Il 13 agosto 2007, nella sua villetta di Garlasco – in provincia di Pavia, a pochi passi da Milano – viene trovata morta Chiara Poggi, 26 enne neolaureata, uccisa dal fidanzato Alberto Stasi, che viene quasi subito indagato dai carabinieri.
Ci vogliono cinque gradi di processo per stabilire la colpevolezza di Stasi. Viene assolto sia in primo grado che in appello; poi la Cassazione rinvia alla Corte d’assise d’appello con l’indicazione di fare indagini, e Stasi viene condannato per la prima volta. La Cassazione conferma la condanna.
Nel 2014, però, arriva il colpo di scena. I legali di Stasi incaricano un investigatore di prelevare con un artificio il DNA di Andrea Sempio, un ragazzo amico del fratello di Chiara Poggi, che all’epoca frequentava la casa. Consegnano il DNA agli inquirenti, nell’ambito di una serie di indagini difensive. Tra le prove ci sono tre telefonate di Sempio a casa Poggi. Per la procura di Pavia gli indizi non sono sufficienti a far riaprire il caso, e per ben due volte archivia.
Tutto finito? Neanche per idea.
Nel 2024 sulla base di una denuncia per altri motivi dell’avvocata di Stasi Giada Boccellari, la procura di Pavia decide di riaprire il caso e di disporre nuove indagini. Secondo le nuove tecniche di analisi le foto digitali del DNA di Sempio e quelle delle tracce trovate sotto le unghie di Chiara sono compatibili. Viene disposto un ulteriore prelievo il 13 marzo 2025, e dall’analisi del DNA la procura incarica Carlo Previderé, noto genetista dell’Università di Pavia, che ha già lavorato sull’indagine per l’omicidio di Yara Gambirasio. Per lui sono sovrapponibili.
A questo punto i pubblici ministeri chiedono al giudice per le indagini preliminari l’apertura di un incidente probatorio, con tanto di nomina di periti. Nel frattempo fuori è infuriata la battaglia mediatica, che ha fatto a pezzi un po’ di professioni.