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Roma, lo Spettacolo rompe con la politica. Raimo: “È l’unica vera opposizione”
La nomina del nuovo direttore della Fondazione Teatro di Roma ha provocato una serie di proteste rimaste inascoltate: dall’assemblea dei lavoratori dello Spettacolo si profila una nuova stagione di gestioni indipendenti. Il punto della situazione con Christian Raimo, intervistato da SenzaFiltro
Sono più di trecento le persone – attivisti, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo – che il pomeriggio di domenica 4 febbraio si sono ritrovate da Spin Time, enorme palazzo occupato di dieci piani a Roma, in cui da un decennio vivono circa 150 nuclei famigliari per un totale di 400 persone appartenenti a decine di etnie diverse. I professionisti dello spettacolo si sono incontrati per parlare del futuro del Teatro di Roma–Teatro Nazionale e dei problemi che affliggono il settore della cultura e dello spettacolo, nella capitale e in tutta Italia.
Per farlo l’assemblea pubblica ha scelto un luogo simbolo dell’emergenza abitativa romana, e a cui il Comune non riesce a fornire soluzioni né risposte concrete; un luogo che nel tempo è diventato un centro di accoglienza e cultura, e che ospita al suo interno eventi, mostre, workshop, un coworking e una redazione under 25, oltre a offrire supporto burocratico e assistenza alle persone migranti che arrivano a Roma.
Luca De Fusco nuovo direttore generale della Fondazione Teatro di Roma. E i lavoratori dello Spettacolo insorgono
Quella di domenica è stata la quinta assemblea pubblica indetta da alcuni collettivi e lavorat_ dello Spettacolo (così si definiscono gli attivisti) da quando è uscita la notizia della nomina di Luca De Fusco come nuovo direttore generale della Fondazione Teatro di Roma (TdR).
Sessantasei anni, regista napoletano ed ex direttore del Teatro Stabile di Napoli (2011-2019) e del Teatro Stabile di Catania (2022-2023), De Fusco piace molto ai partiti di maggioranza, e per questo è incaricato dalla destra di ricoprire questo nuovo ruolo a Roma. Attirandosi però critiche da parte di tutto il centrosinistra e del Comune, per l’irritualità della nomina – avvenuta in un paio d’ore con il CDA della Fondazione presente a metà, mentre erano assenti il presidente Francesco Siciliano e la rappresentante di Roma Capitale, Natalia Di Iori – e l’indignazione di centinaia di lavoratori e lavoratrici del settore che operano nella capitale, contrari a questa scelta.
De Fusco ha replicato alle accuse e alle polemiche sulle pagine del quotidiano La Sicilia, dichiarando: “Sfido chiunque ad avermi visto a una riunione di partito. Mi si accredita un’amicizia con Gianni Letta, ne sono onorato. È una persona trasversale, vicina a chi fa questo mestiere”. Rispetto alle critiche sulle modalità in cui è avvenuta la scelta del suo nome tra 42 candidati, il regista ci ha tenuto a precisare che “[…] la riunione a quanto pare era legale in quanto prosecuzione di quella del lunedì precedente. In 25 anni di teatri stabili ho imparato che la regolarità delle sedute è garantita dalla presenza del collegio dei revisori dei conti, che c’era e l’ha ritenuta legittima”.
Eppure, la mancata presenza della delegata di Roma Capitale alla riunione decisiva per la sua nomina si è trasformata in fretta in un caso politico, per via del peso che il Comune riveste nella gestione dei teatri pubblici della città: la Fondazione dei Teatri di Roma viene infatti finanziata per circa il 60% dal Campidoglio, che le destina ogni anno 6,5 milioni di euro per garantirne l’attività, a fronte del milione e 100.000 euro versati annualmente dalla Regione. Ad oggi la Fondazione, costituitasi a maggio 2023, gestisce il Teatro Argentina, il Teatro India, il Torlonia e a breve anche il Valle, che riaprirà a inizio 2025, una volta conclusi i lavori di ristrutturazione iniziati a marzo 2023.
La non-soluzione della doppia nomina. Christian Raimo: “Deciderà tutto De Fusco, Gualtieri e Gotor si sono fatti fregare”
Per tamponare la situazione, sembra che Roma Capitale abbia trovato un accordo con la controparte attraverso una modifica dello statuto della Fondazione, che permetterebbe di prevedere due figure dirigenziali anziché una: quella del direttore generale affiancato dal direttore artistico. Indiscrezioni parlano di un cambio di nome per il direttore generale, mentre De Fusco passerebbe al ruolo di direttore artistico, con una funzione meno operativa e più da consulente.
