Lo sciopero del cinema: l’Audiovisivo protesta sui contratti e sull’IA

Le motivazioni dietro le proteste dei professionisti del settore, adombrate dalla stampa: paghe misere, assenza di contratti e tutele e l’ombra lunga dell’intelligenza artificiale. Le opinioni di Francesca Romana De Martini di UNITA, Cinzia Mascoli di Artisti 7607 e Daniele Giuliani di ANAD

Sciopero del cinema: una sala cinematografica vuota

Quest’anno si respira un’aria diversa all’ottantesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il festival infatti si sta svolgendo nel pieno dello sciopero degli sceneggiatori e degli attori di Hollywood, che va avanti ormai da più di centoventi giorni. Per questo motivo molte star attese sul red carpet non sono volate a Venezia, e anche il film d’apertura, che doveva essere Challengers di Luca Guadagnino, è stato sostituito da Comandante di Edoardo De Angelis.

Al centro delle rivendicazioni degli scioperanti i salari troppo bassi, il lavoro di scrittura spesso non retribuito, i diritti d’autore e i cosiddetti residual non pagati adeguatamente, oltre ai rischi legati all’implementazione dell’intelligenza artificiale, che rischia di sostituire autori, sceneggiatori e creativi. Le critiche maggiori sono rivolte alle piattaforme di streaming, che hanno stravolto i ritmi e le condizioni di lavoro dei professionisti del settore.

Dopo oltre quattro mesi di sciopero, le trattive tra gli studios e gli sceneggiatori e gli attori di Hollywood sono ancora in alto mare e non è stato trovato un accordo soddisfacente tra le parti sul rinnovo del contratto triennale di categoria. A Venezia, però, il dibattito e l’attenzione mediatica sembrano tutti puntati sulle parole pronunciate da Favino riguardo all’opportunità di far interpretare nei film personaggi italiani da attori italiani. Così la questione dei salari e delle condizioni di lavoro dei professionisti dell’audiovisivo, molto più seria e urgente, scivola in secondo piano.

Questo tema era stato sollevato da Favino stesso lo scorso febbraio, durante il Festival di Berlino. In quell’occasione l’attore romano ha diffuso il comunicato stampa di UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), associazione di categoria che tutela, gli interpreti del teatro dell’audiovisivo, in cui venivano sollevati i problemi relativi al contratto collettivo nazionale.

“In Italia le lavoratrici e i lavoratori del settore cine-audiovisivo sono da mesi in attesa che venga rinnovato loro il contratto collettivo nazionale”, ha dichiarato Favino. “Le troupe, i tecnici, le maestranze e perfino gli stuntmen operano in assenza di regole condivise e di tutele moderne ed efficaci. Le attrici e gli attori italiani – unici in Europa – non hanno addirittura mai avuto un contratto collettivo di categoria che stabilisca diritti, doveri e minimo salariale, e questo perché le associazioni dei produttori non intendono sedersi a contrattare, impedendo di fatto il progresso del settore sia in termini di sviluppo industriale che dei diritti dei lavoratori”.

Gli attori senza un contratto nazionale scippati dei diritti d’autore

“Da quel momento – ci racconta Francesca Romana De Martini, attrice, formatrice, acting coach, membro e socia fondatrice di Unita – finalmente si è iniziato a parlare di una trattativa tra le parti sociali e le aziende per la stesura di un contratto collettivo nazionale di categoria. Oggi siamo a buon punto, ma ancora non siamo arrivati alla conclusione di questo lungo percorso”.

De Martini lavora come attrice in teatro, cinema e TV da oltre trent’anni, e dal 2011 insegna recitazione cinematografica presso l’Accademia nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e la Scuola d’Arte Cinematografica “Gian Maria Volonté” a Roma. Negli ultimi mesi si è impegnata con il direttivo di UNITA per la scrittura del CCNL per gli attori e le attrici nell’audiovisivo, assieme alla CGIL, che porta avanti la trattiva con le maggiori associazioni industriali di settore, ovvero ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali) e APA (Associazioni Produttori Audiovisivi). Unita sta infatti collaborando attivamente con il sindacato confederato sia per la stesura e l’approvazione del CCNL per l’Audiovisivo che per la revisione del CCNL per gli scritturati della prosa, scaduto ormai da più di cinque anni.

“Le problematiche che riguardano gli attori di SAG-AFTRA (il più grande sindacato degli attori di Hollywood, N.d.R.) che stanno scioperando negli Stati Uniti riguardano anche noi: quelli che per loro sono i residual, per noi è il diritto connesso”, spiega l’attrice.

