Da luogo a luogo. La vita silenziosa degli uffici

Ricominciare dopo le feste è un po’ come ripartire a settembre. Dopo più di dieci giorni di pausa (almeno dai viaggi in ufficio) prendo il mio solito treno da Prato per Bologna. Fuori è buio come sempre in inverno, solo che stavolta non ci sono più le luci di Natale a illuminare i pensieri e distrarre […]

Ricominciare dopo le feste è un po’ come ripartire a settembre. Dopo più di dieci giorni di pausa (almeno dai viaggi in ufficio) prendo il mio solito treno da Prato per Bologna. Fuori è buio come sempre in inverno, solo che stavolta non ci sono più le luci di Natale a illuminare i pensieri e distrarre la mente. Adesso è rimasto solo il cielo plumbeo e le persiane semi-chiuse delle case vicine, quasi a ricordare che da oggi più che mai sarà necessario correre e sudare e non solo per allineare la bilancia, dopo i bagordi di lunghe serate a tavola.

Mentre il treno parte il primo pensiero è fin troppo scontato: stavolta non tornerò nel mio solito ufficio. I volti dei colleghi saranno gli stessi, così come i clienti e le attività da svolgere, più o meno, ma non le mura, non le scrivanie, non i rumori. Quando la gente me lo chiede (e magari fa apprezzamenti, perché tutto ciò che è lucido e sa di nuovo ed è visto su Facebook forse appare più bello) io minimizzo, ma mica per falsa modestia. È che il senso di disorientamento in questo momento prevale anche sul piacere e sulla soddisfazione.

Luoghi e legami

Eppure la mia azienda dovrebbe essere l’archetipo dello smart working, una realtà per cui l’ufficio conta poco: basta stare a testa bassa sullo schermo, scrivere un codice e mandare avanti i progetti anche da remoto. Noi da questo punto di vista siamo sempre stati controcorrente, sarà la nostra formazione poco da startupper e molto legata alla tradizione emiliana: l’ufficio è una seconda casa, il luogo in cui si passano dalle 12 alle 14 ore al giorno, si mangia insieme, si annaffiano le piante e anche le piccole abitudini quotidiane possono contribuire a far nascere idee, confronti, preoccupazioni.  In ufficio ti vengono a trovare mogli e figli per un caffè e il solito corriere ti porta l’ultimo acquisto che hai fatto su Amazon direttamente sulla scrivania.

Cambiare anche solo il giro delle mattonelle su cui sono solito camminare quando ricevo le telefonate più importanti (perché io al telefono cammino sempre e faccio chilometri) o la finestra che apro per sbollire la rabbia rappresenta qualcosa di veramente importante. Dettagli che fanno la differenza, direi. A volte mi chiedo dove andranno a incazzarsi i capi o i project manager di Automattic, la società che produce WordPress, dopo che l’ufficio da 1.400 metri quadri di San Francisco è stato messo in vendita perché ci andavano solo 5 persone su 550 dipendenti.

“Spero che tu abbia lavoro per poterlo mantenere”, mi ha ricordato tempo fa mio babbo, da vecchio pratese navigato. “Avere lavoro”, più che verbo e complemento, nella mia città è ancora una frase di senso compiuto. E di certo sì, proprio come mi ha insegnato lui, il costo del luogo di lavoro (affitto e mutuo che sia) deve essere considerato come voce nelle “spese generali” (altro termine affascinante e un po’ demodé, da età dell’oro), in una giusta correlazione col fatturato dell’azienda. Insomma spostati dove vuoi, l’importante è che tu te lo possa permettere. In fondo, cosa altro potrebbe contare oltre a questo?

Invece Katherine Mansfield ricorda “com’è difficile staccarsi dai luoghi. Per quanta attenzione facciamo, ci trattengono. E lasciamo pezzetti di noi stessi sui paletti delle staccionate, piccoli stracci e brandelli della nostra vita.”

Cambiamenti di luogo, cambiamenti di relazioni

La vita di adulto, specie nel lavoro, è fatta di mutamenti: a volte per scelta più o meno consapevole, altre volte perché si subiscono le decisioni degli altri, sia a livello di situazione economica generale che di singolo cliente. Secondo me è abbastanza naturale individuare i cambiamenti in due tipologie: di luogo e di relazioni.

I due aspetti non vanno sempre a braccetto e in generale, almeno nella mia esperienza quotidiana, è più facile trovare una bibliografia sul come gestire conflitti e relazioni sul posto di lavoro che sul luogo di lavoro in sé, inteso come spazio fisico. In fondo, anch’io mi rendo conto che negli ultimi anni i cambiamenti che ho vissuto sono soprattutto legati alle relazioni. E quasi sempre nel mese di gennaio.

Nel 2009, formata la mia società, ebbi il primo incarico da un cliente che poi sarebbe diventato importantissimo. Era il 5 gennaio, quella che sarebbe diventata la mia password per tanti anni (adesso non ci provate: non lo è più, e fra poche righe capirete perché). La prima volta in cui l’esito di un lavoro dipendeva completamente da me, in relazione a me stesso e ai miei soci.

Nel 2012 ho interrotto i rapporti con due soci e amici. È stata la prima volta in cui il lavoro ha condizionato quelle relazioni d’amicizia che per me, toscanaccio alla Amici Miei, sono più sacre di qualsiasi cosa. Eppure l’ho fatto consapevolmente.

Dal 2014 al 2016 ho cambiato un paio di volte la parte commerciale in azienda. Ho fatto il massimo o non sono stato capace di relazionarmi? Quante volte me lo sono chiesto. Tuttora ho la mia idea, ma non la certezza della risposta.

Nel 2017 quel cliente del 5 gennaio, proprio a gennaio, mi ha fatto capire che i rapporti non sarebbero stati più quelli di prima. Non solo ho cambiato tutte le password, ma per la prima volta ho dovuto relazionarmi con la paura vera. Ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, senza quel cuscinetto? Beh, oggi sono ancora qui.

Ognuno di questi cambi di relazione ha portato a stati d’animo spesso opposti, ma ha avuto un denominatore comune: il luogo in cui è avvenuto. Il mio ufficio.

Un’altra prima volta

Adesso affronto il solito viaggio in treno sull’Appennino, consapevole che quella che d’ora in poi sarà la mia normalità sta partendo con una novità. Un’altra prima volta. In questo nuovo luogo saranno scritti per forza altri cambiamenti di relazioni, rispetto a quelli che ho avuto finora.

Davvero allora un luogo di lavoro vale l’altro, in nome del risultato finale come unica cosa che conta? Per quelli come me basta un pc, un cavo di rete e tanta buona volontà? I luoghi sono condannati a essere secondari rispetto alle relazioni? Ognuno la pensi come meglio crede: io di certo so che in queste nuove mura scriverò pezzetti di me e lascerò brandelli di pelle.

 

Photo Credits © CasteFoto / CC BY-SA 2.0 via Flickr

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