Parla di scorrerie e di avventurieri che avrebbero dovuto porre fine a un problema e che invece hanno consegnato il dramma di stalle chiuse come quella che ospita il Requiem per le bufale. “Non siamo qui per una pacca sulla spalla di solidarietà, non ce ne facciamo niente, siamo qui per chiamarvi con noi anche ai prossimi appuntamenti e per aumentare il carico di voce della protesta, perché non è solo un problema del Casertano ma è un problema di tutti, è la perdita di un patrimonio comune, nazionale. Vanno salvate le bufale e con loro il lavoro, i diritti, le vite, la cultura. E, scusate i vocaboli, ma fatemi aggiungere questa cosa che rasenta il colmo: la Regione Campania sostiene che l’ulteriore motivo per cui vanno chiuse le stalle, oltre alla brucellosi, è che le bufale cacano e pisciano troppo e quindi inquinano la falda, che pure è una questione da affrontare. Chi dice certe cose sono le stesse persone però che, a pochi chilometri da qua, a Grazzanise, vorrebbero fare un aeroporto, uno scalo merci coi cargo. Peccato che quei cargo, non tutti ma ognuno di quei cargo che passerebbe qui sopra, tirerebbe giù più o meno l’equivalente dell’inquinamento complessivo delle quattrocento stalle”.
Fabbris ha una voce che sembra venire da un ventre che bolle e ribolle. Azzarda, parla persino di destino dell’economia: quanto ardore devi avere in corpo per andarti a pescare due concetti così lontani – il destino, la filosofia, il pensiero, e l’economia, il profitto, la resa in numeri e guadagni – e farli sposare in una frase. Rincara parlando di consapevolezza condivisa e di coscienza.
“Oggi siamo qui perché abbiamo una trattativa aperta, non facciamo ammuina, abbiamo chiesto la nomina di un commissario e contiamo di ottenerlo solo se lo faremo insieme. Gli allevatori da soli non ce la fanno più, così come gli agricoltori ridotti ormai in Italia a una piccola cosa, eppure mangiamo tutti. Dobbiamo capire se ciò di cui vogliamo nutrirci è quello che passa nella maggior parte degli hard discount o dei supermercati in cui ci stanno costringendo ormai ad andare per risparmiare o nelle boutique del cibo infiocchettate per chi ha soldi. Oppure è arrivato finalmente il tempo di reclamare i diritti di una sovranità alimentare portata avanti da gente che lavora la terra e alleva animali da millenni, con rispetto, in una logica di sostentamento condiviso”.