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I professionisti del teatro lucchese, che ospita l’inaugurazione del più grande festival della cultura pop in Italia, sono da mesi in stato di agitazione, ma l’amministrazione li ha ascoltati solo quando hanno minacciato di scioperare durante il Lucca Comics. Le cause della protesta in un quadro culturale sempre più smagrito

È durato appena quarantott’ore il braccio di ferro che ha rischiato di far saltare l’inaugurazione del Lucca Comics & Games 2025. Ma la brevità non deve ingannare: lo sciopero “abortito” dei lavoratori del Teatro del Giglio ha messo in scena la fragilità costitutiva di un’istituzione culturale in bilico tra vetrina internazionale e crisi di gestione.
L’annuncio dell’astensione dal lavoro, diffuso il 27 ottobre, prevedeva lo sciopero per il 29 ottobre, giorno esatto della cerimonia di apertura del Lucca Comics, ospitata da anni proprio nel teatro comunale. Non un incidente di calendario, ma una scelta deliberata, dopo mesi di stato di agitazione e di richieste ignorate. L’assemblea dei lavoratori – su mandato di SLC CGIL Lucca e USB – aveva deciso di colpire nel punto di massima esposizione pubblica: l’obiettivo era “inviare un messaggio chiaro all’azienda e all’amministrazione comunale”, ma anche ai cittadini e ai visitatori “inconsapevoli delle dinamiche distorte che si celano dietro lo sfarzo del grande evento”.
La mossa ha funzionato. La minaccia di un blocco alla cerimonia inaugurale di LC&G, appuntamento che attira ogni anno migliaia di spettatori e l’attenzione dei media internazionali, ha costretto l’amministrazione lucchese a muoversi dove fino ad allora aveva temporeggiato. Il 28 ottobre, a meno di quarantotto ore dall’apertura, è arrivato l’annuncio della revoca dello sciopero.
A mediare è stato direttamente il sindaco Mario Pardini, che si è impegnato a riaprire il tavolo di trattativa con la Rappresentanza Sindacale Unitaria il 19 novembre. Una concessione minima ma significativa dal punto di vista politico, che ha permesso di inaugurare l’evento secondo i piani originari. Più che una vittoria, è l’ammissione del fallimento di un sistema che ha lasciato incancrenire un conflitto fino a renderlo pubblico – e imbarazzante.
Dietro lo scontro lampo di ottobre c’è una vertenza che affonda le radici nei mesi precedenti.
Il Teatro del Giglio è in stato di agitazione permanente da gran parte del 2025. A giugno, un primo sciopero di tre giorni aveva già messo in allarme la direzione, con l’amministratore unico Giorgio Lazzarini che definì la protesta “incomprensibile”, pur dichiarando disponibilità a trattare. Ma i lavoratori, attraverso le sigle CGIL e USB, puntarono subito il dito verso l’amministrazione comunale, ritenuta corresponsabile di un blocco non solo economico, ma politico.
Il cuore delle rivendicazioni ruota attorno a quattro punti: sottoscrizione degli accordi di secondo livello, rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale (CIA), riconoscimento delle professionalità interne, stabilizzazione del personale precario. Punti che, secondo i sindacati restano “sostanzialmente disattesi”. L’azienda, dicono, ha mostrato “una totale chiusura rispetto ai tempi e ai contenuti della piattaforma per il contratto integrativo”. In altre parole, disponibilità di facciata ma nessuna apertura reale sui nodi strutturali.
Nel frattempo, il personale è stato via via ridotto, e i carichi di lavoro aumentati. Si è fatto ampio ricorso a contratti a termine, appalti a cooperative e inquadramenti atipici, una gestione che consente flessibilità al costo delle certezze di chi tiene in piedi il teatro. La prolungata assenza di un direttore generale — figura rimasta vacante per anni — ha aggravato il quadro.
La dirigenza del teatro ha giustificato la propria chiusura al dialogo con motivazioni economiche. Secondo la versione ufficiale, il mancato rinnovo del CIA e la mancata attuazione degli accordi di secondo livello sarebbero dovuti a un “disavanzo di bilancio”. Eppure i conti del Teatro del Giglio raccontano un’altra storia.
Alla fine del 2024, l’assessora alla cultura Mia Pisano e lo stesso Giorgio Lazzarini avevano annunciato con orgoglio una chiusura in pareggio, accompagnata da una riduzione dei debiti da 1,4 milioni a 800.000 euro. Difficile, allora, spiegare come in meno di un anno si sia passati da un bilancio risanato a un’emergenza finanziaria tale da bloccare qualsiasi rinnovo contrattuale.
