COVID-19, mondo cane! L’Italia in stallo dei dog sitter e delle dog beach

“Per chi fa di mestiere il dog sitter è un disastro. Siamo considerati i precari dell’industria Pet, ma a differenza del settore alimentare per cani e gatti noi non lavoriamo. E il guaio è che siamo in tanti, più di quello che si immagina. Il numero dei cani è molto cresciuto, e la maggior parte […]

“Per chi fa di mestiere il dog sitter è un disastro. Siamo considerati i precari dell’industria Pet, ma a differenza del settore alimentare per cani e gatti noi non lavoriamo. E il guaio è che siamo in tanti, più di quello che si immagina. Il numero dei cani è molto cresciuto, e la maggior parte delle persone che possiede cani lavora – o meglio, lavorava. Da quando in Lombardia è esploso il coronavirus la gente i suoi cani se li tiene a casa, e da quello che mi risulta li usa fin troppo spesso per poter uscire a fare la pipì anche quando i poveri cani sono ormai svuotati. Io normalmente lavoravo molto durante le vacanze pasquali e i lunghi week end, ma negli ultimi tre mesi il telefono si è ammutolito. Chi ha la partita Iva forse qualche uscita l’ha fatta, ma la maggior parte dei dog sitter è rimasta a casa”.

Alessia Donnino, 40 anni, in genere lavora tantissimo con i cani della zona limitrofa alla Stazione Centrale di Milano, ma da quando la Lombardia è diventata zona rossa i suoi amici cani non li ha più visti. E teme che questa situazione, anche dopo le prime riaperture, si protrarrà a lungo.

Tra l’altro scopriamo che tra medici veterinari, proprietari di cani e “pazienti” a quattro zampe il pericolo infezione si è capovolto. Ce lo spiega Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria presso l’Istituto Superiore di Sanità. “Non esiste alcuna evidenza che gli animali domestici giochino un ruolo nella diffusione di SARS-CoV-2. Tuttavia, poiché la sorveglianza veterinaria e gli studi sperimentali suggeriscono che gli animali domestici siano, occasionalmente, suscettibili a SARS-CoV-2, è importante proteggere gli animali di pazienti affetti da COVID-19, limitando la loro esposizione”.

 

Smart working per cani: l’addestramento in epoca di COVID-19

Dunque il coronavirus sta cambiando davvero tutto anche nel settore del Pet. E non parliamo di numeri marginali. In Italia è presente un pet per ogni italiano: infatti Euromonitor stima per il 2018-19 la popolazione degli animali da compagnia in Italia in più di 60 milioni.

Angelo Vaira, 44 anni, direttore di Think Dog, una delle più importanti scuole europee di formazione per istruttori cinofili con sedi a Milano, Roma e Bologna, ci racconta che anche per loro stanno cambiando molte cose. “Pensa che anche nel nostro mestiere abbiamo introdotto lo smart working”. E perché me lo dici con stupore? “Perché fino a ieri era considerata una violazione di un rito inviolabile: la regola aurea è che gli istruttori debbano avere un rapporto diretto, fisico con il cane nel momento in cui istruiscono altri istruttori o i proprietari di cani. Invece siamo riusciti a superare questo dogma. Sia chiaro, per quanto riguarda il settore amministrativo lavoriamo in smart working già da tempo, ma mai avrei pensato di istruire gli istruttori o i proprietari dei cani con un cane accanto a me in video e tanti cani accanto ai loro proprietari. Per noi era impensabile non avere un contatto fisico, mentre con nostra meraviglia abbiamo constatato che funziona”.

Insomma anche i cani indotti allo smart working. “Proprio così. Il 24 maggio terrò un corso dal titolo Ascolta il tuo cane, dove tra l’altro ci sarà anche un ragionamento che farò a chi fa il mestiere dell’istruttore in tempi di coronavirus”. E cioè? “Dalle notizie che ci arrivano dagli istruttori e dai veterinari, neppure i cani vivono bene questa situazione. E dunque il nostro compito è istruire la gente su come comportarsi con i loro animali domestici. Da cinofilo ti posso dire che lo stress maggiore lo vivono i cuccioli appena adottati. Dai 2 ai 6 mesi questi cani hanno bisogno di socializzazione con gli altri cani, mentre oggi non è così. Le distanze di sicurezza costringono anche i proprietari a stare lontani. Se questa fase di socializzazione non avviene i cuccioli crescono con paure che si portano dietro per anni. Noi la chiamiamo sindrome da privazione sensoriale. Poi ci sono casi in cui i cani non ne possono più di avere il loro proprietario che gli sta addosso. La fase del riposo solitario per i cani è essenziale. Molti cani sembrano voler dire al loro proprietario: ‘Quando torni al lavoro? La pipì l’ho fatta un’ora fa. Basta!’”.

