Dite alla scuola che il lavoro l’ha cercata

Disallineamento tra competenze e offerte di lavoro: troppi percorsi di studio e poco orientamento. Ne parliamo con l’esperto di formazione e politiche del lavoro Eugenio Gotti.

Il mondo dell’impresa in Italia lamenta da anni il disallineamento tra quanto richiesto ai giovani in termini di conoscenze, abilità e competenze, e l’offerta effettiva dei profili a disposizione. Una condizione che si traduce nella presenza in Italia di dieci milioni di lavoratori male assortiti”, ovvero sotto o sovraqualificati rispetto al lavoro svolto (dato Boston Consulting Group).

Il paradosso italiano è che, a fronte del permanere di alti tassi di disoccupazione giovanile (32,2%), resta alto anche il numero di posti vacanti nel mondo del lavoro. Come testimonia il rapporto Excelsior di dicembre 2021, la criticità di non trovare i profili ricercati interessa una media del 36% delle aziende, arrivando al 50% nella fascia Nord Est/Centro Italia. Ma quali sono le ragioni principali di questo divario, e quali le azioni da intraprendere per farvi fronte?

Eugenio Gotti: “Troppi percorsi di studio, scarso orientamento professionale. Così i giovani non trovano lavoro”

Secondo Eugenio Gotti, esperto di formazione e politiche del lavoro e vicepresidente di PTSClas, il mondo dell’educazione sconta in primo luogo la mancanza generale di una programmazione basata sui fabbisogni lavorativi. Le stesse previsioni del Sistema informativo Excelsior di Infocamere sui profili richiesti dal sistema impresa, nel breve periodo e fino a cinque anni, non vengono utilizzate a questo scopo. Una condizione che si traduce nella presenza di tanti percorsi di studio senza grandi sbocchi occupazionali, a cui si contrappone la carenza di percorsi maggiormente richiesti.

“L’esempio lampante è quello dei medici e delle professioni sanitarie, esploso durante la pandemia, ma strutturalmente presente già da prima. È evidente già da quindici anni che l’offerta di percorsi di laurea e specializzazione è insufficiente anche solo a colmare il turnover del personale sanitario. Il controsenso è che così investiamo tantissimo nella formazione di questi giovani sino alla laurea, e poi loro per fare la
scuola di specializzazione devono andare all’estero, magari restando anche lì a lavorare, senza produrre valore in Italia.”

Un secondo problema è poi quello dello scarso approfondimento dell’orientamento professionale, oggi ancora limitato agli aspetti informativi e attitudinali, e meno focalizzato sul tema di possibilità e opportunità occupazionali concrete nei vari ambiti formativi. Gli strumenti offerti dai siti ministeriali si limitano infatti a illustrare i contenuti dei diversi percorsi di studi, una carenza che il PNRR si impegna a superare.

“Le mancanze dell’offerta di orientamento professionale che viene data ai ragazzi e alle loro famiglie vengono evidenziate da vent’anni. La Missione 4 del PNRR prevede
investimenti importanti in questo senso, sia per sviluppare una piattaforma a livello nazionale che per accompagnare concretamente i giovani nelle scelte dei percorsi da intraprendere. L’orientamento professionale non deve eliminare attitudini e desideri delle persone, ma solo renderle consapevoli che, ad esempio, un laureato in filosofia ha il 40% di possibilità di andare a fare il commesso, e che, viceversa, c’è un’alta richiesta di profili STEM, che invece mancano.”

Il controsenso di una scuola che ripudia la formazione

La distanza fra i percorsi di studio del sistema educativo di livello secondario e terziario e il sistema impresa, per Gotti, è una condizione che affonda le sue radici nella tradizione gentiliana della scuola italiana, restia a vedere la formazione in chiave professionalizzante, come un’infrastruttura portante del sistema Paese, in grado di generare le competenze necessarie al mondo del lavoro.

In parallelo poi anche il mondo dell’impresa in Italia non ha mai avuto un’attitudine a riconoscersi nel ruolo formativo, diversamente dalla tendenza di altri Paesi come la Germania, dove le aziende vedono nel loro coinvolgimento nella formazione uno strumento per conoscere i giovani e farli crescere in modo da rispondere alle loro concrete esigenze.

In Italia si sono fatti dei passi avanti in questa direzione, e l’atteggiamento verso la transizione fra scuola e lavoro è andato progressivamente modificandosi. Strumenti quali ad esempio l’Alternanza scuola-lavoro o l’Apprendistato duale mostrano una volontà di superamento dell’idea di separazione netta tra momento dello studio e momento dell’apprendimento attraverso il lavoro, che tuttavia necessita di essere ancora perfezionata.

“Dal punto di vista ideale, ad esempio, l’intuizione dell’Alternanza scuola-lavoro è corretta, soprattutto per gli indirizzi tecnico-professionali. Tuttavia, pensando alla riforma della Buona Scuola di Renzi del 2015, c’è stata probabilmente una volontà di attuare quella iniziativa in modo troppo rapido. Coinvolgendo una mole di scuole e studenti e convogliandoli verso il sistema impresa senza la progettazione e l’attenzione adeguate rispetto ai temi della qualità e della sicurezza, visti anche i tragici fatti dei giorni scorsi.”

