Caro Professor Conte, nella tarda mattinata di martedì 14 agosto stavo leggendo un libro, al solito avevo la tv accesa (in posizione mute) sul canale 100 di Sky. Improvvisamente, con la coda dell’occhio colgo una scena apocalittica: il mitico ponte Morandi, sul quale ero passato tante volte, non c’era più. Capii che questo evento drammatico […]
Whirlpool non ha mollato: come Napoli ha salvato il lavoro
Intervistiamo Monica Buonanno, economista ed ex assessore alle Politiche sociali del Comune di Napoli: “L’arroganza di una multinazionale contro la coesione di lavoratori e istituzioni: la politica può ancora tenere fede al suo mandato”
Si volta pagina. Forse è l’ultima volta che scrivo queste due parole, ex Whirlpool, e che incollo i pezzi di una crisi industriale che passerà alla storia.
Ora che 312 lavoratori hanno firmato i nuovi contratti di lavoro e sono ormai parte del progetto Italian Green Factory – nuova nata dalle mani e dalla mente di Felice Granisso e del suo gruppo Tea Tek, che lo scorso maggio si era aggiudicato il bando per rilevare e reindustrializzare lo storico stabilimento di via Argine a Napoli – mi è venuta voglia di fare un passo indietro per accorgerci quanto sia facile dimenticarsi delle gratitudini che stanno dietro le rivoluzioni.
La vertenza ex Whirlpool è stata una rivoluzione nella gestione delle crisi aziendali e uno dei nomi e cognomi a cui essere grati è Monica Buonanno, tornata nel 2021 alla direzione ANPAL Campania e Calabria, dove lavora da oltre vent’anni come progettista di politiche attive del lavoro, ma che durante la giunta De Magistris è stata assessore al Comune di Napoli con deleghe di peso, tante deleghe, tanto peso.
“Com’è andata dietro le quinte di questa crisi? Te lo dico subito, ma devo partire dal 31 maggio del 2019, quando fui chiamata mentre ero in riunione coi sindacati del turismo; una chiamata d’urgenza. Lavoravo già da un anno in Comune a Napoli e avevo la delega al Lavoro, alle crisi di impresa, allo Sviluppo della città, ma non ancora quella alle Politiche sociali che mi sarebbe tornata utile in seguito. Quel giorno capii immediatamente che stava succedendo qualcosa di grande ma di imprevedibile, non classificabile, qualcosa che era ancora difficilissimo decifrare, anche perché a ottobre 2018 era stato sottoscritto un accordo tra ministero dello Sviluppo economico (il Ministro Luigi di Maio in quel Governo guidava sia l’allora MISE, oggi MIMIT, sia il Ministero del Lavoro, N.d.R.), Regione Campania e Whirlpool a protezione assoluta dei lavoratori, che per questo erano in una condizione di totale serenità.”
“Quella mattina la Whirlpool aveva convocato i lavoratori per comunicare senza alcun preavviso che il loro stabilimento era in chiusura, e lo fece con l’arroganza che solo le multinazionali possono avere, perché qualsiasi impresa che abbia un minimo legame col territorio e con le persone non si muoverebbe mai così e non si permetterebbe mai di farlo. Fu una comunicazione che spiazzò tutti, Istituzioni comprese, tutti erano all’oscuro di una decisione che certamente era chiara da tempo all’azienda, ma di cui non era mai stato accennato niente a nessuno. Corsi allo stabilimento e trovai i lavoratori in assemblea, a quel tempo erano quasi cinquecento persone che poi in quattro anni e mezzo si sono ridotte in modo più che fisiologico e per varie ragioni personali. Pochi, davvero pochissimi di loro, se ne sono andati allo stabilimento di Varese. La sensazione non me la scorderò più: c’era un’aria sospesa, incredula, surreale, chi faceva domande disperate, chi piangeva, chi non capiva. Mi sentii subito di essere due persone in una, da una parte una cittadina fiera della sua Napoli che stava per essere ferita a fondo, e dall’altra un’economista a cui veniva chiesto di farsi carico del problema.”
Dopo quasi cinque anni la domanda non è retorica: si poteva intuire già quel giorno che i lavoratori non avrebbero abbandonato lo stabilimento, né il lavoro negato, né il senso altissimo dei diritti?
Io questa percezione ce l’ho avuta chiarissima quel giorno, anzi la sensazione netta fu che la maggior parte di loro intuì subito la gravità, direi quasi che sentirono subito il dolore che sarebbe arrivato per ognuno di loro. Certo i più disincantati prima degli altri, molti magari hanno sperato che non si arrivasse mai al punto in cui poi tutto invece degenerò. Dopo quattro giorni ci chiamarono a Roma per un tavolo ministeriale e iniziò la lotta.
I tavoli al ministero suonano come un concetto sovrannaturale, si fatica da fuori a capire come si svolgono, chi c’è, chi parla, se servono a qualcosa.
