Che brutto spettacolo: il lavoro culturale soffre, il Governo lo ignora

Il settore non si è ancora ripreso dalla pandemia, con un tecnico dello spettacolo su cinque che ha cambiato lavoro. Nel frattempo la politica si rimangia le promesse sull’indennità di discontinuità, che avrebbe dato respiro agli operatori della cultura.

La cultura ha pagato più di altri settori gli effetti della pandemia. Vediamo di capire quanto.

Il comparto delle imprese culturali e creative, come rilevato dal rapporto Io sono cultura 2022 di Fondazione Symbola e Unioncamere, è in crescita rispetto al 2020 (+4,2%), ma non ancora in grado di compensare le perdite rispetto al 2019 (-3,4%). Nel biennio 2020-21 si contrae la ricchezza prodotta nelle attività dello spettacolo (-21,9%; corrispondente in valori assoluti a -1,2 miliardi di euro) e in quelle dedicate alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico (-11,8%, pari a -361 milioni di euro).

Effetto COVID-19, l’allontanamento dalle attività culturali

Il diciottesimo Rapporto Annuale Federculture e Lo Spettacolo e lo Sport nel sistema culturale italiano: il rapporto annuale SIAE 2021 denunciano tra 2019 e 2021 “l’astensionismo culturaledegli italiani come grave effetto delle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria.

È crollata la partecipazione allo spettacolo dal vivo, a concerti, cinema e teatri. Nello specifico, Federculture rileva nel biennio -75% della spesa per questi intrattenimenti e la caduta vertiginosa della fruizione, con variazioni negative intorno all’80%. Il calo della spesa delle famiglie per musei e mostre è del 26,6%; anche la fruizione incassa un impietoso -72%.

I dati della Società Italiana degli Autori e Editori (SIAE) relativi al 2021 confermano il crash del sistema spettacolo e sport a seguito della pandemia: rispetto all’ultimo anno di normalità pre-COVID (2019), gli indicatori evidenziano una contrazione del 72% degli spettatori e del 78% della spesa.

I primi dati 2022: la ripresa parte dai live musicali

Nella sua indagine Federculture rileva i segnali di una possibile inversione di tendenza nel 2022 sul fronte dei consumi culturali, tra cui il record di presenze al Salone del Libro di Torino e il bonus cultura 18app – probabilmente oggetto di una drastica revisione da parte del Governo, che potrebbe legarlo all’ISEE – grazie al quale i giovani spendono in libri, concerti, musica, cinema (nel 2021 ne hanno beneficiato oltre 441.000 diciottenni, per una spesa effettiva di 143.612.000 euro).

Anche il rapporto SIAE mostra segnali incoraggianti, ma non per tutti i macrosettori. Nei primi sei mesi del 2022 sono stati venduti 6,2 milioni di biglietti di concerti di musica leggera rispetto ai 5,5 milioni del 2019. In base a dati SIAE ancora più aggiornati, da gennaio a settembre – a fronte di una diminuzione del 19% dei concerti – si registra un aumento degli spettatori del 6% e della spesa al botteghino del 22%.

Continua la crisi della fruizione theatrical del cinema: nel primo semestre dell’anno, le sale hanno staccato 21,5 milioni di biglietti rispetto ai 51,4 milioni del 2019.

Pandemia e occupazione culturale: il 21,7% dei tecnici dello spettacolo non lavora più nel settore

In base al diciottesimo Rapporto Annuale Federculture, nei due anni di pandemia si sono persi 55.000 posti di lavoro, il 6,7%, oltre il triplo del dato registrato nell’occupazione totale, dove la variazione negativa è stata del 6,7%.

La perdita occupazionale si fa sentire nei settori della cultura in senso stretto (-11%), colpendo soprattutto i giovani under 35 (-12,6%). Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 la Fondazione Centro Studi Doc ha condotto una ricerca quantitativa, basata sulla somministrazione di questionari, per valutare l’impatto del COVID-19 sui tecnici dello spettacolo. Dalle risposte dei circa 1.000 tecnici che hanno partecipato al questionario, emerge come almeno un quinto (21,7%) non stia più lavorando nello spettacolo. I più colpiti sono donne e lavoratori tra 30 e 50 anni con famiglie a carico.

Il maggior tasso di abbandono riguarda lavoratori dei settori produzione, allestimenti, scenografie e strutture per teatro ed eventi live, con impieghi stagionali e competenze difficilmente spendibili in altri settori dello spettacolo. I tecnici qualificati di video, audio e luci hanno si sono invece ricollocati in segmenti – come la televisione – che non hanno subito le stesse pesanti ripercussioni, e che richiedono le stesse competenze.

Paradossale è la situazione del cinema, con la crisi che morde il box-office e gli esercizi – nel 2021 hanno chiuso 500 schermi su circa 3.600, come riporta Alessandra Magliaro in un articolo ANSA – e una produzione ipertrofica che porta addirittura a un aumento dell’occupazione: l’impegno delle troupe cinematografiche e televisive nel 2022 passerà, secondo i sindacati, da 1.600 a 2.300 settimane di riprese annuali (fonte: Io sono cultura 2022).

L’indennità di discontinuità, la svolta promessa e poi negata ai lavoratori dello spettacolo

La crisi incide ancora, sia sul versante della fruizione che della spesa al botteghino. Oltre agli interventi e agli aiuti messi in campo in questi anni dal ministero della Cultura, servono oggi riforme strutturali non più rinviabili che favoriscano la formazione, gli investimenti, la ripresa dei consumi e l’estensione delle tutele dei lavoratori.