I residual sono compensi pagati ad attori, registi e altri soggetti coinvolti nella realizzazione di programmi TV e film in caso di repliche, rilascio di DVD, streaming multimediale o intelligenza artificiale generativa. Negli USA i residual vengono calcolati e amministrati dai sindacati di settore come SAG-AFTRA, la Director’s Guild of America e la Writers Guild of America.

Nel 2019 è stata approvata la direttiva europea sul diritto d’autore, che riguarda anche il diritto connesso degli interpreti. Il nostro Paese ha recepito la direttiva in ritardo, con il decreto legislativo 177 dell’8 novembre 2021, entrato in vigore il 12 dicembre 2021. “Manca però ancora la definitiva messa a terra della legge e di fatto non viene applicata”, aggiunge De Martini.

Tu giri, io replico: i guadagni negati del diritto connesso

Esiste una serie di parametri che stabiliscono il valore del diritto connesso: la rete su cui va in onda il prodotto televisivo, l’orario, se si tratta della prima messa in onda o di una replica. Questi parametri non sono però presi in considerazione dalle piattaforme.

“Il recepimento italiano della direttiva europea afferma che le piattaforme sono tenute a fornire i ricavi e i dati sulle visualizzazioni ogni sei mesi, ma di fatto non lo stanno facendo. Senza queste informazioni come fa una collecting a quantificare la cifra da destinare all’artista?”, si chiede l’attrice. “Come UNITA siamo stati uditi alla Commissione Cultura del Senato sulla questione e abbiamo chiesto che le piattaforme rispettino le norme”.

Nella legge si parla anche di remunerazione adeguata e proporzionata ai ricavi, “ma se io non so quanto una piattaforma ha guadagnato nel 2023 in Italia e quante visualizzazioni ha fatto la serie in cui ho recitato, come faccio a sapere se il mio compenso è davvero proporzionato?”, sottolinea De Martini.

“In diverse audizioni in Senato abbiamo sollevato la questione, assieme ad altre realtà del settore, sull’importanza dei diritti connessi. È un tema che riguarda il futuro di tanti artisti e la loro sopravvivenza. È prima di tutto una questione di civiltà”, dichiara Cinzia Mascoli, attrice e presidente della collecting Artisti 7607, organismo di gestione collettiva dei diritti connessi al diritto d’autore.

“Questi diritti, al contrario di altri”, continua Mascoli, “non pesano sulle casse del Governo. Dal nostro punto di vista le istituzioni italiane dovrebbero adottare una posizione chiara sulla necessità di trasparenza delle piattaforme. Una questione che è stata sollevata anche in altri Paesi. In Francia, ad esempio, si sta parlando di introdurre una tassa dell’1,75% sui ricavi destinati agli interpreti della musica. Per il settore audiovisivo in Italia si parla invece di zeri virgola dei loro bilanci per pagare tutto il comparto. Se anche fosse solo l’1%, si tratterebbe di percentuali ininfluenti rispetto agli incassi che ottengono le piattaforme”.

Lo squilibrio di forze tra piattaforme e professionisti dell’audiovisivo: AGCOM e Governo immobili

Per Mascoli il problema della mancata trasparenza da parte delle piattaforme OTT (Over The TOP) nasconde al suo interno un’altra questione di grande rilevanza: “La maggior parte di queste piattaforme non presenta i loro bilanci in Italia per non pagare le tasse nel nostro Paese. In questo modo è difficile conoscere i ricavi di queste aziende, che hanno le sedi all’estero. È un fallimento sotto tutti i punti di vista: un grande business che porta milioni di euro nelle casse di questi giganti non genera benefici al Paese dal quale si ottengono questi ricavi, e non riconosce valore economico agli artisti”.

A conferma della gravità della situazione, nel 2022 una delle più grandi piattaforme di streaming al mondo, Netflix, ha versato al fisco italiano 55,8 milioni di euro in un’unica soluzione, a titolo di imposte, sanzioni e interessi accumulati e mai saldati tra l’ottobre 2015 e il 2019. “Se necessario porteremo Netflix davanti a un giudice”, dice Mascoli. “Bisogna creare un precedente storico, che al momento non esiste in Italia”.

I rapporti di forza tra piattaforme e professionisti sono molto sbilanciati, al momento: “Dovrebbero essere il Governo e le istituzioni a controbilanciare queste asimmetrie. Questo è un tema che è già stato sollevato per gli interpreti della musica e per i diritti d’autore, come nel caso SIA-Meta, dove l’Antitrust ha parlato di dipendenza economica dalle piattaforme da parte delle collecting, che, in mancanza di dati, sono costrette ad accettare offerte al ribasso. Perché lo stesso discorso non dovrebbe valere per gli artisti?”, si chiede Mascoli.

