Arianna Porcelli Safonov: “La risata è l’unico metodo attraverso cui la denuncia può essere ancora ascoltata. Nel lavoro ci vuole verità.”
Voucher aboliti. Cambiano le regole, o forse non cambia niente
Il voucher, introdotto per la prima volta dalla riforma Biagi nel 2003 ma poi concretamente utilizzato solo a partire dal 2006, è un “buono” (che per il lavoratore aveva un valore di 7 euro e 50 centesimi al netto) per retribuire i lavori occasionali e sottrarli alle irregolarità delle economie sommerse. Ma è diventato sempre […]
Il voucher, introdotto per la prima volta dalla riforma Biagi nel 2003 ma poi concretamente utilizzato solo a partire dal 2006, è un “buono” (che per il lavoratore aveva un valore di 7 euro e 50 centesimi al netto) per retribuire i lavori occasionali e sottrarli alle irregolarità delle economie sommerse. Ma è diventato sempre più uno strumento utilizzato come alternativa a forme contrattuali atipiche. In taluni casi, è stato utilizzato persino per mascherare attività che invece avevano carattere continuativo o di subordinazione. Di qui nasceva la richiesta referendaria promossa da Cgil volta alla abrogazione dell’istituto (referendum avallato lo scorso gennaio dalla Corte Costituzionale), cui ha fatto seguito il decreto legge n. 25 del 17 marzo scorso con cui il Governo ha cancellato l’intera disciplina.
Arriva il maxi-emendamento del Governo
Quindi il lavoro accessorio, per il momento, non esiste più. Tuttavia, come spiega Alessandro Corvino, avvocato giuslavorista, si è creato un vuoto normativo che il Governo deve colmare. Lo sta facendo con una proposta emendativa contenuta nella manovrina che pochi giorni fa la Camera dei Deputati ha approvato. «La cosiddetta “manovrina” introduce tipologie che somigliano ai buoni lavoro, con alcune differenze. Innanzitutto, prima si parlava soltanto di “lavoro accessorio”. Oggi, se il maxi-emendamento dovesse essere approvato al Senato senza correttivi, sarà introdotto, da un lato, un vero e proprio contratto, definito contratto di prestazione occasionale di tipo accessorio, ed utilizzo delle imprese e, dall’altro lato, il cosiddetto libretto famiglia, ad uso dei privati» commenta l’avvocato.
Dal libretto famiglia al contratto di prestazione accessoria
Tra le novità del provvedimento, il “libretto famiglia” che sarà finalizzato a specifiche attività. Tra questi, i piccoli lavori domestici (giardinaggio, pulizia, manutenzione). E poi l’assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane, malate e con disabilità e l’insegnamento privato supplementare. Va precisato – sottolinea Corvino – che queste prestazioni non devono necessariamente essere retribuite con i buoni, potendo dare vita a rapporti di tipo subordinato a tempo pieno o part time (si pensi alle collaboratrici familiari che lavorano presso una famiglia).
Le norme emendative prevedono soglie massime: 2.500 e 5.000 euro. «Il lavoratore non può conseguire più di 5.000 euro annuali, anche nel caso in cui abbia più committenti. 2.500 euro invece è il tetto massimo che un lavoratore può ricevere da ogni singolo datore. 5000 euro è anche la somma massima che l’utilizzatore della prestazione può spendere in un anno». «Il libretto famiglia nominativo – aggiunge Corvino – sarà creato telematicamente accedendo, previa registrazione ad una piattaforma informatica INPS. La piattaforma contiene dei buoni per un valore di 10 euro ciascuno, con cui la persona fisica pagherà il lavoratore. Questo dovrebbe essere garanzia di maggiore tracciabilità, a patto che l’ispettorato del lavoro sia messo in condizione di fare i dovuti controlli».
I voucher tra controlli e prevenzione degli abusi
L’Ispettorato del Lavoro ha constatato nell’area di Bergamo una impennata (+62%) delle irregolarità. I dati però rivelano anche che nella zona di Cuneo sono stati recuperati, grazie all’utilizzo dei voucher 4,8 milioni di euro. Lo strumento è stato quanto meno utile a sottrarre alle economie sommerse determinati lavori che prima venivano pagati in nero. «Dobbiamo ridimensionare il problema. Indubbiamente l’abuso c’è stato ed era legato alla possibilità da parte dell’azienda di acquistare il voucher, fare la comunicazione preventiva di utilizzo nei confronti del lavoratore e poi dichiarare che la prestazione non c’è stata e quindi far lavorare in nero; oppure alla possibilità di acquistare un numero di voucher inferiori rispetto alle ore di lavoro che poi effettivamente l’utilizzatore richiedeva. È chiaro che il Referendum abrogativo della CGIL mirava ad evitare questi abusi. Ma lo si è fatto come si suole dire gettando i panni sporchi con il bambino, cioè tranciando completamente la norma».
