Sanità, all’Emilia-Romagna serve personale oggi, non strutture domani

La Regione è già provvista di buona parte delle strutture sanitarie previste dal PNRR, ma è già in debito di personale. Alcune voci da diversi professionisti locali del settore.

Il PNRR porterà in Emilia-Romagna un tesoro di oltre 529 milioni di euro, per la gran parte destinati all’ammodernamento informatico, tecnologico e delle strumentazioni sanitarie, e in misura minore ma sempre consistente alla realizzazione, riqualificazione e adeguamento strutturale delle unità territoriali destinate alla prima accoglienza e alla cura dei cittadini.

La grande assente, tra le voci di spesa finanziate dal PNRR, è quella relativa al reperimento del personale necessario a portare avanti strutture e servizi. D’altra parte il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede solo spese strutturali e lascia alle risorse e all’iniziativa delle singole Regioni l’onere di garantire ai presidi sanitari gli operatori necessari per il loro funzionamento.

Da Case della Salute a Case della Comunità: sulle strutture del PNRR sanità l’Emilia-Romagna parte avvantaggiata

Il problema di Viale Aldo Moro non è, dunque, quello di dotare il territorio di strutture. La delibera regionale 291 del 2010, infatti, aveva già istituito le Case della Salute, luoghi attraverso i quali i cittadini nelle ore diurne possono accedere alle cure territoriali, sia specialistiche sia di base, e che prevedono al loro interno anche servizi sociali. In realtà la situazione è molto variegata: la delibera è stata attuata solo in parte e non sempre sono presenti tutti i servizi previsti. Quando questi luoghi diventeranno Case della Comunità dovranno integrare i servizi attualmente presenti solo sulla carta, garantendo anche assistenza medica 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana.

Comunque, considerando che nell’intera Regione ci sono attualmente 127 Case della Salute, l’Emilia-Romagna da questo punto di vista parte con un buon posizionamento, e per sopperire al fabbisogno territoriale e attuare il PNRR, oltre ad ammodernare l’esistente, basterà realizzare “solo” 84 nuove strutture. Sulla riorganizzazione di questi servizi puntano soprattutto alcune aree, prevalentemente in distretti della montagna, che con il Patto della Salute voluto nel 2014 dal Governo Renzi (ministro Beatrice Lorenzin) hanno visto chiudere o ridimensionare i piccoli ospedali e si sono trovate sguarnite di presidi sanitari capaci di fare fronte alle situazioni più complesse. Un disagio enorme per la popolazione di queste zone, che è prevalentemente anziana.

Oltre alle Case, il PNRR prevede anche l’istituzione di Ospedali della Comunità (32 già esistenti, più altre 27 nuove strutture) per la presa in carico dei pazienti nelle fasi post ricovero ospedaliero e delle cronicità; poi 45 Centrali Operative Territoriali (COT) per coordinare la presa in carico del paziente, la sostituzione di apparecchiature ad alto contenuto tecnologico con più di cinque anni, 20 interventi per la transizione digitale degli ospedali e 14 per il miglioramento e l’adeguamento sismico delle strutture ospedaliere.

I medici mancano già, colpa dei contratti a tempo e del blocco del turnover

Insomma, per ora si sa quali sono i progetti finanziati dal PNRR, ma non come funzioneranno e di quanto personale avranno bisogno. E questo è il tallone d’Achille, il vero punto sul quale si misureranno l’efficienza e l’efficacia degli interventi previsti. Perché se una cosa è certa è che in Emilia-Romagna si sta verificando una emorragia di personale sanitario che, vuoi per pensionamenti, vuoi per scelte professionali che portano altrove (magari verso il privato), abbandona il sistema pubblico. Nei pronto soccorso regionali mancano ad oggi 340 medici su un organico di 855, ossia il 40% del totale. Alcune AUSL, come Ferrara, Reggio Emilia e Modena, recentemente sono state costrette a ricorrere a medici “a gettone” forniti da cooperative di servizi.

Già in epoca pre pandemia, nel 2018, ANAAO Assomed Emilia-Romagna aveva stimato per il periodo 2018-2025 un ammanco netto di 597 medici specialisti, dichiarando che il valore era comunque sottostimato. Poi è arrivato il COVID-19, e nella virtuosa Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, abbiamo assistito a una vera fuga di personale dal SSN. E così, oggi, le stime relative alla carenza di specialisti si aggirano intorno alle mille unità, mentre l’Osservatorio sui conti pubblici ha valutato che nel periodo 2022-2028 i medici di medicina generale in uscita saranno rimpiazzati soltanto per il 36%.