Una scelta frutto di un compromesso politico che secondo Christian Raimo, scrittore, insegnante ed ex assessore alla Cultura del III Municipio di Roma, sarebbe però vietata dalla legge Tognoli del 1989, che prevede, per i teatri pubblici, la nomina di un solo direttore generale: “Potranno al massimo fare un consulente, ma resterà sempre De Fusco a decidere tutto, il sindaco e Gotor si sono fatti fregare. Mi sembra una scelta a ribasso e credo che questa città non meriti delle scelte al ribasso”, dichiara Raimo, raggiunto da SenzaFiltro.
“Non sono contro la politica dei compromessi, anzi penso che i negoziati siano importanti, ma allo stesso tempo ritengo che i rapporti di forza con questa destra siano molto ribaltabili, non soltanto con un accordo che in qualche modo risponde a quell’operazione squadrista, ma anche da un punto di vista amministrativo, politico e soprattutto di visione della città e di consenso. Non penso che De Fusco sia un fascista, ma penso che sia un uomo di teatro con una visione vecchia che non corrisponde a questa città: dopo tutto è abbastanza impressionante che arrivi un nuovo direttore in un teatro pubblico e si trovi davanti 400 persone che per una settimana ripetono ‘noi non ti vogliamo’.”
“Sono consapevole del fatto che il Comune è legato a doppio filo a questo Governo”, spiega Raimo. “A partire dalla riforma del Titolo V in poi, l’autonomia di Roma purtroppo è poca. Chiaramente Gualtieri è appeso per i finanziamenti per la città all’essere Commissario speciale per i Rifiuti e per il Giubileo, ed è chiaro che il Governo lo ricatta per questo, ma penso che da questa città debba prendere coraggio ed energia anche lui”.
Non si è fatta attendere la risposta del primo cittadino a chi lo critica di essere il fautore di un “accordicchio” e di “spartizione delle poltrone”: “Ho letto ricostruzioni fantasiose che hanno giudicato questa come una spartizione tra partiti: non c’è nessuna spartizione. Roma Capitale ottiene un riconoscimento fondamentale. Saremo ispirati dalla ricerca della professionalità migliore possibile, nell’interesse del Teatro di Roma. Si è evitato uno scontro giudiziario e politico che avrebbe avuto conseguenze difficili”.
Sui manifestanti interviene la Digos: “Grave frattura tra la comunità artistica e le Istituzioni”
Nel frattempo, martedì 30 gennaio ha preso corpo la protesta della comunità fuori dal Teatro Argentina di Roma, che chiede un cambio di passo delle Istituzioni sotto lo slogan “#Vogliamotuttaltro”. Ad accogliere i manifestanti la polizia in tenuta antisommossa e alcuni dirigenti della Digos. La stessa scena che si è ripetuta la sera successiva, sotto gli occhi sgomenti del pubblico in fila per lo spettacolo, di fronte al Teatro India, dove alcuni agenti della Digos hanno identificato alcuni degli attivisti e attiviste che stavano distribuendo dei volantini informativi sui successivi incontri pubblici in programma.
“La giornata di ieri segna una grave frattura nella relazione di fiducia tra la comunità artistica e le Istituzioni tutte, che hanno di fatto trasformato un necessario esercizio di democrazia in un improbabile problema di ordine pubblico” ha scritto il giorno seguente in un comunicato l’Assemblea costituente dei Lavorat_ dello Spettacolo. “Se il processo di nomina della nuova direzione che da domani sarà trasmessa ufficialmente attraverso la domanda del FUS, non può essere revocato, il nostro percorso da oggi procede autonomo verso l’immaginazione di un modello alternativo ed efficace di gestione delle politiche culturali di Roma”.
Un percorso, quello intrapreso dalla comunità dei lavoratori e delle lavoratrici dello Spettacolo, che sembra quindi prendere una direzione sempre più autonoma e distante da quella istituzionale, anche a seguito dell’incontro del 1 febbraio scorso in Campidoglio, alla presenza del sindaco Roberto Gualtieri e dell’assessore alla Cultura Miguel Gotor, che ha di fatto accresciuto l’insofferenza e la delusione degli artisti nei confronti del Comune e degli attori politici.
Che cosa si è detto nell’Assemblea costituente dei Lavorat_
Da queste premesse si è arrivati alla quinta assemblea pubblica, svoltasi all’interno di Spin Time, a cui hanno preso parte oltre trecento persone tra addetti ai lavori, maestranze, attivisti/e, e semplici cittadini.
