casal di Principe che è centro nevralgico della produzione e della memoria.

Il cellulare che trovo da chiamare è di Maria Pia che non ha niente a che fare con gli allevatori ma supporta gli organizzatori, è lei che su WhatsApp mi manda la posizione esatta della stalla.

Requiem in memoria della strage di bufale è il titolo della giornata: si comincia alle 12 con la Violoncelliade di Luca Signorini e la sua ensemble di giovani, arrivo giusto in tempo.

La Violoncelliade del maestro Luca Signorini
La Violoncelliade del maestro Luca Signorini

 

 

Bufale abbattute per business: gli allevatori dal requiem alla mobilitazione

Gianni Fabbris è il coordinatore nazionale di AltrAgricoltura, il movimento che raccoglie allevatori e cittadini a tutela della sovranità alimentare e che fa da sindacato ai produttori. 

le parole citate a inizio articolo le ha dette lui a fine giornata, dopo tutti i concerti che hanno tenuto viva la protesta, dopo i saluti e i grazie, dopo gli interventi dei tanti musicisti e artisti venuti soprattutto da Napoli a metterci note, voce, facce, nomi. Con l’attrice Valeria Vaiano in prima linea. Mi aveva colpito l’ordine usato da Fabbris nel piazzare le parole: gli animali, le aziende, il territorio. Fa capire le priorità che abbiamo perso.

 

Al microfono Gianni Fabbris, Coordinatore nazionale di AltrAgricoltura
Al microfono Gianni Fabbris, Coordinatore nazionale di AltrAgricoltura

 

“Però quello di oggi è il giorno dei suoni e della musica, non delle parole. Il senso della giornata che ci ha chiamati qui non possiamo dimenticarlo: allevatori in mobilitazione da molto tempo. In particolare il nostro coordinamento è in campo dai primi di gennaio del 2021 con proposte, denunce, campagne di informazione. Se è passato questo tempo senza grandi risultati è perché è complicato, evidentemente, far arrivare il messaggio alla maggior parte dei cittadini. Abbiamo chiesto una mano agli artisti napoletani proprio per aumentare la risonanza di un problema che di fatto non viene risolto da quarant’anni e che sta dentro uno slogan brutto ma sincero: finché c’è brucella, c’è business.”

"Le bufale inquinano la falda, ma le stesse persone che lo dicono a pochi chilometri da qua vorrebbero fare un aeroporto. Ognuno di quei cargo che passerebbe qui sopra inquinerebbe più o meno come quattrocento stalle."
Gianni Fabbris, coordinatore nazionale di AltrAgricoltura

Parla di scorrerie e di avventurieri che avrebbero dovuto porre fine a un problema e che invece hanno consegnato il dramma di stalle chiuse come quella che ospita il Requiem per le bufale. “Non siamo qui per una pacca sulla spalla di solidarietà, non ce ne facciamo niente, siamo qui per chiamarvi con noi anche ai prossimi appuntamenti e per aumentare il carico di voce della protesta, perché non è solo un problema del Casertano ma è un problema di tutti, è la perdita di un patrimonio comune, nazionale. Vanno salvate le bufale e con loro il lavoro, i diritti, le vite, la cultura. E, scusate i vocaboli, ma fatemi aggiungere questa cosa che rasenta il colmo: la Regione Campania sostiene che l’ulteriore motivo per cui vanno chiuse le stalle, oltre alla brucellosi, è che le bufale cacano e pisciano troppo e quindi inquinano la falda, che pure è una questione da affrontare. Chi dice certe cose sono le stesse persone però che, a pochi chilometri da qua, a Grazzanise, vorrebbero fare un aeroporto, uno scalo merci coi cargo. Peccato che quei cargo, non tutti ma ognuno di quei cargo che passerebbe qui sopra, tirerebbe giù più o meno l’equivalente dell’inquinamento complessivo delle quattrocento stalle”.

Fabbris ha una voce che sembra venire da un ventre che bolle e ribolle. Azzarda, parla persino di destino dell’economia: quanto ardore devi avere in corpo per andarti a pescare due concetti così lontani – il destino, la filosofia, il pensiero, e l’economia, il profitto, la resa in numeri e guadagni – e farli sposare in una frase. Rincara parlando di consapevolezza condivisa e di coscienza.

