Cerved licenzia? Colpa del software: se i broker sono i nuovi rider

Il caso dell’azienda di consulenza creditizia, che ha messo alla porta 107 venditori esterni con un’e-mail, rischia di fare scuola: 2.700 lavoratori scioperano contro il PIP, un programma che dovrebbe valutare il loro operato in riferimento a “obiettivi” ignoti

20.12.2024
Uno dei cartelli dello sciopero dei dipendenti Cerved: "A.I. stop alla disumanizzazione del lavoro"

I commerciali esterni non raggiungono l’obiettivo (che non è nemmeno ben specificato) e Cerved Group non rinnova loro il contratto, puntando a sostituirli con l’intelligenza artificiale. Ce n’è abbastanza da far decidere ai sindacati di convocare uno sciopero di otto ore.

Questo, in sintesi, è ciò che ha convinto le organizzazioni sindacali a indire manifestazioni in tutte le sedi, il 19 dicembre, che hanno coinvolto 2.700 lavoratori. Ma è solo la punta dell’iceberg di un sistema che finora è rimasto sommerso e che potrebbe fare scuola.

Lo sciopero convocato è una manifestazione singolare, perché tanto per cominciare nel settore dei servizi alle imprese e delle agenzie di rating non si sciopera tutti i giorni. Nel caso di Cerved arriva dopo anni in cui il clima aziendale non è stato dei migliori, tra scontri nella gestione del personale, dimissioni di HR (mai rimpiazzati) e azioni vissute come mancanze di rispetto, come quella di interrompere i rapporti con i commerciali con un’e-mail inviata di sabato mattina, quando l’azienda è chiusa e nessuno può rispondere – ma soprattutto quando in molti non guardano l’e-mail aziendale.

Si tratta in questo caso solo dell’ultimo capitolo di una serie di tensioni che, secondo alcuni dipendenti sentiti da SenzaFiltro, durano da almeno due anni, e che hanno reso l’aria in azienda poco respirabile. Ma Cerved non è l’ennesima impresa che vuole tagliare i costi: rischia di diventare un caso da manuale.

Cerved, l’arrivo di Andrea Pignataro e l’esplosione degli utili

L’azienda nasce negli anni Settanta, parte dal Veneto e poi arriva a diventare un colosso nazionale. Il core business iniziale è quello della gestione dei dati, ma col passare del tempo si aggiungono altri servizi, come il rating, il credit management e il risk management. Insomma, Cerved si consolida come una realtà di primo piano del terziario avanzato, e non solo.

La svolta arriva nel 2021, quando l’ex enfant prodige della finanza Andrea Pignataro acquista in un sol colpo Cedacri e Cerved, con una spesa di 3 miliardi. Tenuto di recente a battesimo da Fabrizio Palenzona – dominus della finanza italiana – come il nuovo modello di finanziere che non esercita l’amichettismo all’italiana, Pignataro è un appassionato di numeri. Laurea in matematica e studi all’estero, a Bologna (dove è nato e ha studiato) da ragazzo se lo ricordano in pochi: troppo impegnato a studiare e poi a perfezionarsi a Londra. Poco amichettismo, ma anche pochi amici. Eppure, a grandi passi, scala il mondo della finanza, impiegandosi in Salomon Brothers.

Il suo modello più che il lupo di Wall Street è il Michael Burry della Grande Scommessa, appassionato di numeri e di tendenze, ma pochissimo di rapporti umani. Qualche tempo fa il suo nome è comparso nelle classifiche degli uomini più ricchi d’Italia, piazzandosi al secondo posto. Ma anche gli estensori di biografie improvvisate a uso e consumo degli utenti del web hanno dovuto cedere le armi: su di lui ci sono poche informazioni, perché non rilascia interviste. Si sa che vive a Milano nel quartiere San Siro e che non è proprio il monaco che sembra; possiede un jet privato e ha la passione per gli yacht. Il suo gruppo finanziario si chiama Ion e macina utili, ma il cambiamento arriva con l’ingresso in Cerved, che nel giro di tre anni passa da 500 a quasi 3.000 dipendenti. Il 2023 è per lui un anno d’oro, con gli utili della sua società Besse, con sede in Lussemburgo e a cui fanno capo tutte le controllate, che passano da 30 a 61 miliardi.

