Educatori sfruttati, fuga di massa: obiettivo scuola

Sempre più educatori scelgono di abbandonare il loro lavoro per entrare nell’insegnamento: non è quasi mai una scelta, ma una necessità dovuta alle condizioni insostenibili di un settore poco conosciuto e in balia delle cooperative. Le testimonianze di chi ha compiuto il salto di professione.

Cronaca di una fuga annunciata, o per meglio dire indotta, con tutte le responsabilità del caso. Parliamo dei numerosi educatori e delle numerose educatrici che stanno abbandonando il proprio settore lavorativo per andare a fare gli insegnanti. Un fenomeno iniziato da tempo e che sta accelerando a dismisura in seguito alla pandemia, coinvolgendo sempre più lavoratori e lavoratrici di varie Regioni.

Con SenzaFiltro facciamo luce sulla dinamica raccogliendo alcune testimonianze provenienti da diversi territori.

Laura Castellani, ADL COBAS e IOS: “Sempre più educatori spinti verso l’insegnamento. A rimetterci gli assistiti e la qualità”

A darci un primo riscontro sulla situazione è Laura Castellani, attiva sul territorio romagnolo, rappresentante sindacale RSA di ADL COBAS e componente della rete intersindacale IOS. Dopo anni di lavoro come educatrice si è dirottata sull’insegnamento: “Sono iscritta al secondo anno di Scienze della Formazione primaria, così come tanti altri colleghi, per poter insegnare alle elementari”, racconta.

Chiediamo subito se dal suo osservatorio ha notato un’accelerazione della defezione dal settore: “Sì, si sta velocizzando anche per effetto dell’apertura delle graduatorie provinciali per le supplenze e le messe a disposizione (MAD). Tutto questo ha dato la spinta a molte educatrici e a molti educatori che cercavano una via di uscita dalla precarietà. Sul nostro territorio sono centinaia coloro che hanno abbandonato il settore”.

Una situazione che ha innescato un vero e proprio cortocircuito: “Le cooperative fanno sempre più fatica a trovare educatori formati con titolo, e spesso sono costrette a dirottarsi su neolaureati”, sottolinea Laura Castellani. “Ora sono le cooperative a rincorrere i lavoratori, e lo dico sinceramente: come sindacato noi ci siamo augurati che succedesse! Le condizioni insostenibili hanno obbligato i lavoratori a cercare una via d’uscita, non è stata una loro scelta”.

Impossibile non pensare ai bambini, alle bambine e agli adolescenti con disabilità che si trovano privati, a volte anche da un giorno all’altro, della loro figura educativa di riferimento con l’esito di percorsi e progressi compromessi, un effetto domino negativo a cascata. “Come sindacato abbiamo sempre detto che i diritti dei lavoratori sono diritti degli assistiti”, chiosa Castellani. “Per questo con la rete IOS stiamo portando avanti una campagna per l’internalizzazione della figura educativa. Un servizio di qualità lo si ottiene solo se si hanno lavoratori tutelati e pagati dignitosamente, considerato che noi educatori il nostro lavoro ce lo siamo scelti mettendoci cuore, competenze e formazione continua”.

Laura Castellani riporta l’attenzione sul tasto dolente degli appalti al ribasso, perno cruciale di tante lacune: “Se il bambino è assente la figura educativa non viene pagata: con le varie quarantene scolastiche il taglio di ore è stato disastroso”. Il quadro che emerge è quello di un settore sbranato da continue defezioni e che perde risorse già formate. Parliamo di persone che a 35 o anche a 40-45 anni si rimettono a studiare, non perché manchino di competenze o per puro interesse culturale, ma per avere una chance nell’ambito dell’insegnamento e garantirsi così tutele e stipendio dignitosi.

“Come sindacato stiamo chiedendo ai Comuni che all’interno dei bandi venga prevista la figura dell’educatore di plesso, ossia che le ore vengano riconosciute indipendentemente dalla presenza o meno del bambino”, spiega Laura Castellani. “Per ora i traguardi sono stati raggiunti a Rimini, primo Comune ad attivare l’educatore di plesso, e a San Giovanni. Con Cattolica e Riccione c’è un’interlocuzione positiva in corso”.

Il settore educativo è quindi destinato a restare a secco di risorse umane? “Può restare in piedi, a crollare è sicuramente la qualità. Aggiungiamoci la questione della pandemia: a scuola sono stati implementati gli insegnanti COVID, cosa che non è invece avvenuta con le figure degli educatori. Eppure anche loro si ammalano”.