“Oggi siamo qui perché abbiamo una trattativa aperta, non facciamo ammuina, abbiamo chiesto la nomina di un commissario e contiamo di ottenerlo solo se lo faremo insieme. Gli allevatori da soli non ce la fanno più, così come gli agricoltori ridotti ormai in Italia a una piccola cosa, eppure mangiamo tutti. Dobbiamo capire se ciò di cui vogliamo nutrirci è quello che passa nella maggior parte degli hard discount o dei supermercati in cui ci stanno costringendo ormai ad andare per risparmiare o nelle boutique del cibo infiocchettate per chi ha soldi. Oppure è arrivato finalmente il tempo di reclamare i diritti di una sovranità alimentare portata avanti da gente che lavora la terra e alleva animali da millenni, con rispetto, in una logica di sostentamento condiviso”.

Pasquale D'Agostino e tutti gli altri: dietro le quinte di una vita da allevatori

All’intervallo cerco di farmi spiegare il dolore da qualche allevatore che ha perso tutto. Intorno a me servono pasta e fagioli, salsicce e friarielli, vino bianco e rosso, mozzarelle di bufala che piangono latte e speranza. Mi colpisce un signore che fa avanti e indietro col cibo tra i tavoli e più la gente spinge per mangiare più lui confida nella mitezza. Quando lo incrocio una decina di minuti dopo, mi presento senza immaginare che fosse Pasquale D’Agostino, l’allevatore che ha messo a disposizione stalla e azienda per ospitare musica e protesta e che lo scorso autunno aveva aderito allo sciopero della fame per più di venti giorni.

L'allevatore Pasquale D'Agostino
L'allevatore Pasquale D'Agostino

 

La sua era un’azienda piccola e tenace, da quindici anni faceva genetica e selezionava i capi, le regole da rispettare sono sempre stati veri e propri sacramenti per lui. Fino al 2021 non aveva mai avuto casi di brucellosi, “finché tre anni fa mi hanno abbattuto tutti gli animali, centotrenta, perché quando si supera una certa soglia di contagi in stalla la regola è macellare tutti, anche i sani. Solo andando a Bruxelles ci hanno spiegato che la prassi della macellazione a tutti i costi della Regione Campania e dell’Istituto Profilattico non era assolutamente l’unica strada”.

Si è visto abbattere tutte le bufale senza che fosse mai stato isolato il batterio nella sua stalla perché non c’era batterio, non c’era malattia, non c’era motivo di farle morire.

Deve esserci altro, se per anni si sono ostinati a macellare pur potendolo evitare.

“L’Istituto Profilattico è cresciuto moltissimo, se dieci anni fa aveva centotrenta dipendenti fissi e una cinquantina a contratto, ad oggi è triplicato come numero di persone. Noi a dire il vero ci chiediamo cosa facciano, dato che non li abbiamo visti quasi mai assiduamente nelle nostre stalle a fare profilassi. Quando le mie bufale si sono ammalate c’era in vigore il piano normativo 207, precedente a quello attuale, e il termine previsto per la profilassi era di 21 giorni. Nonostante io fossi tempestivo e sempre in regola tramite PEC e sollecitazioni alla ASL, la prima volta tornarono da me dopo 37 giorni per ripetere il test, la volta dopo ne fecero passare addirittura 47 di giorni dal primo esame, la terza volta 58. Il tempo è tutto per evitare il propagare della malattia. Ci siamo capiti su cosa voglia dire i loro ritardo?

“Ma AltrAgricoltura non si è mai fermata negli anni, fino a supportare gli allevatori anche davanti alla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere con una denuncia che chiedeva anche le analisi post mortem dei capi. Analisi che di prassi per la brucella riguardano il 10% degli animali abbattuti: si procede con esami batteriologici più esami degli organi interni e del DNA. Su pressione della magistratura, le ASL tirarono fuori le tabelle dei dieci anni precedenti. Delle 180.000 bufale macellate ingiustamente negli ultimi due anni nel solo Casertano, solo l’1,4% era affetto da brucellosi, mentre di TBC appena lo 0,8%. Ricostruendo i numeri degli ultimi vent’anni, potremmo ipotizzare che la nostra Campania abbia perso circa 1 milione di capi. Una mattanza con cui in un colpo solo ci hanno tolto gli animali e dimezzato il valore economico delle stalle: rispetto al valore di circa 3.500/4.000 euro a capo, a noi viene riconosciuto solo un indennizzo di circa 1.700/1.800 euro, senza considerare costi ulteriori, uno su tutti quello per il successivo ripopolamento con animali di buona genetica.”

