Molto vecchi, poco giovani e comunque poveri. Ritratto degli italiani del 2050

I giovani hanno ereditato dagli anziani il primato nella povertà, ma la denatalità minaccia di intaccare anche welfare e pensioni in un’Italia dall’ascensore sociale bloccato: le notizie degli ultimi mesi che SenzaFiltro ha dato prima di tutti. Ma non era una profezia.

Non è chiaro se si tratti di pudore in una società che ha eretto come modelli vincenti i ricchi, mettendo, i poveri in una sorta di oblio fatto di invisibilità, stigma sociale da parte di chi non è povero (o ha paura di diventarlo), e di senso di vergogna da parte di chi invece la povertà la vive e, spesso la subisce.

Se da una parte, secondo il ventunesimo rapporto L’anello debole redatto dalla Caritas italiana, la povertà si eredita, è lo stesso presidente Carlo Redaelli ad affermare come sia cambiato l’identikit delle persone in stato di indigenza che si ritrovano a dover chiedere aiuto: “Nei nostri centri arrivano i figli e i nipoti di quelli che venivano una volta. Per uscire dalla povertà in Italia occorrono cinque generazioni, nei Paesi del Nord Europa due”.

La fotografia della nuova povertà sta tutta qui: il passaggio di consegne tra anziani e giovani che se ne sono scambiati il testimone.

Povertà assoluta, i giovani superano gli anziani: il passaggio di testimone che non volevamo

Dal 2005 a oggi la povertà, oltre a essere triplicata passando dagli 1,9 milioni di individui del 2005 ai circa 5,6 milioni in povertà assoluta nel 2021, secondo lo studio dell’ISTAT Povertà in Italia pubblicato lo scorso mese di giugno, ha fatto altresì registrare un’inversione di tendenza per certi versi drammatica. Il risultato è che dal 2005 a oggi abbiamo assistito a un ricambio generazionale all’incontrario, con gli anziani che non hanno lasciato in consegna ai giovani il lavoro e il futuro, bensì il primato della povertà assoluta.

In questo è evidente come anche il lavoro povero abbia rappresentato per i giovani un’ulteriore zavorra che li ha portati a star peggio degli individui più anziani, ormai in pensione. E quindi anche il meccanismo semplicistico con cui tendiamo a credere che per un anziano che va in pensione c’è un giovane che entra nel mondo del lavoro è divenuto anacronistico e non supportato dai dati, che ci dicono esattamente l’opposto.

Ci ritroviamo tra paradosso e stortura. Non aiuta il fatto che la stessa ISTAT, attraverso il suo report Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni per il 2021, certifichi come il nostro Paese stia invecchiando sempre di più, senza soluzione di continuità. L’età media in Italia, infatti, passa dai 43 anni del 2011 ai 46 del 2021.

Quale Paese a invecchiamento costante potrebbe accettare che la povertà assoluta rimanga in capo ai giovani senza invertire la tendenza, anche in maniera radicale, pensando anche a qualcosa di diverso dalle ricette tradizionali proposte da qualche economista di punta?

Mantenendo il focus sui giovani, è chiaro che se detengono la povertà assoluta risulta davvero difficile meravigliarsi del fatto poi che il nostro Paese nel 2050 potrebbe arrivare ad avere – secondo i dati illustrati dall’ISTAT agli Stati Generali della Natalità presentati lo scorso mese di maggio – anche cinque milioni di abitanti in meno.

Prima di pensare alla denatalità, dovremmo tutelare le famiglie: il RdC e la commissione Saraceno

A questo punto, le grida di dolore che giungono da più parti sulla necessità di arrestare il crollo delle nascite, al fine di garantire un futuro sostenibile all’Italia, sembrano stridere con la triste realtà dei fatti; soprattutto ai giovani. Da Papa Francesco al Presidente della Repubblica, passando per i politici di ogni schieramento nelle varie dichiarazioni sul crollo delle nascite nel nostro Paese, stracciarsi le vesti serve a poco. Emergenza sociale, povertà per tutti, famiglie senza figli, dramma della denatalità sono solo alcune delle dichiarazioni un tanto al chilo che leggiamo non appena viene pubblicato qualche altro dato sulla crescita zero del nostro Paese.

Il paradosso è tutto qui: se le famiglie senza figli sono la nuova povertà che (ci) spaventa così tanto, mi chiedo come sia possibile che le stesse famiglie italiane, con molti figli e in situazione di povertà assoluta, siano state addirittura lasciate fuori dalla possibilità di usufruire del Reddito di Cittadinanza, come aveva dichiarato a SenzaFiltro la sociologa Chiara Saraceno.

“Per quanto riguarda il Reddito, poi, la scala di equivalenza è squilibrata a sfavore dei minorenni, che contano la metà degli adulti. Ciò fa sì che famiglie numerose abbiano più difficoltà ad accedere al sussidio, perché la soglia di accesso è più generosa per i nuclei con soli adulti rispetto a quelli con minorenni.”

La studiosa era stata chiamata dall’ex ministro del lavoro Andrea Orlando a presiedere l’Osservatorio sul Reddito di Cittadinanza, dove aveva fatto presente anche questa anomalia. In seguito, ha denunciato che tutte le istanze e le migliorie proposte sono state ignorate.

Il diritto al lavoro che in Italia non abbiamo mai tutelato

Ora se dei giovani e della povertà che li attanaglia abbiamo scritto, senza dimenticare che molti di essi – tre milioni – sono anche NEET, andrebbe analizzata anche la questione di genere che vede le donne subire lo stigma della povertà.

Considerando come le caratteristiche della povertà risiedano in primis nella mancanza di lavoro, specie se si considerano i bassi tassi di occupazione delle donne, spesso costrette a lavorare part time o a lasciare il lavoro, si evidenzia il bisogno di un sistema di welfare e di protezione sociale che provi per una volta a importare le best practice tipiche dei Paesi nordici.

Se molti nel nostro Paese non hanno mai potuto toccare con mano una vera conciliazione tra famiglia e lavoro, come possiamo gridare allo scandalo per la bassa natalità che contraddistingue il nostro Paese se non ammettendo il fatto che la povertà sta intaccando il tessuto sociale italiano nel profondo, e rischia di travolgere tutto con una sorta di effetto domino?

Occorre agire e invertire la tendenza, combattendo contro i dati – impietosi – che vengono snocciolati su povertà, giovani, donne e invecchiamento di un Paese che sembra a volte cullarsi fin troppo sul benessere degli anziani, chiudendo gli occhi davanti ad una generazione che non vede futuro se non scegliendo di andarsene altrove.

Non è più tempo per le riflessioni. Occorre che la politica agisca concretamente per consentire ai giovani, alle donne di questo Paese di vedere davvero agito l’articolo 4 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Occorre legiferare, sul serio, con provvedimenti lungimiranti e concreti. Dicono che la nostra Costituzione sia una delle più belle del mondo, ma se la facciamo rimanere lettera morta la bellezza serve a poco, se non a provare a nascondere la mancanza di sostanza.

Si parlava di povertà, non a caso: neanche questo possiamo (più) permettercelo.

Leggi gli altri articoli a tema Generazioni.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina foto di Manuel Alvarez da Pixabay

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