Secondo chi vi lavora è la forza vendita, esperta e attiva, a fare la differenza, anche perché il settore in cui ci si sta muovendo è quello della finanza e del denaro, dove la fiducia e il rapporto umano hanno un peso superiore anche a quello che possono avere i numeri cari a Pignataro. Eppure, nonostante i risultati da capogiro, da inizio dicembre il metodo è cambiato. Nel 2025 potrebbe finire l’epoca dei guadagni e aprirsi quella dell’austerity.

Il modello Microsoft: fuori i venditori, dentro i computer

Il segno di cambiamento è l’arrivo di Carlo Purassanta, manager scuola Microsoft, che sembra voler applicare il metodo sviluppato nella società informatica, che prevede appunto la sostituzione dei lavoratori, anche esterni, con l’automazione.

«Forse funziona nell’informatica – mormorano alcuni ex dipendenti – ma non nella finanza, dove il rapporto fiduciario è alla base.»

L’obiettivo è quello di rimpiazzare i venditori esterni, professionisti in partita IVA dai fatturati spesso alti, con dei dipendenti, oppure con i computer, creando un notevole risparmio per l’azienda. I più giovani accettano subito un posto da dipendente – di questi tempi la sicurezza vince sulla volontà di crearsi un nutrito pacchetto clienti – mentre i più vecchi si trovano senza una fetta di fatturato. La motivazione sta in un’e-mail che avrebbe potuto scrivere il conte Mascetti, spiegano alcuni lavoratori: «Gli obiettivi non sono stati raggiunti».

PIP, il programma che fa e disfa i dipendenti

Sì, ma quali obiettivi?

Lo strumento che viene scelto per spiegare come le cose non vadano si chiama PIP, e lo sciopero ruota tutto attorno a quello. La sigla sta per Performance Improvement Plan e, scrivono i sindacati nel loro comunicato, è «un programma che, pur presentato come un’opportunità formativa, si è rivelato uno strumento coercitivo e punitivo per i 2.700 dipendenti della tech company specializzata in servizi alle imprese. Il PIP è stato introdotto dall’azienda senza criteri chiari, obiettivi definiti né un confronto preventivo con le rappresentanze sindacali, generando un clima di tensione e insicurezza inaccettabile. In alcuni casi il PIP è stato utilizzato per spingere i dipendenti a lasciare volontariamente l’azienda, con espliciti inviti a “non restare nell’organizzazione” qualora non condividessero le modalità di gestione del piano. A queste criticità si aggiungono le preoccupazioni relative all’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali, che potrebbe comportare una riduzione dei posti di lavoro senza adeguate tutele per il personale».

I lavoratori e i loro rappresentanti puntano il dito contro la scarsa trasparenza da parte dell’azienda, che sta mettendo in atto un piano che la impoverirebbe. È proprio quell’invito messo nero su bianco a “non restare nell’organizzazione” che solleva dubbi: che significa?, si chiedono gli scioperanti. L’ipotesi è che se qualcuno non dovesse raggiunge gli obiettivi verrebbe lasciato a casa (come è successo con le partite IVA) oppure spostato di mansione; ma soprattutto si domandano come faranno a raggiungere gli obiettivi, se gli obiettivi non sono noti.

Al momento il bilancio è di 107 agenti esterni che hanno perso il lavoro – quelli che sono stati licenziati con la famigerata e-mail – ma la paura è che ce ne possano essere altri. Per il momento di risposte non ne arrivano e con l’azienda non è stato aperto un tavolo di confronto, ma i lavoratori sperano si possa aprire uno spiraglio per il futuro di una realtà in crescita, che negli ultimi mesi però ha visto diverse defezioni da parte di chi non condivide le decisioni del management aziendale.

In mancanza di risposte dell’azienda, cominciano gli appelli alla politica: in Calabria ad esempio, dove la sede Cerved di Cosenza è uno dei pochi presidi sul territorio, si è chiesto l’intervento dell’amministrazione locale per aprire un tavolo di confronto.

 

 

 

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In copertina, un fotogramma dal servizio realizzato da Milano Pavia TV.

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