Manuela, da insegnante a educatrice e di nuovo all’insegnamento

Restiamo in Emilia-Romagna dove raccogliamo la testimonianza di Manuela (come da lei richiesto lasciamo solo il nome per tutela della privacy), ex educatrice scolastica che oggi fa l’insegnante di sostegno: “Ho sempre avuto una grande passione per il sociale, in particolare per l’ambito della disabilità, tanto da prendere un master in bisogni educativi speciali”, spiega. “Il mio è stato un percorso atipico: ho cominciato da insegnante per poi decidere di lavorare come educatrice scolastica a Bologna, territorio che credevo essere avanti da questo punto di vista”.

Manuela viene chiamata a lavorare da un paio di cooperative e si immerge nella professione con entusiasmo, ma a breve si accorge delle lacune del settore: “Mi consideravo fortunata rispetto ad altri colleghi che purtroppo vivevano situazioni assurde come quella del jolly: venivano avvisati alle sei del mattino per fare delle sostituzioni a diversi chilometri di distanza. Ma nel lavoro non si può parlare di fortuna perché agli altri va peggio, e intanto tu comunque subisci una precarietà da vari punti di vista: continuare a guardare il bicchiere mezzo pieno in queste situazioni non è normale”.

Una precarietà che si esaspera nei mesi estivi, dove il lavoro educativo è allo sbando e cozza con le esigenze di vita quotidiana: “Arrivi a un momento della vita in cui devi fare scelte come quella di abbandonare il settore che ami: la sofferenza è tanta, ma ho dovuto farlo anche se mi manca molto il mio lavoro”.

Manuela all’inizio mantiene entrambi i lavori per poi licenziarsi dalla mansione di educatrice e approdare definitivamente e in maniera esclusiva sul fronte dell’insegnamento. “Lasciare i bambini e i ragazzi che seguivo è stato difficile, questi cambiamenti determinano degli effetti anche su di loro”.

“8,50 lordi l’ora, inquadrati come se avessimo la terza media. E per legge il rischio di impresa dovrebbe ricadere sulle cooperative”

Raggiungiamo il Lazio e ci confrontiamo con la testimonianza di Paola Dimichele, moderatrice della pagina Assistente Educativo Culturale. Paola ha maturato una ricca esperienza nell’ambito sociale (dai centri diurni alle carceri fino all’ambito domiciliare), e da meno di un mese ha iniziato a lavorare come insegnante di sostegno in una scuola superiore. Una scelta fatta per vivere degnamente, ma che traghetta con sé profonda amarezza.

“Nasco come psicologa e il sociale è il mio modo di vedere il mondo, oltre che la mia passione. Non ho tirato un sospiro di sollievo lasciando quest’ambito, se non dal punto di vista economico: con il nuovo lavoro posso almeno evitare di farmi venire un attacco di panico quando arriva una bolletta più alta del solito. Non posso però dirmi felice: 26 anni fa ho scelto di essere una lavoratrice del sociale perché mi sento tale”.

Paola ci immerge nella situazione particolarmente complessa del suo territorio: “A Roma ce la siamo vista un po’ più grigia perché ci hanno proprio lasciato a casa. Qui chi si occupa di assistenza domiciliare è spesso più indigente di quelli che va ad assistere”. Inoltre evidenzia: “Questo travaso di educatori ha cause ben chiare. Abbiamo un sistema governato da cooperative e appalti. Il sociale in Italia sta sulle spalle di 380.000 lavoratori, quando va bene a 10 euro lordi l’ora, quando va male – come succede a Roma – a 8,50 euro lordi l’ora”. I problemi non riguardano solo l’aspetto economico: “Sempre a Roma, indipendentemente dal titolo di studio, siamo tutti con il livello C1. Io ho fatto causa alla mia vecchia cooperativa proprio perché sono stata impiegata in ruoli di alto profilo con questo livello: ricordo che il C1 equivale alla terza media!”.

Lacune sottovalutate per troppo tempo: “C’è una normativa che non conosce quasi nessuno e che afferma che se l’alunno è assente il rischio di impresa deve ricadere sulla cooperativa, e non è il lavoratore a non ricevere la retribuzione. Sono incazzata con i sindacati che non si impegnano a farla applicare, evidentemente fa comodo che si resti con questa situazione”. A pesare è anche la scarsa considerazione: “Abbiamo un sacco di sigle per definire lo stesso ruolo, ma nemmeno l’Istat sa esattamente quanti siamo noi operatori all’interno delle scuole”.

“Per lavorare a scuola costretti a passare dalle cooperative, che sono un bacino di voti: c’è un interesse economico e politico”

Approdiamo in Sicilia, dove nel settore educativo pulsano ferite scoperte e disagi pesanti, come ci testimonia Elisabetta Sapuppo, che ha realizzato quasi 28 anni di lavoro come educatrice a livello sia scolastico che domiciliare.