Limiti che si riscontrano anche nei risultati dell’Apprendistato duale, attivo in Italia dal 2015, ma che coinvolge oggi solo 6.000 studenti in tutto il Paese, a fronte ad esempio dei due milioni di studenti che in Germania ogni anno fanno l’apprendistato in azienda. “La vicinanza tra sistema impresa e sistema educativo deve essere strutturale, non episodica. Oggi invece viene ancora fatta secondo una logica esperienziale di singole iniziative”, precisa il vicepresidente di PTSClas.

Le competenze disallineate alla prova del terziario

La distanza fra esigenze del mercato del lavoro e sistema educativo in Italia è un limite che il Paese non si può permettere, soprattutto a livello di formazione terziaria. Secondo Gotti, “se nel secondo dopoguerra il boom economico è stato accompagnato dal lavoro dei diplomatici tecnici, oggi la sfida è sul livello terziario,
necessario per garantire un adeguato sviluppo economico per l’Italia. E invece solo il 28% dei giovani fino ai 35 anni ha un titolo di studio di livello terziario, a fronte del 40% della media europea, e del 70% della Corea del Sud”.

Rispetto poi a chi esce dai percorsi di studio secondari tecnico professionali, “solo il 30% dei diplomatici tecnici e l’11% dei diplomati professionali va all’università, perché non è un’offerta adeguata a loro. E quei pochi che ci vanno tendono a disperdersi di più durante il percorso rispetto ai diplomati liceali”, spiega Gotti. “Per questo è importante che il PNRR preveda di sviluppare il livello terziario professionalizzante degli ITS. Oggi, nonostante una percentuale di inserimento occupazionale che raggiunge quasi il 90%, sono solo 18.000 gli allievi degli ITS, a fronte di una popolazione universitaria di 1.600.000 persone. Sono poco più dell’1% degli studenti universitari, mentre in Francia e in Germania arrivano al 20%”.

In attesa di un cambio di passo decisivo, in Italia le imprese intanto “continuano a cercare profili già formati, con esperienza, e se questa non c’è si accontentano di profili diversi, con uno spreco conseguente rispetto alla loro formazione che verrà inutilizzata”, lamenta Gotti.

Le conseguenze portano non solo a un mismatch di competenze, ma anche contrattuale, poiché spesso in questi casi le imprese fanno offerte al di sotto delle aspettative: “La contraddizione è che le aziende riconoscono a parole il valore del capitale umano, ma l’approccio che adottano tende invece a essere mortificante all’inizio della carriera lavorativa di una persona, di diffidenza ad assumere a tempo indeterminato e a riconoscere i corretti livelli (ricorrendo a tirocini, contratti atipici, collaborazioni occasionali, false partite IVA). L’assunzione è un elemento vissuto come un investimento a lungo termine, anche per la bassa flessibilità in uscita del nostro mercato del lavoro”.

Una tendenza che tuttavia per Gotti sta iniziando (lentamente) a cambiare proprio nei casi dei profili medio-alti che non si trovano, per cui le aziende sembrano disposte a investire di più sia in termini formativi che di offerta contrattuale.

La Babele di scuola e lavoro

Aumentare l’impegno reciproco però non basta, per Gotti. Sistema impresa e sistema educativo, infatti, devono anche iniziare a parlare un linguaggio comune: “Basti pensare infatti che i Contratti Nazionali del Lavoro sono fatti per mansioni, mentre i percorsi formativi sono programmati sulla base dei profili di competenze. Negli Stati Uniti, ad esempio, c’è un repertorio delle competenze che si chiama O-Net che viene usato sia dal sistema educativo che dal sistema impresa e dal giudice del lavoro, che nelle varie cause deve decidere se i contratti sono adeguati al ruolo della persona. Si è lavorato molto in Italia per lo sviluppo dei Repertori delle competenze, che tuttavia sono prodotti in larga parte a tavolino, senza il contributo del sistema impresa, non sono conosciuti e usati. Il contratto metalmeccanico firmato l’anno scorso è importante proprio perché va in questa direzione: supera la logica delle mansioni e va nella logica dei profili di competenza e dei ruoli esercitati”.

Come testimoniano gli investimenti previsti nel PNRR, il ritardo del sistema di formazione scolastica e professionale nello sviluppo di nuove competenze, e nella rincorsa delle necessità del sistema impresa, viene oggi finalmente percepito come un problema urgente. Le buone prassi europee, come quella della Germania, possono essere un punto di riflessione da cui partire, tenendo conto però della necessità di un approccio graduale, che coinvolga in egual misura mondo della formazione e mondo dell’impresa.

La direzione finale sembra essere tracciata: ottenere profili lavorativi sempre più in linea alle richieste e alle necessità del sistema produttivo del Paese, coinvolgendo le parti in un percorso di sforzi comuni. I benefici per il mondo dell’impresa e per quello della formazione sono scontati, mentre resta ancora da capire se questo allineamento sarà una garanzia sufficiente per i giovani per ottenere il giusto compenso e inquadramento contrattuale al loro ingresso nel mondo del lavoro.

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