I presenti si sono alternati per tre ore al microfono con interventi di circa tre minuti l’uno, portando ciascuno la propria visione, proposta o rabbia per la situazione pietosa in cui versa il Teatro di Roma e il settore culturale nell’insieme. C’è chi ha parlato addirittura di “disastro culturale”, istituendo un paragone di forte impatto con il “disastro climatico” con cui l’umanità si sta trovando a fare i conti in questi ultimi anni.
La riunione è partita dal casus belli (la nomina di De Fusco), per poi arrivare a riflessioni e proposte di carattere più generale, nazionale. Tra le altre cose, si è fatto riferimento all’eventualità delle dimissioni dell’assessore Gotor, alla lettera aperta firmata da oltre settecento artisti e artiste contro l’“accordicchio” tra Comune e Regione-ministero della Cultura, all’evasività del presidente della fondazione TdR Francesco Siciliano, che ha dato la sua disponibilità ai manifestanti solo a partire dalla primavera; tutto questo passando per la richiesta di trasparenza avanzata alle Istituzioni rispetto a tutte le vertenze presentate, alla questione del lavoro precario, alla mancanza di spazi e di finanziamenti per realtà giovani e indipendenti fino all’evocazione di esperimenti passati, come l’occupazione del Teatro Valle, che durò tre anni (dal 2011 al 2014) e che produsse numerose scintille e visioni lungimiranti sul futuro del teatro.
Oltre a questo sono emerse vicende recenti del mondo culturale romano, che presentano diverse similitudini con quanto accaduto con la Fondazione TdR. Per esempio le proteste, tra agosto e settembre 2023, degli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma contro il Governo, che ha voluto imporre i membri del Comitato Scientifico, e l’affidamento diretto dei fondi al Cinema Troisi da parte del Comune, a dimostrazione che i bandi pubblici non sono l’unica via di accesso ai fondi per la cultura, quando il Campidoglio lo ritiene necessario.
Diversi anche gli spunti e le provocazioni lanciati durante l’assemblea, come quella dell’attrice Silvia Calderoni, che vorrebbe chiedere al Comune “un’assessorato all’immaginario”, o quella di un’attrice del Teatro del Lido di Ostia, situato nella periferia romana, che rappresenta un esempio di gestione plurale della direzione artistica, eletta da ben 38 associazioni diverse del territorio.
Un’altra delle questioni emerse durante l’incontro è quella dell’inadeguatezza della classe politica: “In Campidoglio ci siamo trovate a interloquire con rappresentanti politici che non hanno saputo rispondere alle nostre domande. Le risposte ricevute sono state evasive e inconsistenti, a riprova del fatto che le Istituzioni pubbliche non sono in grado di intercettare le nostre esigenze, in qualità di protagonisti della vita culturale della città”, ha detto Lorenza di Campo Innocente, uno dei collettivi che prende parte alla mobilitazione.
“L’incontro con il Comune non è stata una nostra sconfitta”, ha aggiunto Marta Di Maio, membro del collettivo Autorganizzati spettacolo Roma e RSA (Rappresentanza Sindacale Aziendale) del Teatro di Roma per le CLAP (Camere del Lavoro Autonomo e Precario), “bensì una sconfitta del Comune, che non comprende la nostra modalità di porci e il nostro linguaggio, ma è bravissimo a fare accordi e accordicchi che passano sopra le nostre teste. Nel frattempo non dobbiamo stare fermi, ma costruire altro che si deve muovere nel dialogo assembleare, provando a immaginarci azioni che tengano vivo l’interesse da parte della cittadinanza”.
“Ci fa schifo il modo in cui si discute di politica, di cultura e di politiche culturali in ambiti come quello politico e istituzionale”, rincara la dose Christian Raimo, che si è fatto portavoce di questa comunità, “mentre la qualità degli interventi in tutte e cinque le assemblee che abbiamo organizzato fino a oggi è stata altissima. Al di là del nome De Fusco, il problema è il sistema, la spartizione di nomine e di poltrone.”
Se per i lavoratori dello Spettacolo il dialogo con la politica passa in secondo piano
La maggior parte dei presenti ha convenuto che è necessario intraprendere un percorso autonomo e autoconvocato.
