AGI in vendita: si scrive informazione, si legge politica

Il potenziale nuovo acquirente di AGI, Antonio Angelucci, punta ad aggiungere la seconda agenzia di stampa italiana al fronte giornalistico di centrodestra: l’ennesimo editore impuro in un sistema in cui l’informazione non riesce a sostentarsi da sola e deve appoggiarsi a privati e politica

23.03.2024
AGI, la vendita è una questione politica: un'immagine della sala regia della seconda agenzia di stampa italiana

L’atavica mancanza nel giornalismo di un editore puro (ossia che guadagna dal solo prodotto editoriale), la dichiarata esistenza di una “linea editoriale”, la più recente indisponibilità del lettore a pagare per informarsi a dovere, sono elementi che caratterizzano il panorama giornalistico italiano – e non da oggi. In questo contesto, in un settore in perenne crisi (economica), ma con un accesso alla pubblicazione facilitato dal digitale, si colloca il pullulare di informazione settoriale branded. Ossia con un editore alle spalle che, nel piccolo e nel grande, fa il suo gioco.

Con un Ordine professionale dei giornalisti che è ancorato a modelli superati (un po’ come il fumo nelle redazioni davanti alle Lettera 43), ma che nel silenzio-assenso accetta tale soluzione, il privato ancora oggi – e in maniera ancor più capillare che in passato – permette all’informazione di continuare a viaggiare sui canali italiani, anche quando nessuno la compra più, anche quando tirare giù il bonifico (scarno) a fine mese per i collaboratori diventa sempre più complesso, nelle grandi realtà come nelle piccole.

Ci sarebbe da sedersi, riflettere, ordinare, fare un esercizio di realtà e fissare nuovi paletti della deontologia che tengano conto di come il mondo dell’informazione – sebbene annaspando – continui a camminare così. Ma resta un fatto: in realtà il mondo dell’informazione è sempre andato così.

In questo quadro va collocato il tentativo di acquisto dell’AGI da parte dell’imprenditore Antonio Angelucci.

L’AGI di Angelucci? Una nuova pedina da aggiungere al fronte del centrodestra

Il “ras delle cliniche laziali” in quota Lega avrebbe messo sul piatto 30/40 milioni di euro per assicurarsi la seconda agenzia giornalistica d’Italia.

Un privato che vuole investire nell’editoria? Un’idea di giornalismo diversa? Una rivoluzione nel modo di intendere l’agenzia (tra l’altro, agenzia che lavora già benissimo di per sé)? Macché. Come al solito, l’informazione è politica.

Questa maggioranza di centrodestra orfana (fisicamente) di Silvio Berlusconi ha investito parecchie energie per costruire un fronte d’informazioneamico”. Libero, il Giornale e Il Tempo sono già in quota Lega. Sulla Rai si sono spese tonnellate d’inchiostro. I format Mediaset hanno una precisa linea che seguono in maniera incessante. Capirete che Angelucci porterebbe l’AGI alla causa come il cacciatore che serve un cervo appena cacciato alla Regina, e non è un caso che a muovere i fili di questa tentata acquisizione ci sia (a proposito di salti da una parte all’altra della barricata – informazione) Mario Sechi, che tra una direzione di testata e l’altra è stato portavoce di Giorgia Meloni.

Con un fronte così numeroso e schierato, a cui l’AGI aggiungerebbe maggiore autorevolezza, diminuirebbe di molto il rischio che ci siano “stigmatizzazionisu linee di pensiero della maggioranza discutibili, come l’idea del ministro Lollobrigida che i poveri mangino meglio, o il ministro Valditara che ritiene l’umiliazione uno strumento didattico. Ma anche questo fa parte di un gioco visto e rivisto.

Perché non è questione di giornalismo

Intanto va detto che tale operazione, se mai si farà, non la si farà in tempi rapidi, e questo perché anche l’ENI (proprietaria di AGI) sta giocando la sua partita – leggesi Piano Mattei. Una partita che vede tra i papabili arbitri istituzionali anche il ministro Giancarlo Giorgetti, che in ENI avrebbe interessi.

Insomma, la solita matassa all’italiana. Il lettore però può star pur certo di una cosa: in tutto questo gioco, nulla c’entra il prodotto editoriale. Nulla c’entra il miglioramento della qualità del lavoro (e della vita) dei bravissimi colleghi di AGI. Nulla c’entra una nuova idea di informazione, un cambiamento nelle modalità di fruizione, un’idea imprenditoriale innovativa alla base.

Non ci sono ad oggi i presupposti per pensare a un Angelucci imprenditore mecenate che investe in un’impresa giornalistica solo in quanto tale. Nell’ennesimo gioco di pedine del potere, il giornalismo in quanto tale non è coinvolto. Sarebbe ancora una volta uno strumento per imprese altrui, non il cuore dell’impresa stessa. E fin quando andrà così, fin quando l’informazione non si pagherà da sola la sua libertà, dobbiamo sperare nel buon cuore di piccoli e grandi editori per avere una stampa libera.

 

 

 

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Photo credits: eni.com

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