Chiedo a vari allevatori: quasi nessuno ha più le forze di cassa e di cuore per ripopolare. Di fondo non si fidano del sistema, temono che di punto in bianco li costringano a macellare ancora, e ancora, senza motivo.

“Siamo i primi a rispettare le regole sanitarie di profilassi e di gestione dei nostri animali perché viviamo con loro e grazie a loro. Se non fai profilassi, brucella e TBC si prendono le tue stalle. Negli ultimi vent’anni ci siamo sempre affidati alle politiche di eradicazione della Regione Campania e solo andando a protestare a Bruxelles abbiamo pure scoperto che i test che ci facevano fare come profilassi non erano sempre attendibili. Quando risultava dubbio, per la Regione Campania e per l’Istituto era una condanna a morte, ma a noi spiegarono che davanti a un test dubbio il test va ripetuto con una prassi chiara, semplice e precisa; ma anche costosa, il che la rende poco appetibile come prassi ordinaria, questo è chiaro”.

La Regione prima macella e poi fa domande. Ma dove finiscono i soldi degli indennizzi?

Il primo piano efficace di eradicazione delle malattie fu nel 2007, fino al 2011: la Campania partiva da un 20% di capi malati, un valore altissimo quando la soglia media UE è del 2%. Era stato dichiarato lo stato di emergenza della brucellosi e nominato un commissario straordinario: con fondi della Protezione Civile, in quattro anni riuscirono a ripristinare una normalità grazie a protocolli incisivi di vaccinazione e autocontrollo, vaccinavano persino i capi più adulti per avere la massima sicurezza. Nel 2011 scesero all’1%, dal 20% iniziale.

“Però poi tutto daccapo, da quel momento la Regione ha ripreso a manifestare le sue assenze e i suoi ritardi, in cui noi allevatori e sindacati ci vediamo solo strumentalizzazioni e nessun interesse a tutelare animali ed economie locali. Se le profilassi fossero veloci e corrette, tutto andrebbe bene. Noi siamo ligi alle regole, è la politica che non lo fa. Passata l’emergenza, la Regione nominò una task force dando incarico all’Istituto Profilattico di Portici, direttore Antonio Limone: è iniziato lì, più di dieci anni fa, il nostro dramma.”

“La prima decisione che presero, senza ragione, fu di togliere la vaccinazione a tutti i capi, piccoli e grandi. Così come ci tolsero la possibilità di fare autocontrollo costante, che certo non ci permetteva di fare esami del sangue specifici, ma forniva già parametri importanti di misurazione della salute degli animali e delle stalle attraverso verifiche sul latte o tamponi vaccinali. Da quel momento per loro l’unica profilassi ammessa era macellare”.

Dei fondi stanziati per i piani ufficiali di eradicazione imposti dalla UE, gli allevatori non sono mai riusciti a sapere quanti contributi incassasse la Regione Campania per ogni capo macellato. “Si vociferava tra i 7 e gli 8.000 euro, ma a noi di media non ci hanno mai dato più di 1.600/1.700 euro. Eppure sarebbero indennizzi ufficiali sulla base di tabelle ISMEA e parametrate in base a età, genere e stato della bufala”.

L’inefficacia delle politiche di eradicazione campane

Le 1.050 aziende del 2018 oggi sono 630, di cui 400 chiuse, senza animali. La maggior parte ha scelto di fermarsi, per ora anche Pasquale. Si è visto abbattere tutte le bufale senza che fosse mai stato isolato il batterio nella sua stalla perché non c’era batterio, non c’era malattia, non c’era motivo di farle morire.

Sembrava che a un certo punto la Regione si fosse resa conto del disastro quando iniziò a dire che aveva 17 milioni di euro disponibili per gli indennizzi da mancato reddito dal 2017 in poi; aveva persino fatto i calcoli pro capite alle aziende per ogni bufala. Invece sono ancora fermi, con l’ultimo piano quadriennale di eradicazione – il Piano 104, entrato in vigore l’8 marzo 2022 – che non ha per nulla dato i risultati sperati per via dell’inefficienza istituzionale. Simili piani, se ben fatti, danno il dimezzamento della positività per ogni anno.