“Purtroppo al momento non riscontriamo una posizione ferma né da parte dell’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) né da parte del Governo”, conclude.

Doppiatori, il contratto è scaduto da più di dodici anni

Non se la passano meglio i doppiatori, che tra febbraio e marzo scorsi hanno incrociato le braccia per tre settimane. Tra i motivi che hanno portato allo sciopero la richiesta di rinnovo del contratto collettivo di settore, fermo al 2008, e il riconoscimento della loro professionalità.

“ANAD ha un ottimo rapporto con Netflix. Personalmente non ho mai avuto difficoltà a relazionarmi con i rappresentanti italiani della piattaforma statunitense”, dichiara Daniele Giuliani, presidente di ANAD (Associazione Nazionale Attori Doppiatori).

“Spesso si tende a crocifiggere le piattaforme come se fossero il male. Di sicuro ci sono meccanismi che possono essere strutturati meglio, ma è anche vero che le piattaforme rappresentano una risorsa straordinaria per il nostro lavoro. I problemi sono nati più che altro con i referenti stranieri delle major, che più volte hanno provato a inculcarci il loro metodo di lavoro, molto diverso dal nostro. Ci chiedevano di impiegare meno giorni per portare a termine il lavoro, tutto doveva essere fatto di fretta. Io credo però che qualità e velocità non siano mai buone amiche. I ritmi produttivi frenetici rischiano di diventare un problema che lede la qualità dei prodotti”.

I doppiatori sono coperti dal CCNL, che però è scaduto dodici anni e mezzo fa ed è stato scritto ormai quindici anni fa. Entro la fine del mese di settembre dovrebbe essere finalmente rinnovato. “È un contratto che dev’essere assolutamente aggiornato – dice Giuliani – perché, ad esempio, non prevede le piattaforme, che all’epoca non esistevano”.

I rischi legati all’intelligenza artificiale: “Chiediamo un bollino per i prodotti realizzati senza AI”

Per ANAD l’aspetto salariale non è quello più urgente: “Puntiamo più che altro a una riduzione della produttività: fare meno, ma meglio. Se non saremo bravi a mantenere alto il livello qualitativo del nostro lavoro, verremo presto soppiantati dall’intelligenza artificiale”.

L’applicazione dell’IA al doppiaggio è ancora agli inizi e non spaventa troppo la categoria, per lo meno in Italia: “A oggi il limite principale dell’IA riguarda l’intonazione: non ci sono sfumature”, spiega Giuliani. “Visto che questo è un lavoro fatto di emozioni, noi umani, per fortuna, siamo ancora insostituibili da questo punto di vista. L’aspetto più bello delle professioni creative è proprio l’errore, la componente umana. L’arte è bella nelle sue imperfezioni, perché altrimenti saremmo tutti uguali, proprio come dei robot”.

Il 23 aprile scorso ANAD ha incontrato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che si è mostrato aperto al dialogo sul tema. “Da quel giorno, però, non l’abbiamo più sentito”, afferma il presidente di ANAD. “Ho saputo però che ci sono altri ministeri che spingono per un utilizzo dell’IA sul territorio italiano, sia per non apparire retrogradi, sia per utilizzare i fondi europei messi a disposizione sul tema. Noi come associazione non vogliamo arrenderci: chiediamo alle istituzioni di ideare un bollino di autenticazione da apporre sui prodotti che non sono stati realizzati con l’ausilio dell’IA, di fermare il machine learning che si alimenta in maniera illecita, e in generale di normare tutto ciò he ha a che fare con l’IA”.

Anche UNITA è preoccupata dai rischi legati all’implementazione dell’IA. “Gli attori americani sono stati toccati in maniera preponderante dal problema, perché nel rinnovo del contratto gli è stato chiesto di utilizzare la loro immagine per un tempo infinito”, spiega Francesca Romana De Martini. “Se passa questa norma, è un attimo che la situazione sfugge di mano. Per questo, anche noi ci stiamo attivando in questo senso: nella trattiva per il nostro contratto collettivo nazionale, stiamo cercando di far inserire una normativa sull’intelligenza artificiale a tutela degli attori”.

Ritmi sempre più veloci e paghe misere per gli attori

Con l’arrivo delle piattaforme sul mercato dell’Audiovisivo, i ritmi e le modalità di lavoro dei professionisti del settore sono cambiati in modo radicale: si richiede loro totale disponibilità in cambio di compensi mediocri e sempre maggiore velocità nella realizzazione del prodotto, spesso a discapito della qualità.