Fatico a far capire cosa trovammo, c’era il mondo dentro e fuori le stanze di quel tavolo. Il ministro, la stampa, tutti. Mi sento di dire che le organizzazioni sindacali, tutte, hanno accompagnato i lavoratori fin dal primo momento, non hanno mai abbandonato la causa, ci hanno creduto fino alla fine insieme agli operai, anche se col tempo sembrava impossibile si potesse arrivare a un lieto fine. Anche le nostre Istituzioni locali non hanno mai perso un centimetro di speranza e di battaglia a fianco dei lavoratori, ma questa vertenza deve essere ricordata soprattutto sul piano umano: finalmente lo ha riconosciuto un intero Paese, e non solo Napoli, che i lavoratori della ex Whirlpool hanno tenuto fede a una cultura del lavoro mettendo in campo tenacia, solidarietà, senso di appartenenza, investimento su un messaggio che voleva mettere in guardia tutti i lavoratori che un giorno o l’altro si sarebbero potuti trovare nella loro stessa condizione. Ecco cosa mi preme dire dopo quasi cinque anni.
Diamo un nome e cognome a chi si sedeva ai tavoli per Whirlpool, chi ci ha messo la faccia negli anni di trattativa?
Agli incontri è sempre venuto Luigi La Morgia, amministratore delegato di Whirpool Italia e vicepresidente delle operazioni industriali EMEA (Europa, Medio Oriente, Africa), accompagnato ogni volta dal responsabile delle relazioni sindacali Carmine Trerotola e da un responsabile della comunicazione. Tutto il management alto, tutto, c’è sempre stato. A un incontro venne anche il manager di Whirlpool EMEA, l’incontro lo fece in inglese. La mia lettura di quei tavoli è che il loro input fosse chiudere lo stabilimento di Napoli senza scrupolo e prima lo facevano più alto era il premio, è triste ma l’ho percepito così. Sono una multinazionale e in quanto tale del tutto disinteressata al lavoro, alle persone, all’Italia. Abbiamo tentato ogni strada con loro.
Lo sfregio fatto allo stabilimento, alle persone e alla storia industriale della città veniva percepito dalle persone comuni?
Non so quante volte, andando a fare la spesa o in strada o dal parrucchiere, qualcuno mi fermava e mi chiedeva Monica, come va il presidio? Bastava dire presidio, presidio era la parola che capivano tutti.
Durante il tuo incarico sei arrivata a gestire fino a 19 deleghe: non si rischia di sovraccaricare un assessore?
A un rapporto di fiducia, quando è così alto, si risponde con ancora più impegno. Quando mi arrivò la delega alle Politiche sociali i lavoratori andarono in ansia perché temevano allentassi la mia attenzione su di loro; è per questo che decisi di portarli con me, in un certo senso. Accettai quella delega proprio per applicare ciò che avevo studiato per anni, e cioè che politiche del lavoro e welfare devono dialogare continuamente, non possono esserci le une senza l’altro.
Ascoltarti mette speranza. La gestione politica di una crisi aziendale può avere molte vie.
Io mi sono basata su un concetto essenziale: la circolarità dei diritti, il diritto al lavoro, alla casa, all’identità, alla salute, al welfare. Se uno di loro viene meno, inevitabilmente si indeboliscono tutti e un po’ alla volta vengono meno anche gli altri. Nel momento buio della vertenza pensavo alla vita di questi lavoratori e, a cascata, a tutto quello che non avrebbero più avuto in assenza di stipendio: affitti, necessità per i figli, vita privata, vita sociale, terapie per famigliari con disabilità. Forse loro non si sono accorti fin da subito di come stavo impostando la mia gestione ma si sono fidati, forse si sono affidati, e mi hanno seguita. Il 3 gennaio 2020, a un passo dalla pandemia, alla Mostra di Oltremare qui a Napoli abbiamo organizzato con loro il pranzo di Natale per i poveri, mi sono fatta aiutare da loro e hanno aderito quasi tutti. Indimenticabile ciò che venne fuori, una festa della vita nonostante le tragedie che ognuno seduto a quei tavoli si portava dentro mentre i lavoratori della Whirlpool, con la loro maglietta, li servivano ai tavoli. Abbiamo cantato, suonato, festeggiato. È stato il momento che mi ha fatto capire che tipo di persone fossero e quale fosse la strada da battere.
Non hai fatto tutto da sola, immagino.
Nel mio assessorato avevo uno staff eccellente di tre persone. Poi c’è stato tutto il sostegno da fuori, da persone che sono venute a testimoniare e a sostenere, penso a Cecilia Strada, Maurizio de Giovanni, i referenti di Libera, Paolo Siani, abbiamo fatto Miss Italia, organizzato cortei, distribuito i panettoni a Natale ai turisti sotto la Galleria Umberto, sempre col messaggio Whirlpool Napoli non molla stampato addosso. Così come la festa di Ferragosto 2021, come occasione di riconoscimento dei movimenti civici e di partecipazione democratica, mettendo insieme gli operai della Whirlpool e il Comitato Vele di Scampia (Monica Buonanno ha seguito anche tutta la fase dell’abbattimento della Vela verde per il diritto all’abitare, N.d.R.) più tutto quello che ora non mi viene in mente per quante ne abbiamo fatte con loro pur di tenere alta l’attenzione della città e del Paese.
