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“Senza giri di boa”, il libro sulle donne che Elisabetta Franchi non assumerebbe
Un collettivo di giornaliste e scrittrici ha raccolto in un libro esperienze e problematiche contemporanee di donne al lavoro. Ne parliamo con Giulia Cerino, tra le autrici del testo: “Vietato fermarsi, avere figli o ammalarsi: il nostro è un mercato del lavoro fatto per chi è invincibile”.
“Io oggi le donne le ho messe perché sono ‘anta’. Se dovevano sposarsi lo hanno già fatto, se dovevano avere figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi, hanno fatto anche quello… per cui io le prendo che hanno fatto tutti e quattro i giri di boa”.
Sono passati più di sei mesi da quando la stilista Elisabetta Franchi ha pronunciato, in un evento tra l’altro dedicato a donne e lavoro, una frase che ha fatto e continua a far discutere. Da qui è nato un collettivo di giornaliste e scrittrici che da allora hanno iniziato a chiedersi se un’alternativa al “modello Franchi” è possibile. La condivisione di storie, esperienze e domande ha dato vita al libro Senza giri di boa (Casa editrice Paper first, 2022), che prende spunto proprio dalla frase incriminata.
Donne, lavoro, maternità, ma non solo. I giri di boa delle professioniste
Ma se il fatto ormai lo conosciamo tutti, più interessante è capire che cosa è successo dopo. Con Giulia Cerino, giornalista freelance e una delle voci del libro, abbiamo provato ad approfondire.
“Dopo l’uscita del libro si è iniziato a parlare in modo più diffuso di questo argomento e di lavoro, donne, maternità. Tante persone hanno deciso di scriverci e di raccontare, cosa che prima si faceva, ma rimaneva sempre un po’ a margine. L’elezione della prima premier donna italiana, anche se con modalità differenti e non sempre condivisibili, ha facilitato la presenza sulla stampa di questi temi.”
Lo scenario lo conosciamo tutti ed è abbastanza impietoso; basti pensare ad esempio che, secondo l’ultimo rapporto ISTAT, le donne giovani rappresentano il 47,2% della quota complessiva di lavoratori non standard, ossia con contratti a tempo determinato, di collaborazione o in part time involontario. O che nel 2021 risulta occupato il 73% delle donne tra 25 e 49 anni senza figli, a fronte del 53% di quelle con almeno un figlio nella stessa fascia d’età. Dati che la dicono lunga sul “ruolo” delle donne nel nostro mondo lavorativo.
Il quinto giro di boa delle donne lavoratrici: la malattia
Senza giri di boa ha avuto però la capacità di andare oltre, soffermandosi non solo sulla maternità, ma anche su questioni più trasversali. Nel libro non ci sono solo Azzurra, discriminata e demansionata al rientro dalla maternità, e Loredana, che ha messo in primo piano la carriera fino a essere fuori tempo massimo per avere un figlio; ci sono anche le loro storie di Claudia ed Elena, che non riguardano solo chi ha o vuole avere figli.
L’esperienza di Claudia è quella del lavoro h24, che non lascia spazio a nessun tipo di realizzazione esterna alle mura dell’ufficio, ”un tema che sta riscuotendo più successo degli altri tra le tante persone che ci hanno scritto”, spiega Giulia Cerino, “legato alla necessità di essere produttivi non tanto per la qualità, ma per la quantità del lavoro”. Un grido d’allarme emerso in maniera esponenziale con la pandemia, se si pensa a come siano diventati attuali temi come le grandi dimissioni, lo smart working o la necessità sempre più forte di un’adeguata conciliazione vita-lavoro.
Elena, che affronta più di un tumore e per i suoi colleghi e il capo “oggi c’è, domani chissà”, è invece la testimonianza del “quinto giro di boa”, quello della malattia, lasciato fuori dai quattro – matrimonio, figli, divorzio, over 40 – citati dalla Franchi.
“Abbiamo deciso di aggiungere questo giro di boa che la Franchi non menziona e che rappresenta l’esempio più drammatico dell’imprevisto che può colpire il lavoratore o la lavoratrice. Quando c’è spesso accade un disastro; il nostro è un mercato del lavoro fatto per chi è invincibile, per coloro che hanno una disponibilità costante. Come si fa a gestire un mercato del lavoro così se poi dobbiamo fare i conti anche con la malattia, che costringe ad avere a che fare con l’umanità del lavoratore? Tra le nostre colleghe c’è chi l’ha vissuta su di sé, chi è stata tutelata nei propri diritti di malattia e si considera una privilegiata. Noi stesse siamo le prime a sentirci tali, è un paradosso”, spiega la Cerino.
Perché leggere Senza giri di boa
In un contesto simile il libro è la testimonianza concreta di come le donne, quando vogliono, riescano a fare rete, cosa che spesso non accade sul lavoro e nella vita di tutti i giorni.
“Questo è uno dei punti da cui noi siamo partite. Noi siamo state le prime a chiederci perché questo molte volte non accade. La risposta è che è così faticoso conquistare il proprio posto che è diventato una sorte di mors tua vita mea. C’è un elemento culturale che fa pensare che il mio successo dipenda dalla tua fine, una paura di perdere la posizione acquisita.”
Iniziare quindi a diffondere lo “spirito di squadra” tra le donne potrebbe essere un buon punto di partenza, ma non basta. Ci sono tanti aspetti culturali, politici e normativi da rivedere del tutto.
Giulia Cerino è però ottimista: “Nel nostro Paese esistono già delle realtà virtuose, la nostra società è già al passo con i tempi; sono le norme che risultano ancora indietro. Questo è anche un tema culturale. Se si va avanti con questo tipo di cambiamento culturale, anche sul ruolo dei padri, che oggi rispetto al passato è molto cambiato, penso che prima o poi ci arriveremo. Le Istituzioni dovrebbero sostenere questo trend positivo che parte da alcune aziende e dalla società e incanalarlo verso uno sviluppo che ci metta allo stesso livello di tanti Paesi europei”.
Molte di queste best practice sono citate anche nel libro.
In Francia si stanno portando avanti politiche di sostegno alla genitorialità attraverso una serie di disposizioni. Tra queste l’assegno universale indipendente dal reddito, principale elemento distintivo rispetto a quello previsto nel nostro Paese, e valido non solo alla nascita, ma anche per tutto il periodo della crescita di un figlio. Altro esempio la possibilità di lavorare part time nei primi anni di vita dei bambini, con obbligo da parte dei datori di lavoro di accettare la richiesta di lavoro a tempo parziale, che può essere fatta sia dalla madre che dal padre.
La Svezia è molto avanti sul tema congedo di paternità, che dura tre mesi, così come in Spagna sono previste 16 settimane di congedo per i neopapà, contro i 10 giorni italiani da poco sdoganati. Sempre in Spagna è stata inoltre avviata in alcune regioni la sperimentazione della settimana lavorativa di 32 ore, che porterà poi il Governo a valutarne gli impatti su produttività e bilanci delle aziende.
In Italia, a quanto pare, come spesso accade la società va più veloce delle leggi e delle istituzioni, rivendicando da più parti una maggiore conciliazione tra lavoro e famiglia, e in generale politiche di sostegno alla genitorialità più “ampie” e durature.
“Ci siamo prese la briga di delineare un mondo possibile: il mondo che verrà e che da qualche parte, in piccolo, esiste già. Ma affinché questi semi germoglino e diventino strutturali è essenziale che le istituzioni pubbliche sostengano il cambiamento attraverso un’azione legislativa che si dimostri all’altezza, coerente con le richieste della società”, si legge nelle ultime pagine.
Basterà, questa spinta?
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