Secondo i sindacati, l’azienda avrebbe usato la scusa del disavanzo come un cuscinetto prudenziale per differire impegni economici a lungo termine. La spiegazione ufficiale, osservano, coincide con l’annuncio di possibili tagli governativi al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) nel 2025, contesto che ha spinto la dirigenza a blindare le spese sul personale, mantenendo alta la flessibilità e bassi i costi fissi.
Ma la contraddizione resta evidente. Un teatro che si dice risanato nei conti, ma che allo stesso tempo è incapace di riconoscere i diritti del suo organico, denota una gestione che preferisce accumulare margini di sicurezza finanziaria piuttosto che consolidare la propria base umana e professionale. Il tutto senza perdere un colpo dal punto di vista dell’immagine culturale cittadina.
La vertenza del Teatro del Giglio è ascrivibile al quadro più ampio del precariato strutturale nel settore dello spettacolo dal vivo, aggravato da una stagione di austerità e da un modello culturale sempre più centrato sui grandi eventi.
Nel caso lucchese, come già detto, la contraddizione è lampante: una struttura pubblica che funziona grazie alla dedizione di lavoratori sottopagati, cui viene chiesto di sostenere lo sfarzo di un sistema culturale che tende a escluderli dai riconoscimenti. Da un lato il teatro è presentato come “il gioiello della città”, simbolo della tradizione musicale e teatrale di Puccini; dall’altro, il suo funzionamento quotidiano dipende da un sistema di lavoro frammentato, sostenuto da personale precario e carichi di lavoro in aumento.
Ma non tutti sono d’accordo con la retorica dell’oculatezza opposta alle rimostranze dei lavoratori. Secondo le sigle sindacali, il Teatro del Giglio ha adottato negli anni una “politica di gestione miope e dispendiosa”, fatta di turni prolungati e appalti a cooperative sociali che garantiscono flessibilità ma minano la continuità professionale. I lavoratori chiedono il passaggio da un modello “usa e getta” a uno che riconosca la competenza accumulata in anni di servizio; un prerequisito cruciale per un teatro capace di programmare davvero non solo una stagione di spettacoli, ma la sua presenza come presidio culturale sul territorio.
Eppure, mentre il personale denunciava condizioni insostenibili, l’amministrazione comunale concentrava energie su operazioni d’immagine. È dello stesso 2025 la decisione di intitolare il teatro a Giacomo Puccini – l’asso pigliatutto della cultura lucchese alta – con tanto di nuova insegna eponima – “Teatro del Giglio Giacomo Puccini”. Un gesto celebrativo accolto con toni trionfali, ma anche con critiche severe da parte di artisti e operatori locali, che l’hanno bollato come una “ubriacatura pucciniana” e “una pacchianata”. E una scena già vista, da qualche anno a questa parte: invece di agire sulla struttura di un’istituzione, le si cambia nome, aggiungendo a parole ciò che (talvolta non) mancava.
Tornando al presente: sciopero revocato, inaugurazione fatta, problema evitato. Tutti contenti? Certo che no.
Per adesso si parla di un rinvio, non di una soluzione. Il sindaco Pardini ha promesso di riaprire il tavolo delle trattative il 19 novembre, ma la crisi è stata solo differita. Finché la pressione mediatica del Lucca Comics & Games incombeva, il potere politico non poteva permettersi un teatro chiuso; ma, una volta spenti i riflettori, è facile prevedere quanto sia forte la tentazione di un ritorno all’immobilismo. Gli stessi lavoratori ne sono consapevoli: lo sciopero è servito a rompere il muro del silenzio, ma non a ottenere le garanzie economiche e normative richieste da mesi.
Il bilancio 2024, come si diceva chiuso in pareggio, dimostra che le risorse esistono. Al momento manca una governance capace di tradurre il risanamento contabile in stabilità sociale e gestionale. E in questo la responsabilità è tanto del management quanto dell’amministrazione comunale, azionista unica dell’ente.
La vicenda del Teatro del Giglio è una parabola emblematica di come la cultura venga spesso amministrata in Italia. Ha mostrato che il consenso pubblico è una leva più potente di qualsiasi trattativa interna, ma ha anche messo a nudo un sistema in cui la voce dei lavoratori conta solo quando può mettere in crisi l’immagine di una città.
Ci perdonerà Puccini, ma se un bel dì – il 19 novembre – non vedrà risposte concrete, la prossima protesta potrebbe non essere così facile da disinnescare. E allora, dietro la facciata del teatro restaurato e delle celebrazioni pucciniane, tornerebbe sul palco la rappresentazione della crisi: quella di un’istituzione viva grazie a un personale che, per essere ascoltato, deve minacciare di spegnerne i riflettori.
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Photo credits: teatrodelgigliogiacomopuccini.it

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