 

L’indotto dell’industria Pet: un caso da studiare per la ripartenza?

Sul pianeta Pet ci sono tuttavia anche esperienze positive, che in questa epoca virale potrebbero diventare un modello da imitare in vista delle vacanze estive. Ce lo racconta Luca Giovannini, titolare della più famosa Dog Beach italiana con sede a San Vincenzo, in Provincia di Livorno.

“Posso parlare del mio settore; non voglio entrare in discorsi di macroeconomia. L’industria che riguarda il Pet ha avuto la fortuna che il settore alimentare non si è fermato, i supermarket che vendono anche cibo per cani non hanno chiuso i battenti. Ma la crisi ha costretto tutti i servizi complementari, come ad esempio la toelettatura e i piccoli negozi per animali, ad abbassare le saracinesche. La ricezione turistica legata al cane non va male per noi, ma mi pare che non sia così per gli altri centri che accolgono cani. Da quel fronte, infatti, mi arrivano brutte notizie: si registra in linea teorica un crollo delle prenotazioni dell’ordine del 50 e anche 60%. È probabile che ciò dipenda dal fatto che il turismo straniero sarà ridotto al lumicino. Per noi fortunatamente le cose non vanno male, abbiamo soltanto clienti italiani e per questa estate stiamo ricevendo un sacco di prenotazioni. Credo che la nostra formula funzioni, non chiediamo acconti né penali in caso di disdetta”.

Una case history che potrebbe fare scuola anche in termini di business, visto quello che ci aspetta nella crisi che investirà il turismo. “Direi di sì. Il nostro fatturato, come potrà immaginare, è insignificante ma quello che ci ha colpito e che più conta della nostra esperienza, dopo aver fatto qualche calcolo, è l’effetto indotto dall’attività della nostra impresa”. Mi spieghi meglio. “La premessa è questa: i turisti vengono a San Vincenzo, un paese di 7.000 abitanti, quasi esclusivamente perché c’è il Dog Beach. Mentre da noi spendono cinquanta o cento euro tra bar e magliette, lasciano a San Vincenzo mille euro per affitto, centinaia di euro per gelataio, benzinaio, minimarket e tutte quelle spese vacanze messe in conto dalle famiglie. Avendo noi un migliaio di clienti, abbiamo calcolato che l’indotto è di quasi tre milioni di euro. Un bel traino che fa bene a tutta la comunità”.

 

Veterinari in crisi, cani a rischio abbandono e “disinfezioni”

Il dottor Monzini, veterinario assieme a un suo socio di un ambulatorio nella zona di Porta Ticinese a Milano affollata da cani, soffre, del lockdown prolungato.

“Siamo aperti per le emergenze e le visite avvengono per appuntamento. Siamo facilitati dal fatto che hanno introdotto le ricette elettroniche, ma il lavoro è molto calato. Era prevedibile. D’altronde è difficile fare una visita senza avere un contatto ravvicinato con i nostri clienti. In genere i cani vogliono la presenza del loro padrone, e per noi sarebbe difficile gestire da soli un’analisi del sangue o una visita completa. D’altra parte, come lei capirà, per noi lo smart working è impossibile. Lavoriamo molto con il telefono, ma non è la stessa cosa”.

Visite azzerate, dunque? “Direi di sì. Ogni tanto qualcuno ci telefona per fissare un appuntamento per tagliare le unghie al cane o al gatto, o per chiederci con un giro di parole se i cani sono contagiosi, ma in quei casi siamo costretti a rifiutare. Questa tragedia del COVID-19 ha messo in fibrillazione molti proprietari”. In che senso? “All’inizio dell’epidemia si pensava che i cani potessero essere veicolo di contagio, così a qualcuno è venuta l’idea di disinfettare le zampe con la candeggina, provocando in alcuni casi la morte dell’animale. In altri casi i cani sono stati abbandonati. Frutto di ignoranza, ma è così”.

 

 

Photo credits: Dog Beach di San Vincenzo

CONDIVIDI

Leggi anche

Dal lockdown a LinkedIn, l’identità è digitale

Secondo un’inchiesta, pubblicata da Il Sole 24 Ore lo scorso 28 aprile, la gestione del lockdown legato all’emergenza sanitaria ha cambiato in modo radicale il nostro modo di essere presenti sui social network. L’inchiesta sottolinea che circa il 70% delle persone intervistate dichiara di avere avuto un notevole incremento nell’utilizzo delle piattaforme, con un picco […]