L’istituzione di un tavolo di dialogo con le Istituzioni, sorde alle loro richieste e incapaci di comprendere la loro visione del sistema cultura, non è più l’obiettivo primario: “Vogliamo elaborare progettualità condivisa”, afferma una delle attiviste al microfono. Partendo “dagli spazi che resistono” e lavorando sull’autonomia, recuperando e riattivando gli “spazi indipendenti”. Primo tra tutti proprio il Teatro Valle, che potrebbe essere scorporato dal controllo della Fondazione TdR per attivare una gestione sperimentale e collettiva. È d’accordo con l’assemblea anche il consigliere comunale Alessandro Luparelli, che appoggia la rivendicazione di “uno spazio di ascolto e di confronto con la fondazione che sia permanente e riconosciuto dalle Istituzioni”, perché – dice qualcun altro – “il teatro pubblico è quello che lavora per la comunità”.
Per Raimo solo da quest’assemblea “può arrivare l’unica vera opposizione a questa nuova egemonia fascista o post-fascista, che è soprattutto un’egemonia cialtronesca, di poltrone, vecchia e maschilista. Io contesto sia il merito che il metodo di questa destra, che ha messo insieme il post-fascismo e il berlusconismo, che è al potere in Italia da trent’anni. Alle volte siamo stati bravi a immaginarci un mondo diverso, come la parentesi del Valle o la stagione dei ‘Beni Comuni’. Questo Governo non è però composto soltanto da una destra post-fascista, ma anche da una destra leghista, quindi fatta di piccole patrie, di razzismi e di corporativismo, e da una berlusconiana, che ha identificato la cultura liberale con la cultura di cooptazione e di degrado della morale pubblica. Queste tre culture insieme oggi costituiscono l’egemonia culturale di questo Governo. Per combatterla come comunità dobbiamo rivendicare una postura, uno stile di qualità del lavoro culturale e artistico, una dignità del lavoro. Quello che stiamo mettendo insieme oggi in quest’assemblea è il vero modello di opposizione: un lavoro sostenibile, adeguato ai tempi, riconosciuto e con dei diritti da rispettare”.
La riunione si è conclusa con la redazione di una serie di punti programmatici e con il rinvio a due nuovi appuntamenti pubblici: uno online previsto per venerdì 9 febbraio, aperto a tutti, per informare le persone che non vivono a Roma del lavoro che sta portando avanti il collettivo “perché i De Fusco sono ovunque, non solo a Roma”, e un altro in presenza, che si svolgerà sempre nella Capitale domenica 11 febbraio.
Teatri di Roma, le rivendicazioni delle CLAP sul personale esternalizzato e precario
Un altro dei temi sollevati durante le manifestazioni dagli attivisti e attiviste è quello della precarietà dei lavoratori dei teatri di Roma, che sono per la maggior parte precari ed esternalizzati.
Le dimissioni dell’ex direttore Giorgio Barberio Corsetti, la chiusura per la pandemia, il successivo commissariamento e infine il passaggio da Associazione a Fondazione nel corso dell’anno scorso hanno aggravato una situazione già fragile e complessa, come testimoniato anche dalla delibera della giunta capitolina del 6 aprile 2023, dalla quale emerge un bilancio in forte perdita e un alto tasso di precarietà del personale. Ad oggi il 40% circa dei dipendenti della Fondazione è precario, con servizi in parte (quello delle maschere di sala e di botteghino) o del tutto (quello di guardiania e di pulizie) esternalizzati.
A denunciare le condizioni di lavoro vergognose del personale è il sindacato delle CLAP, che ha partecipato alle mobilitazioni delle scorse settimane, con l’auspicio che le rivendicazioni relative alla difesa della stabilità e della continuità occupazionale del personale del Teatro di Roma vengano, se non accolte, almeno ascoltate dalle Istituzioni. Nello specifico, le CLAP chiedono ai nuovi vertici una risoluzione delle pendenze in essere dentro il Teatro in relazione alle forme contrattuali di precari e precarie; un adeguamento della pianta organica, con conseguente stabilizzazione e internalizzazione dei lavoratori precari ed esternalizzati della Fondazione; la formazione per la valorizzazione del personale e un aggiornamento sulle misure che intende prendere il Teatro rispetto agli episodi di comportamenti non consoni al contesto lavorativo già denunciati. “Non accetteremo che il pasticcio sulla nomina del Direttore gravi in termini economici sulla necessaria stabilità che il Teatro deve ai suoi lavoratori e lavoratrici”, si legge sul loro sito.
In sintesi, il fermento è alto su tutti i fronti, e dai tempi del dialogo si sta passando a quelli della mobilitazione – creativa, innovativa, culturale nel senso più trasversale che si possa immaginare. La sensazione è che siamo appena all’inizio: lo spettacolo, a Roma, ha deciso di fare da sé.
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