L’idea alla base, quindi, è di una serie di benefici a catena. Oggi, come si diceva, negli appalti si nasconde un doppio rischio di dumping: quello sui salari, attraverso l’applicazione dei contratti pirata, e quello sulla sicurezza. Al primo si è risposto con una norma che impone l’applicazione dei contratti collettivi “leader”; la tutela in materia di sicurezza resta invece scarsa.
Bisogna poi soffermarsi su un altro aspetto: l’attuale norma pone una serie di perplessità interpretative. Finora abbiamo dato per scontate le definizioni usate, ma se entriamo nella pratica quotidiana, come si fa a distinguere un rischio specifico da un rischio generico? Quali criteri vanno adoperati?
“Esiste una notevole casistica molto complessa” insiste de Marchis. “Il quesito referendario avrebbe l’effetto di semplificare, e a quel punto le imprese non avrebbero più la scusa per nascondersi dietro il rischio specifico, che è la prima cosa che si eccepisce in Tribunale in casi simili”.
Va infine ricordato che oggi i danni subiti dai lavoratori infortunati sono indennizzati dall’assicurazione INAIL, fino a un certo punto. L’Istituto, infatti, paga il danno subito sulla base di un tabellare; restano fuori il danno morale e il cosiddetto differenziale, cioè la differenza tra quel tabellare INAIL e il danno specifico. Di questi dovrebbero rispondere le imprese coinvolte. Se il rischio è specifico, oggi ne risponde solo l’impresa datrice di lavoro diretta della vittima dell’infortunio. Nelle speranze della CGIL, invece, questa responsabilità va estesa sempre anche a chi ha commissionato l’appalto.
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