Altra fattispecie di irregolarità è stato l’utilizzo dello strumento per mascherare forme contrattuali atipiche o di lavoro subordinato. «Sul punto – dice l’avvocato del Foro di Bergamo – non c’è, ad oggi, molta casisitca giurisprudenziale. Devo dire che il problema dell’abuso rimane anche con questa proposta di legge. Io ci vedo la possibilità di aggirarla. Le aziende, che utilizzeranno il contratto di lavoro accessorio, dovranno comunicare tramite sms o tramite portale informatico l’utilizzo del lavoratore. Ma se la proposta emendativa dovesse rimanere tale anche dopo l’approvazione del Senato, il datore potrà nei tre giorni successivi inoltrare una comunicazione di revoca. Chiaro è che in caso di revoca sarà opportuno che l’ispettorato del lavoro faccia opportuni accertamenti per verificare se effettivamente la prestazione lavorativa non c’è stata, altrimenti l’elusione della legge è presto fatta. Un argine importante, ma fortemente limitativo per le imprese, è la fissazione del tetto di 5000 euro come somma massima che può essere spesa dalla singola impresa. Peraltro sarebbe opportuno chiarire se si tratta di una cifra netta o lorda e se, nel caso di imprese collegate, si debba tener conto delle singole imprese o dell’intero gruppo» chiosa Corvino.
Federica Rocchi: quando il volontariato diventa un lavoro senza diritti
Federica Rocchi ha 32 anni ed è laureanda in Scienze della Formazione. E’ una testimonianza esemplare di come si articolano le impervie forme di precarizzazione del lavoro. Per quasi sei anni ha lavorato senza tutele e senza regolarizzazione contrattuale né previdenziale presso la Biblioteca Nazionale di Roma. Il 26 maggio 2017 decide di fare vertenza contro l’associazione AVACA e il suo Presidente Gaetano Rastelli. Ottiene il supporto delle sigle sindacali, FIBC CIGIL, la CIGIL stessa e USB, e dei colleghi lavoratori non solo della Biblioteca Nazionale ma anche di altri settori produttivi. La battaglia è lunga e difficile.
«AVACA è un’associazione che manda volontari negli istituti culturali (Biblioteca Nazionale di Roma, Palazzo Barberini, Galleria Borghese). Si ritrovano a coprire i buchi che esistono a causa del turn over nella Pubblica Amministrazione. Svolgono a tutti gli effetti un lavoro senza tutele contributive e previdenziali, senza ferie e senza maternità». Pur avendo il sostegno dei sindacati, la protesta non ha bandiere e mira a coinvolgere la società civile. “Puntiamo a cercare di sensibilizzare tutte le persone che si trovano in questa situazione. La battaglia contro il lavoro gratuito e non riconosciuto riguarda tutti” commenta Federica.
Rocchi: “I voucher sono inadeguati, ma per noi sarebbero un passo avanti”
«Quando andai a cercare lavoro alla Biblioteca nazionale mi dissero che era volontariato. Già dopo un mese ho capito che era un vero e proprio lavoro, con turni e regole rigide. Per assentarci dovevamo avvisare e inoltre contavano sulla nostra presenza per coprire le varie postazioni. E in assenza di personale dovevamo restare a disposizione dell’istituto. Mi riferirono che era una condizione temporanea e invece si è protratta per dieci anni. Abbiamo chiesto di incontrare sia il direttore dell’associazione che il Ministero dei Beni Culturali.
Il servizio era stato esternalizzato con una cooperativa che pagava con una busta paga e un regolare contratto a tempo determinato. Poi il servizio è fallito ed è stato sostituito dall’Associazione AVACA. Volevamo che si ritornasse alla situazione precedente. Ma ci è stato risposto che tecnicamente non siamo dei lavoratori perché non abbiamo un inquadramento con un contratto di lavoro. Per cui non c’era motivo di inoltrare questa richiesta ufficiale».
Biblioteca Nazionale di Roma: Lavoratori AVACA senza riscontri
Di lì è partita la protesta sindacale che Federica ha guidato assieme ad un gruppo di lavoratori. Si è cominciato con la divulgazione dei comunicati stampa e poi i sit in davanti alla Biblioteca. La risposta dell’associazione a questi solleciti è stata la sospensione anticipata della convenzione che già scadeva il 30 giugno. Una situazione di limbo che toglie loro dignità. “Se veniamo licenziati non possiamo neppure accedere alla NASPI. Non abbiamo diritto alla maternità. Non abbiamo diritti. Veniamo retribuiti 400 euro al mese con il rimborso degli scontrini (le più anziane fino a 600 euro). Ma non possiamo dichiarare all’INPS perché non abbiamo una busta paga.
