Trasporti nelle Marche. Tutto fermo?

Dal dopoguerra in poi le Marche hanno conosciuto uno sviluppo economico molto importante. In un tempo relativamente breve sono diventate una terra molto ricca. Alla base del miracolo c’era il modello dei distretti industriali. Tra i più conosciuti certamente quello degli elettrodomestici a Fabriano, quello delle calzature tra Civitanova Marche e il fermano, e quello […]

Dal dopoguerra in poi le Marche hanno conosciuto uno sviluppo economico molto importante. In un tempo relativamente breve sono diventate una terra molto ricca. Alla base del miracolo c’era il modello dei distretti industriali. Tra i più conosciuti certamente quello degli elettrodomestici a Fabriano, quello delle calzature tra Civitanova Marche e il fermano, e quello dei mobilieri nella zona di Pesaro.

 

Il sistema a distretti

Nei distretti c’era lavoro per tutti, con una paga decorosa e in alcuni casi anche in modo vantaggioso rispetto allo stile di vita. Ad esempio, nel fabrianese abbondavano le figure dei “metalmezzadri”, per i quali le fabbriche aprivano molto presto al mattino in modo che potessero poi ritornare a casa in tempo per lavorare la terra la sera. Il lavoro era così abbondante che oltre ai locali c’era posto anche per il personale arrivato da altrove fuori regione.

Così nell’officina di un’azienda di Fabriano mi capitò di sentire che gli operai pugliesi si lamentassero della qualità del lavoro dei campani, i quali a loro volta si lamentavano dei calabresi, che si lamentavano dei magrebini, che si lamentavano degli indiani. Questi ultimi, per chiudere il giro, si lamentavano ovviamente dei pugliesi.

A rappresentare la comunità locale di Fabriano e dintorni c’erano da sempre tantissime donne che riempivano soprattutto le linee di produzione per l’assemblaggio. Questa grande presenza femminile veniva dal fatto che gli operai uomini erano difficili da trovare. I più erano impiegati nelle grandi società del distretto. Anzi, capitava spesso che lasciassero un contratto a tempo indeterminato presso una piccola azienda per un contratto a tempo determinato in una delle grandi realtà. Infatti erano certi che alla fine sarebbero stati assunti definitivamente e si sarebbero garantiti lo stipendio sicuro a vita. In conclusione, perciò, una famiglia di un distretto poteva contare su un grande benessere dato dalla somma di più stipendi dei suoi membri, impiegati anche solo come operai nelle industrie locali.

I distretti non distribuivano solo ricchezza alle famiglie: dalle aziende ne nascevano altre, con una specie di riproduzione per frammentazione. Da neolaureato mi ricordo di aver seguito un lavoro presso un calzaturificio. L’anziano fondatore mi raccontò che dopo «essere stato sotto padrone» durante la sua prima adolescenza, aveva iniziato l’attività in proprio a diciotto anni affittando un garage. Dalla fatica e dai sacrifici suoi e di sua moglie era riuscito, passo dopo passo, a mettere in piedi la sua fabbrica di scarpe che lavorava in tutto il mondo. Una storia non molto diversa da molte altre che si narravano nei diversi distretti della regione.

La capacità dei distretti marchigiani di crescere e distribuire ricchezza ai tempi sembrava non conoscere fine. Ma la storia ci dice che così non è stato. La fine dell’età marchigiana della prosperità è arrivata, scatenandosi con tutta la sua furia di fallimenti, cessioni, ristrutturazioni, delocalizzazioni, casse integrazione e licenziamenti. Mentre la ripresa è già riapparsa altrove, le Marche si trovano ancora a fare i conti con i postumi della crisi. Il ritorno agli antichi splendori non mi sembra sia ancora a portata di mano. La produzione industriale è ancora oggi ben al di sotto dei periodi precedenti la crisi. Non solo. Tutto quello che con la ricchezza si sarebbe potuto fare, e che ancora non è stato fatto, rappresenta un ostacolo per agganciare la ripresa.

 

Trasporti nelle Marche: la chiave per una nuova prosperità?

Un esempio significativo in questo senso, che mi piace sempre raccontare perché da sempre ci convivo, è certamente quello del ritardo di alcune delle infrastrutture per i trasporti nella regione. Molte strade sono state per decenni in costruzione, e su alcune i lavori non sono ancora terminati. Il caso più eclatante è, secondo me, la strada statale 76 che collega Ancona a Fabriano, e quindi verso Roma. Il raddoppio delle corsie è ancora in corso dopo, credo, una quarantina d’anni di cantieri aperti.

Ancora peggio va per altre strade della cui realizzazione si parla da molto tempo. Un esempio è la Pedemontana del famoso Quadrilatero. Questa via dovrebbe unire Fabriano con la valle del Chienti e quindi l’alto maceratese, ma è ancora perlopiù solo sulla carta.

Le cose non vanno meglio dal punto di vista delle ferrovie. Per andare da Ancona a Bologna e percorrere i 200 chilometri circa che separano le rispettive stazioni centrali, ci vogliono sempre due ore, come venti anni fa. Non c’è differenza nemmeno se si riesce a salire su uno dei pochissimi Freccia Rossa. Anche la distanza tra le stazioni centrali di Bologna e Milano è di 200 chilometri circa, ma rispetto a vent’anni fa oggi il tempo di percorrenza si è dimezzato, scendendo da due ore circa a una soltanto grazie all’alta velocità. Ci sono anche due operatori in concorrenza tra loro. La situazione non è migliore se da Ancona si prende il treno per andare a Roma: qui il percorso attraversa l’Appennino con dei tratti ancora a binario unico.

Infine, per restare sul tema dei collegamenti, vale la pena spendere due parole anche sui quelli aerei. A inizio millennio l’Aeroporto delle Marche veniva ampliato con due terminal moderni in vetro attorno alla vecchia struttura: questo lasciava prevedere un importante sviluppo dell’offerta per i passeggeri negli anni a seguire. Al contrario, invece, oggi l’Aeroporto delle Marche si mantiene a malapena in vita. I pochi voli che sono rimasti sono più a vocazione turistica che business; infatti non ci sono più voli che collegano Ancona con Roma e Milano. Di fatto l’aeroporto dei marchigiani sta diventando quello di Bologna.

Certamente non è solo il ritardo di alcune infrastrutture a tenere le Marche lontane dalla ripresa. Vale però la pena chiedersi quale direzione potrebbe prendere un nuovo modello di sviluppo economico della regione, se alla base non ci fossero anche delle vie di comunicazione migliori.

Personalmente ritengo che migliori infrastrutture potrebbero favorire la nascita di nuove aziende e la creazione di posti di lavoro. Potrebbero anche contribuire a riattivare alcuni distretti industriali, o farne nascere di nuovi. Insomma potrebbero spingere le Marche verso un nuovo periodo di prosperità.

 

(Photo credits by Wikipedia. Stazione ferroviaria di Ancona)

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