“Agli attori americani viene richiesta la totale disponibilità a lavorare per una serie, senza la possibilità di prendere altri lavori da seguire nei momenti di pausa”, spiega De Martini. Se però non possono accettare altre offerte di lavoro né ottenere i residual, come fanno a sopravvivere questi attori durante i mesi in cui non lavorano? Per quanto riguarda gli attori italiani il problema è ancora più grande, perché noi non abbiamo un contratto collettivo nazionale che ci tutela. In Italia si pensa che gli attori guadagnino tutti tanto, ma in realtà la stragrande maggioranza degli attori che ricoprono ruoli medi (come i protagonisti di puntata) riceve delle paghe misere. Inoltre ci viene richiesta massima disponibilità: io, ad esempio, lo scorso anno sono dovuta restare disponibile quattro mesi per una serie tv, in cambio di pochissimi giorni effettivi di lavoro. Quella disponibilità dev’essere pagata, altrimenti diventa difficile incastrare altri impegni di lavoro. Se tu produzione non vuoi pagarmi questi tempi morti, allora devi imparare a organizzarti meglio con i piani di lavorazione, riducendo la finestra temporale richiesta per la disponibilità, come già accade in Gran Bretagna”.

Gli attori vengono in genere pagati a posa, ovvero a giornata di lavoro. Il compenso varia moltissimo in base alla notorietà e all’esperienza dell’attore: “In alcuni casi pagano 400 euro a posa, in altri 1.200”, afferma De Martini. “È chiaro che l’attore che prende 400 euro a posa fa la fame. Faccio un esempio pratico: un attore a cui vengono richieste cinque pose nell’arco di quattro mesi di lavoro prende 2.000 euro totali, ovvero 500 euro al mese. Per risolvere questo problema, nella proposta di contratto collettivo che abbiamo presentato è prevista anche un’indennità di disponibilità che la produzione deve versare agli attori nei momenti in cui non è richiesta la presenza sul set. Per questo motivo per noi l’approvazione del CCNL per l’Audiovisivo è molto importante, perché darebbe finalmente una dignità al nostro lavoro”.

L’indennità di discontinuità? “Va cancellata e riscritta da capo”

Intanto il 28 agosto il Governo ha approvato lo schema di decreto legislativo, su proposta del ministero della Cultura, inerente al riordino degli ammortizzatori sociali, che prevede l’introduzione di un nuovo strumento: l’indennità di discontinuità.

Una misura destinata ai lavoratori del settore dello spettacolo, con redditi inferiori a 25.000€, che eroga un terzo delle giornate lavorate in un anno, per un minimo di 60, per un importo giornaliero non superiore a 53,96 euro, accreditabile in una sola soluzione nella prima metà dell’anno successivo. Lo scopo, almeno sulla carta, è quello di sostenere dal punto di vista economico i lavoratori dello spettacolo durante le fasi di inattività o nei periodi tra un lavoro e un altro. Entrerà in vigore dal 1° gennaio e sostituirà l’ALAS (indennità disoccupazione lavoratori autonomi dello spettacolo), attualmente in vigore.

La misura è stata molto criticata dalle associazioni di categoria e dai sindacati del settore, perché offrirebbe condizioni peggiorative rispetto agli ammortizzatori sociali già esistenti, come la NASpI, e perché in contraddizione con la Legge Delega dello Spettacolo nella quale è contenuta, che prevedeva il riordino delle misure sociali esistenti verso una soluzione risolutiva e migliorativa.

Siamo assolutamente delusi da questo decreto: dev’essere cancellato e riscritto daccapo”, dichiara De Martini. “L’indennità di discontinuità si ispira alla legge per gli intermittenti dello spettacolo che esiste in Francia. Si basa sull’idea che un artista, quando non è sotto contratto, di fatto lavora per creare la sua prossima opera o per preparare il prossimo spettacolo. Quello che invece ha licenziato il Governo è un mero bonus. Nel momento in cui viene stabilito che il massimale di guadagno per accedere all’indennità è di 25.000 euro per 60 giornate di lavoro continuative, si stanno implicitamente escludendo tutti i professionisti dell’audiovisivo, che non lavorano a questi ritmi e guadagnano spesso più di quelle cifre in sessanta giorni di lavoro consecutivi. Si tratta quindi di un bonus destinato a quelle figure del comparto che lavorano poco o che sono mal pagate (guardarobieri, maschere, ecc.), ma che non hanno bisogno della discontinuità, perché hanno tempi e modi di lavoro del tutto diversi da quelli degli attori e dei performer. La discontinuità ha senso solo se io attore, quando non sono sotto contratto, ricevo un contributo dallo Stato perché continuo a creare cultura. Sempre se la Cultura rappresenta ancora un valore aggiunto nel nostro Paese”.

 

 

 

Photo credits: pro-fire.org

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