“Eravamo partiti a marzo 2022 con il 18,7% di infetti da brucellosi e ad oggi, due anni dopo, la brucella sta ancora al 13%. Il primo anno era stato fatto un bel lavoro, arrivando appunto al 13%, ma c’è poca trasparenza da parte della politica anche sui conteggi degli abbattimenti, su come procedono. Al secondo anno la percentuale era ancora ferma al 13%, mentre la Regione continuava a ripetere che era scesa di un paio di punti. Diceva di non voler più procedere come in passato con gli abbattimenti totali nelle stalle perché ingiusti sia per gli animali che per gli allevatori. Invece hanno aspettato che si chiudesse il 2023, rimandando il conteggio che va fatto entro il 31 dicembre di ogni anno per poi riprendere, l’8 gennaio 2024, coi decreti di abbattimento totale in altre otto o nove stalle. Prima c’era almeno il termine di 15 giorni per tentare il ricorso e nel frattempo riuscire a sospendere il provvedimento, poi la Regione ha più che dimezzato i tempi utili per gli allevatori rendendoci di fatto impossibile la contestazione.”

"Nel 2002 i nostri animali entravano al macello come bufale – riconoscendoci il valore di 400/500 euro – e uscivano catalogate come bovino italiano adulto, con un valore di quattro, cinque volte in più. Fu un business scandaloso."
Pasquale D'Agostino, allevatore

I trattori degli allevatori di bufale si uniscono alla protesta nazionale

Gli allevatori campani stavolta vogliono andare avanti, fino alla fine, hanno bisogno di eco e sostegno nazionale. L’ultimo grande sciopero del comparto bufalino campano è di maggio 2023 con tutti i trattori in fila a bloccare la Domiziana, storica via di transito. Stessa data per l’ultimo tavolo al ministero della Salute, quando oltre a loro furono invitati anche i rappresentanti di tutte le associazioni di categoria – Coldiretti, CIA, Confagricoltura e Copagri – e tutti i parlamentari di ogni colore politico: non si presentarono né la Regione Campania, né l’Istituto Profilattico, né le associazioni. Il ministero annusò finalmente puzza di bruciato iniziando a chiedere conto dei circa 70 milioni euro dati negli anni alla Regione per eliminare un problema che non è mai stato eliminato.

La protesta degli allevatori di bufale sulla Domiziana
La protesta degli allevatori di bufale del 6 febbraio, da Casal di Principe al Casello di Santa Maria Capua Vetere

 

Quando stiamo per salutarci, Pasquale D’Agostino mi chiede se c’è tempo per dirmi un’ultima cosa per lui importante. “Faccio subito, fammelo dire. Non è vero che nel 2002 c’era il problema di come commercializzare la carne di bufala, a quel tempo c’era Pecoraro Scanio come ministro dell’Agricoltura. I nostri animali entravano al macello come bufale – riconoscendoci il valore di 400/500 euro – e uscivano catalogate come bovino italiano adulto, con un valore di quattro, cinque volte in più. Fu un business scandaloso, un accordo che coinvolgeva nomi quali Cremonini, noto industriale della carne, per portare volumi a tutto quel mercato degli hamburger e delle carni in scatola. E noi allevatori onesti sempre a subire, subiamo ancora”.

Intanto anche i trattori di queste zone sono in pieno fermento da giorni per aderire alla mobilitazione generale, qui guidati ancora una volta da AltrAgricoltura che vuole portare fino in fondo i padri delle bufale. Il corteo è partito da Casal di Principe fino a Santa Maria Capua Vetere.

Pasquale mi ha girato le foto della protesta e dell’allestimento del presidio, noto che su un cartello c’è scritto, enorme, la terra è vita, non distruggetela. Non ci stanno che a decidere di terra, animali, agricoltura e futuro siano burocrati e politici chiusi dentro uffici dove non tirano mai il vento e le stagioni, dove i soldi per loro si trovano sempre, dove le bufale non hanno mai paura di morire.

 

 

 

L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

 

Foto di Stefania Zolotti e del movimento AltrAgricoltura

CONDIVIDI

Leggi anche