Whistleblowing: “Uccisi dallo Stato. Il regime forfettario è una follia”

Doveva agevolare una categoria di liberi professionisti, ma sono in molti a denunciarne i controsensi. Pubblichiamo la lettera di una partita IVA a regime forfettario, aperta al contradditorio.

Pubblichiamo una lettera aperta sul tema delle partite IVA a regime forfettario, che di fatto è un regime facoltativo e non obbligatorio. La redazione invita i lettori a interpretare il testo come punto di vista dell’autore e a prendere parte a un confronto libero sul tema, commentando con le proprie esperienze.


La follia del regime forfettario, un tempo chiamato regime dei minimi, rischia di pesare come un macigno proprio sulle categorie per cui è stato istituito. Le assurdità italiane.

Un tempo esisteva il regime dei minimi, in cui era ancora concesso il “lusso” di detrarre i costi dai ricavi per ottenere l’utile sul quale calcolare IRPEF e INPS, come vogliono le buone regole di contabilità studiate a scuola. C’era un tetto massimo di circa 30.000 euro. La semplificazione si poteva mantenere fino a cinque anni dopo l’apertura, un tempo più o meno buono per ingranare con l’attività ed entrare nel marasma del regime ordinario.

Con l’entrata in vigore del forfettario questo privilegio è stato revocato, ma innanzitutto ricordiamo che si tratta di una regola contabile. Come d’altronde lo sarebbe non calcolare l’IVA sulle tasse, cosa che invece avviene per le bollette di gas e luce; le famose accise, su cui chi di dovere sembra continuare a fare orecchie da mercante.

Pertanto con l’attuale normativa non è più possibile scaricare la parcella del commercialista, che ammonta all’incirca a 800 euro all’anno indipendentemente dal numero di fatture emesse. Non è possibile scaricare eventuali costi di affitti, carburante, mezzi di trasporto, costi di manutenzione dell’auto, viaggi di lavoro, albergo, costi inerenti a materiale necessario all’attività, corsi di formazione, assicurazione professionale e via dicendo. Spese che si aggirano tra le 400 euro mensili o anche più, in base a eventuali affitti sostenuti.

Quando poi accade qualche strano ed eccezionale avvenimento, come in quest’anno e mezzo in cui si riducono drasticamente le entrate, ci si ritrova a dover versare a giugno 830 euro a fronte di un incasso totale di 3.300 euro, e altri 400/600 stimati a novembre.

E lo Stato pensava di agevolarci? Preferivo prima, grazie.

Il regime forfettario permette di detrarre una piccola percentuale di spese, nel mio caso il 22%, ma facendo un calcolo approssimativo diviene vantaggioso solo se si arriva a fatturare sopra i 20.000/25.000 euro annui. Trovo un’autentica assurdità il tetto massimo di 65.000 euro, in quanto chi supera i 35.000 euro a mio avviso può benissimo passare al regime ordinario.

Mi viene da pensare che sia stato elaborato per agevolare situazioni particolari anziché i nuovi professionisti – e magari imprenditori – del futuro. Altrettando assurdo è non poter scaricare i costi, e non aver creato quantomeno una no tax area, come accade, se ricordo bene, per l’ordinario.

Questa vicenda mi ha suscitato estrema irritazione e indignazione, tale da farmi decidere di recarmi alla Guardia di Finanza per denunciare il fatto, in quanto mi pare una ruberia. Ho chiesto se fosse possibile fare un ricorso o qualunque altra cosa utile per denunciare questa grave “irregolarità” nel calcolo delle imposte, che è tutto fuorché proporzionale ed equa. Purtroppo non sono stati in grado di aiutarmi.

Vorrei che la cosa venisse affrontata e risolta in modo adeguato. I liberi professionisti non sono dei ladri, come spesso si vuole dipingerli: devono essere messi in condizioni di lavorare liberamente, e non essere uccisi dallo Stato. 

I commercialisti, che hanno maggiore contezza di ciò che accade a livello macroscopico, dovrebbero a mio avviso essere i primi a segnalare con insistenza la situazione. Ogni partita IVA che chiude, è un cliente in meno. L’economia è una ruota.

Lo Stato deve innanzitutto occuparsi di creare terreno fertile affinché si possa non solo lavorare, ma vivere dignitosamente della propria professione. In questo modo i lavoratori potranno creare lavoro a loro volta, incrementando benessere economico-sociale e opportunità.

Le risorse di qualunque genere – naturali o umane – devono essere valorizzate anziché sfruttate. Dando valore possiamo produrne di nuovo; quando ci limitiamo a consumare produciamo povertà.

G. L.

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