Paradossalmente, i voucher per noi sarebbero un passo in avanti. Anche se ritengo siano comunque uno strumento inadeguato perché aumentano la precarizzazione. Il Jobs Act ne ha fatto un uso smodato quando si è passati dalla soglia dei 5.000 ai 7.000 euro. In quel caso i datori di lavoro, anziché fare contratti a tempo determinato, hanno utilizzato i voucher. La riforma, inoltre, mi sembra una manovra scorretta nei confronti dei lavoratori che avrebbero voluto andare a Referendum e votare l’abolizione dei voucher. Spero che la CGIL. come ha annunciato la Camusso, ricorra alla Corte Costituzionale. Con questi libretti di famiglia, a mio avviso, non cambierà nulla. Sono molto simili ai buoni lavoro” conclude Federica Rocchi.
Difficile l’equilibrio tra lavoratori ed imprenditori
Purtroppo la preoccupazione di non riuscire a sbarcare il lunario o la mancanza di prospettive per un futuro professionale certo si proiettano dal punto di vista imprenditoriale nella difficoltà di mantenere i bilanci in attivo e di pagare gli stipendi. Da un lato, ci sono i diritti dei lavoratori, costituzionalmente sanciti, e la necessità di un lavoro solido e di una stabilità economica. Dall’altro le esigenze di un mercato che chiede ai suoi lavoratori sempre più flessibilità ma che, paradossalmente, si ritrova ingessato in una burocrazia stringente. «È difficile trovare un equilibrio tra le ragioni e necessità dei lavoratori e quelle degli imprenditori. Entrambe le parti sono lasciate sole a combattere la propria guerra.
Gli imprenditori lamentano una forte pressione fiscale e una mancata tutela dell’azienda nei confronti dei dipendenti di cui a volte si sentono “ostaggio”» testimonia Flora Hyeraci, co-fondatrice di Vendere 2.0, la rete solidale di lavoro indipendente che mette in campo attività di consulenza aziendale per la valorizzazione delle competenze nella gestione internazionale, commerciale e comunicativa. «Credo che questo sia il punto di partenza dell’uso improprio dei voucher, visto dal lato imprese, che in questi anni di difficoltà economiche è stato esasperato» intercala.
Secondo Hyeraci, la riforma dei “dopo voucher” è inefficace
Riguardo alla ‘manovrina’ che è stata approvata alla Camera dei Deputati la sua posizione è chiara. «Non credo ci saranno grandi cambiamenti né che le aziende si daranno a più buone pratiche. Il problema del precariato non si risolve con questi interventi. Siamo un Paese di micro/piccole aziende, con poche risorse a volte usate male; che non hanno tempo o competenze per darsi un’organizzazione che superi il bisogno di lavoro occasionale e poi c’è la pressione fiscale. Il tema delle competenze è centrale anche come leva per una maggiore consapevolezza di sé, dei lavoratori e di motivazione» commenta l’imprenditrice. Per evitare di rimanere irretiti nella morsa della precarizzazione, secondo la International Business Developer, «bisogna migliorare le competenze dei lavoratori e degli imprenditori ed affiancare entrambi con piani e strumenti che li aiutino a svilupparsi guardando avanti, in un sistema in cui ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Il senso di responsabilità: altro tema delicato sui cui lavorare culturalmente, a partire dalle Istituzioni, responsabili di una grande distanza rispetto ai reali bisogni del tessuto produttivo italiano».
“Le Botteghe di Mestiere”, inserimento professionale senza l’utilizzo dei voucher
Flora Hyeraci ha anche partecipato anche alla prima edizione del progetto ‘Le Botteghe di Mestiere’, nell’abito del programma A.M.V.A. (Programma di Apprendistato e Mestieri a Vocazione Artigianale) avviato da Italia Lavoro S.p.A. ad agosto del 2011. «In Botteghe di Mestiere non si è ricorso ai voucher. È un progetto alla seconda edizione e si sta lavorando a un nuovo step, facendo tesoro dell’esperienza delle prime edizioni. Giovani di tutta Italia sono stati accompagnati al lavoro passando dalla formazione pratica in azienda. Queste, da sole o in rete, si sono sperimentate come “imprese formatrici”. Risultato: sono nate sia nuove realtà imprenditoriali di giovani, che scuole aziendali per un percorso di inserimento dal basso di nuove leve» conclude Hyeraci.
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