“Attualmente c’è una fuga di massa degli educatori verso la scuola”, esordisce. “Io stessa sto frequentando il corso TFA per fare l’insegnante”. Specifica: “Stiamo scappando non per scelta ma perché costretti dagli eventi, questo travaso implica anche una grave perdita di risorse importanti. Io, ad esempio, sono specializzata sulla cecità, e nel tempo ho acquisito tante competenze che verranno sprecate lavorando come insegnante per alunni con altre disabilità”.

Con Elisabetta riavvolgiamo il nastro della situazione: “A partire dal 2010 a Catania e in zona palermitana noi educatori per non vedenti e ipovedenti abbiamo avuto l’opportunità di lavorare come liberi professionisti anziché essere relegati alle tempistiche e ai compensi delle cooperative. L’estate scorsa gli enti pubblici ci hanno tolto questa possibilità di scelta e nonostante le nostre proteste tutto è degenerato”.

Una situazione aspra: “Attualmente riusciamo a lavorare con partita IVA solo a livello domiciliare ma non a scuola, per cui c’è l’obbligo di aderire a una cooperativa: questo implica una perdita di ore e quindi di stipendio. Molti lavoratori sono rimasti senza lavoro. L’interesse economico e politico che gira attorno alle cooperative, che sono bacino di voti, è palese. Da parte degli enti pubblici abbiamo ricevuto solo un silenzio assordante”.

Elisabetta ci mostra le comunicazioni ricevute via posta elettronica certificata: “La Città Metropolitana di Catania, sotto indicazione della Regione Sicilia, ci ha inviato una PEC il 9 giugno 2021 in cui ci veniva detto che il servizio di comunicazione e autonomia per non vendenti poteva essere erogato solo tramite enti accreditati: in realtà il regolamento prevede anche l’attivazione come liberi professionisti! L’altra comunicazione è quella del 13 agosto, data in cui siamo stati avvisati che venivano richiesti determinati attestati per continuare a lavorare a settembre”.

E proprio a settembre oltre 300 assistenti scolastici hanno protestato in piazza tramite il sindacato COBAS – Asacom Scuola, di cui Elisabetta fa parte. La preoccupazione di Elisabetta non è rivolta solo ai colleghi, ma anche alle famiglie degli utenti e ai bambini e ai ragazzi seguiti fino a poco tempo prima: “Non ci è stato dato nemmeno il tempo di fare il passaggio di testimone con altri operatori e preparare psicologicamente chi avevamo seguito per anni”.

“Non è stata una scelta. Mi sono licenziata perché ero arrivata al burnout”

L’emorragia del settore educativo non risparmia nemmeno la Lombardia, come ci conferma Ersilia Aeres, ex educatrice che si è licenziata per intraprendere il lavoro di insegnante alla primaria.

“La dinamica di defezione dal settore qui è molto diffusa. Solo nell’ultimo anno su 20 dei miei amici educatori ben 18 sono diventati insegnanti”. E specifica: “È impossibile per ora dare numeri precisi sul fenomeno a livello regionale perché facciamo parte di un settore molto frammentato al suo interno, dove è complicato unire esigenze diverse. Spesso è difficile anche comunicare tra colleghi della stessa cooperativa, quasi non ci si conosce”.

Riguardo alle motivazioni dell’abbandono afferma: “Sono due anni che lavoro come insegnante di sostegno tramite MAD. Mi sono licenziata perché ero arrivata al burnout. Come insegnante ho puntato al ruolo di sostegno perché è quello che si avvicina di più alla figura educativa. Il lavoro precedente mi manca molto e anche l’impostazione: la mia, come per tanti altri, non è stata una scelta, ma la conseguenza di un sistema che ci impedisce di vivere dignitosamente”.

Ersilia esplicita i punti dolenti del settore dopo anni di esperienza anche come RSA nel sindacato COBAS: “Durante la pandemia c’erano colleghi che mi chiamavano piangendo perché non riuscivano a pagare l’affitto. Il rientro è stato persino peggiore, con settembre e ottobre che presentavano orari falciati dopo un’estate vissuta in aspettativa”. Una situazione al limite: “Aggiungiamoci le quarantene: molti educatori non hanno visto un vero stipendio fino a gennaio, e questo non è sostenibile”.

Un settore fatto di cuore e tenacia, ma roso fino all’osso a livello di tutele e riconoscimenti. Le educatrici e gli educatori hanno nella loro missione anche la trasformazione del disagio altrui; eppure, per colpa di un sistema lacunoso e stracolmo di responsabilità messe all’angolo, questo disagio finiscono per subirlo loro stessi, fino all’abbandono del proprio lavoro. Passioni calpestate, lavoratori dimenticati, servizi decapitati: è questa la squallida risposta che il nostro Paese intende dare a chi convive con disturbi e disabilità?


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Photo credits: baritoday.it

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