Feste ogni tanto, ma soprattutto anni di sconforto.
La vertenza Whirlpool è stata una vertenza di tensioni terribili, tensioni amministrative, politiche, sindacali, momenti tragici in cui i lavoratori hanno dormito d’inverno di notte al gelo sotto il ministero perché nessuno li ascoltava e riceveva. Insomma una vertenza connotata dalla tipica matrice, ma bilanciata da un livello diverso di fare lotta: mettersi nei panni degli altri mentre si lotta per sé stessi.
Quando è finito il tuo incarico che cosa hai sentito, con la vertenza ancora sospesa?
Da un lato ero più libera di esprimermi, per quanto lo fossi anche sotto incarico, ma immagino si capisca cosa intendo: intendo dire che da cittadina ero alla pari con loro. Dall’altro certamente meno utile. Sono grata all’assessore regionale al lavoro Sonia Palmeri, donna come me che in quegli anni di fatica si è spesa al massimo per trovare strade, soluzioni, insomma per non cedere, e non nascondo che tra noi due si era creato un sodalizio incredibile e i lavoratori ce lo hanno riconosciuto. Sì, questa vertenza è stata anche una vertenza di gratitudini.
Il passaggio dei governi, da Conte a Draghi, ha lasciato tracce?
Le basi forti erano state messe, chi è arrivato dopo ha trovato un lavoro di squadra solido: istituzioni, sindacati, lavoratori, città. Poi anche il sindaco è decaduto, e anche il mio mandato, quindi non so valutare, da dentro, come si sono mossi nella fase finale.
La politica è stata in grado di proteggere il lavoro e le persone. Non siamo più abituati a pensarlo.
Lo è stata, e lo dico avendolo vissuto in prima linea con altre figure politiche e istituzionali: la politica può ancora tenere fede al suo mandato, non dovrebbe mai sottrarsi a questo. Io non essendo una politica di mestiere posso dirlo. E poi di crisi aziendali ne avevo già gestite tante – RFI, Trenitalia, Tirrenia – ma mai avrei immaginato come incarico politico di dover gestire un nome come Whirlpool in una città come Napoli. Sono cresciuta moltissimo.
Si riesce a dire oggi, e ripensando a tutto ciò che hai visto dalla cabina di regia, cosa ha fatto la differenza per il finale di questa storia?
Aver messo un livello di umanità in ogni passaggio, ecco cosa è stato vincente da parte di tutti i soggetti coinvolti. Forse nient’altro quanto l’aver provato in ogni momento a ricordarci che era un dramma di ognuno e di tutti allo stesso tempo. Chi ha un incarico politico è vero che deve sempre mantenere l’indirizzo dell’amministrazione che rappresenta, ma se ci mette anche una componente relazionale, empatica, allora arriva dall’altra parte. I lavoratori hanno fatto la stessa cosa, anzi di più: non si sono messi a lamentarsi e basta o a dire siamo poveri e sfortunati, hanno iniziato a inventarsi presidi in fabbrica, progetti, attività, hanno allestito un palco e quasi un teatro per continuare ad avere stimoli e a mandare messaggi forti all’azienda e al Paese. Andavano anche a donare il sangue all’Avis perché dicevano che c’era chi stava peggio di loro.
Saluto Monica Buonanno dopo un’ora con lei. Credo di aver parlato, lungo tutta l’ora, agli stessi occhi che i lavoratori si sono trovati davanti ogni volta che l’hanno incontrata, occhi di chi vuole arrivare in fondo anche se non c’è traccia di luce. Mi saluta con la riflessione più nobile.
“Ho lottato insieme a persone che sono certa scenderebbero in piazza accanto a chiunque si trovasse un giorno nell’incubo che hanno vissuto per quattro anni. Sono persone che hanno lottato affinché non accadesse più quello che è successo a loro. Nel frattempo uno si è laureato in ingegneria, un’altra in scienze delle comunicazioni, un’altra mi ha persino dedicato una tesi di laurea sulla forza delle donne, a testimoniare che ho avuto anche la massima libertà di movimento in ogni mia mossa lungo tutta la vertenza, la massima libertà di espressione e di manovra, sono stata in prima linea anche come donna. Facevamo comunicati stampa agguerritissimi contro il Governo e i ministri per chiedere giustizia su una ferita industriale in cui c’era bisogno di loro se non volevano sentirsene responsabili per sempre”.
Seguire da vicino, per mesi, la ex Whirlpool ha cambiato anche me, col lavoro messo sotto ricatto e i lavoratori che hanno saputo dire no. Un giornalismo anche di gratitudine.
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