È con questi numeri, con questa incertezza, che la sanità regionale dovrà fare i conti per far funzionare i progetti finanziati dal PNRR. Certo è, invece, che il personale impiegato dovrà essere reperito e pagato dalla Regione, la quale nella sanità ha previsto un disavanzo di bilancio di 500 milioni di euro determinato dalle spese COVID-19 del 2021 non coperte dal Governo. Marco Blanzieri, segretario regionale della FP CGIL, parla di “sottofinanziamento complessivo” come causa della mancanza di personale.

“Tutte le province dell’Emilia-Romagna lamentano grosse carenze negli organici. I medici se ne sono andati perché erano stati assunti con contratti a tempo determinato che non potevano essere prorogati per il blocco del turnover stabilito dalla Regione alla fine dell’anno scorso, decisione dovuta alla mancanza di fondi”, dice Blanzieri.

Specializzandi assunti al primo anno e infermieri introvabili

Ma il problema non è soltanto economico. “Esiste un’oggettiva carenza di offerta di professionisti sanitari sul mercato del lavoro”, spiega Paolo Bordon, direttore generale della AUSL di Bologna. “Nella mia azienda mancano circa ottanta medici di medicina generale e quindici di pronto soccorso, per non parlare degli ospedalieri, soprattutto ginecologi e pediatri. Il problema è che non abbiamo abbastanza nuovi medici per coprire i posti lasciati vacanti da chi se ne va. Per ovviare a questo, già ora stiamo assumendo studenti specializzandi del primo anno, ma così arriveremo a colmare gli ammanchi solo tra quattro o cinque anni”.

E poi ci sono gli infermieri. Nei nuovi presidi della Comunità, un ruolo fondamentale sarà giocato dai cosiddetti infermieri di “famiglia e comunità”, che saranno le figure professionali di riferimento preposte ad assicurare l’assistenza ai pazienti e che, secondo gli standard delineati, dovranno essere almeno uno ogni 3.000 abitanti. Ma, anche qui, gli organici sono sempre più risicati.

“Oggi siamo al punto che, a parte quindici giorni di ferie all’anno, i riposi e gli altri periodi di vacanza sono in pronta disponibilità, il che significa essere sempre reperibili”, dice Francesca Batani, infermiera all’Ospedale Bufalini di Cesena e responsabile per l’Emilia-Romagna del sindacato Nursing Up. “Questo perché nessuno, negli ultimi anni, ha mai integrato le carenze di personale. Senza nuove assunzioni i casi sono due: o si chiamano quelli che già oggi fanno assistenza territoriale o si appalta il servizio ai privati”.

“Il PNRR non risolve i problemi contingenti” della sanità. E i privati stanno a guardare

Il timore è proprio questo, ossia che lo spazio lasciato scoperto dal pubblico per mancanza di risorse economiche e professionali venga occupato da operatori privati. A paventare questo scenario sono un po’ tutti gli attori in gioco, sindacati delle professioni sanitarie ma anche alcuni direttori generali delle AUSL emiliano-romagnole. A questo proposito ha le idee molto chiare Ester Pasetti, segretaria ANAAO Assomed Emilia-Romagna e responsabile di Psichiatria all’Ospedale di Piacenza.

Gli interventi del PNRR non risolvono i problemi contingenti, che sono gravissimi. Soprattutto non si parla di personale, sebbene gli interventi previsti dal PNRR necessitino di specialisti che operino nelle Case della Comunità. Non si tratta tanto di salari, quanto di condizioni di lavoro, perché chi opera oggi nella sanità pubblica deve fare troppo, e soprattutto deve fare cose per le quali non è stato assunto. Non è un caso che i concorsi ormai vadano deserti. Il disegno ci sembra chiaro: spalancare le porte ai privati, lasciando al pubblico le minime attività emergenziali destinate a chi non si può permettere altro.”

Andrea Rossi, direttore generale AUSL di Imola, dal PNRR ha ottenuto oltre 13 milioni di euro per adeguare i presidi del suo territorio. Anche lui, però, teme che tutti questi interventi restino solo un’operazione di facciata. “Per il personale ci sarebbe bisogno di ulteriori finanziamenti della spesa corrente, che sono assolutamente sottodimensionati, ma in questo momento non ci sono impegni coerenti in tal senso”, dice Rossi. “Il rischio è che si faccia un lifting a servizi che non funzioneranno. Non è solo una questione numerica, ma anche di riqualificazione delle risorse. Se non si interviene anche su questo aspetto si finisce col fare strada ai privati”.

Insomma: il 2026, anno in cui tutti progetti dovranno essere conclusi ed entrare a regime, sembra lontano. In realtà rischia di diventare una corsa contro il tempo, che non sarà scontato vincere.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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