La pandemia ha lasciato in eredità l’esigenza di affrontare una volta per tutte il tema della riconoscibilità del lavoro nei settori della cultura e dello spettacolo. E non può che essere questa la base di partenza: ascoltare e comprendere le specifiche esigenze di tecnici e artisti, colmando il grande vuoto esistente in materia di accesso alla protezione sociale.

“Abbiamo davanti agli occhi un settore con grandi potenzialità, ma fragile, nel quale si riscontrano alti livelli di professionalità e qualità del lavoro accanto a endemica precarietà e frammentarietà delle tutele e delle modalità organizzative”, sintetizza Andrea Cancellato, presidente di Federculture, che sollecita l’adozione di un contratto unico per la cultura. Il culmine del confronto avuto in questi due anni dalla politica con associazioni e professionisti dello spettacolo si è raggiunto il 15 luglio 2022 con l’approvazione della legge n.106, con la quale il Parlamento ha delegato il Governo al riordino del settore.

Il provvedimento, salutato come una conquista storica, riconosce il diritto all’indennità di discontinuità, uno strumento specifico di tutela previdenziale ed economica che permette di identificare i tempi di studio e di preparazione come tempi di lavoro effettivo. “Una integrazione continuativa al reddito che non solo riconosce il lavoro svolto dietro le quinte, ma che con il lavoro si autoalimenta, portando alla maturazione di contributi effettivi e mirando a promuovere e far crescere i professionisti dello spettacolo in un regime di sicurezza e legalità”, scrive in un comunicato il coordinamento La musica che gira.

Servono almeno 150 milioni di euro nella prossima legge di bilancio per rendere esigibile l’indennità di discontinuità.

Manovra 2023, la grande assente è la cultura

Nonostante l’impegno preso dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, nelle prime bozze della Manovra non comparivano le risorse promesse per avviare l’indennità di discontinuità.

Non si sono fatte attendere le proteste di tutte le entità che si sono battute per le istanze dei lavoratori del settore (ARCI, SLC-CGIL, La musica che gira, Centro Studi Doc/Rete Doc, Il Jazz Italiano, UNITA – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), espresse anche dall’attore Stefano Accorsi alla Prima della Scala di Milano, e poi diffuse con la conferenza stampa del 19 dicembre scorso delle associazioni di settore.

Poi il 21 dicembre la Commissione bilancio della Camera ha approvato l’emendamento presentato da Matteo Orfini (PD), anche se le risorse allocate, 100 milioni, sono inferiori a quelle indicate come necessarie alla copertura del provvedimento.

Il percorso va avanti: occorrerà capire se le risorse stanziate potranno essere aumentate. In più vanno scritti i decreti attuativi della legge 106 di luglio 2022, e le associazioni di artisti e tecnici chiedono partecipazione al processo. Diverse sono le linee programmatiche annunciate dal ministro Sangiuliano: attuazione del PNRR, riforma del FUS, che si chiamerà Fondo per la Cultura Italiana, sostegno alle sale cinematografiche, revisione delle “finestre” di distribuzione dei film, revisione del tax credit – solo per citarne alcune.

L’impegno passato e futuro di SenzaFiltro sul lavoro culturale

SenzaFiltro ha negli ultimi anni acceso i riflettori su storie, istanze e professioni del mondo della cultura, sia a livello nazionale che territoriale: editoria, arte e beni culturali, musei, musica, cinema e audiovisivo. Senza trascurare il tema del lavoro stagionale, che caratterizza questi settori e il turismo culturale a essi collegato.

Dai primi mesi dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, il nostro giornale ha evidenziato la gravità della situazione per l’industria creativa e dello spettacolo. Il titolo dell’articolo che dedicai al comparto, ad aprile 2020, è emblematico oltre che programmatico: Non lasciamo sola l’industria culturale. Da segnalare poi le inchieste di Francesca Ferrara sulle criticità di operatori dell’audiovisivo, fotoreporter e fotografi in tempo di COVID-19.

SenzaFiltro ha monitorato le richieste dei lavoratori dello spettacolo e continuerà a farlo, perché la tenuta e il rilancio di queste filiere era e resta fondamentale non solo sotto il profilo sociale, ma anche economico e occupazionale. Si parla, infatti, di un sistema che dà lavoro a 1,5 milioni di persone producendo ricchezza per 88,6 miliardi di euro, di cui 48,6 miliardi (il 54,9%) generati dai settori culturali e creativi, e altri 40 miliardi (il 45,1%) dai professionisti culturali e creativi attivi (fonte: Io sono cultura 2022).

Un ecosistema che non deve ritornare nel dimenticatoio, perché – come emerge da tutti questi dati – molte sono le vecchie e nuove sfide da affrontare, dalla dispersione dell’occupazione alla crisi dei consumi culturali, che nel Meridione assume contorni ancora più drammatici, aprendo un ulteriore fronte di disparità tra Nord e Sud Italia. Non si è iniziato col piede giusto, per questo è ancora più importante non abbassare la guardia. I riflettori sull’industria culturale – e sui suoi lavoratori – non devono essere più spenti.

Leggi gli altri articoli a tema Spettacolo.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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