Elezioni Lombardia: Letizia Moratti risponde alle cinque domande sul lavoro di SenzaFiltro

Letizia Moratti, candidata del Terzo Polo alla presidenza della Regione Lombardia, discute il suo programma riguardante il lavoro, dai NEET al reinserimento degli over 50, col nodo scottante della sanità

Letizia Moratti, la candidata del Terzo Polo alle elezioni in Lombardia del 2023

In Italia si torna a votare in diverse Regioni. Una di queste è la Lombardia.

Per il nostro giornale, SenzaFiltro, il tema del lavoro è sempre stato centrale, ed è la lente con cui abbiamo scelto di osservare queste elezioni. Per questo abbiamo rivolto alcune domande sui temi lavorativi più importanti ai quattro candidati alla presidenza della Regione Lombardia.

Abbiamo pensato al trasporto pubblico locale per i numerosi pendolari che ogni giorno si muovono per raggiungere i propri luoghi di lavoro, non sempre in condizioni agevoli (prova ne è la nascita di numerosi comitati di pendolari in Lombardia negli ultimi anni), con un servizio in monopolio fornito da Trenord difeso da Attilio Fontana e contestato da tutti i suoi avversari.

Ci siamo soffermati sui dipendenti della pubblica amministrazione, su quelli della Regione Lombardia, e su come la stessa si muova sul fronte dello smart working, anche alla luce dell’accordo siglato per i lavoratori pubblici proprio su questo tema.

Per il nostro giornale era impossibile non pensare al tema dei giovani e del lavoro: quale formazione in Lombardia si ha in mente per loro? E, oltre ai giovani, le donne e gli over 50 in cerca di occupazione: quali politiche di ricollocamento per chi viene espulso dal mondo del lavoro?

Infine il tema della sanità lombarda, dove la guida del centrodestra negli ultimi vent’anni ha portato a privilegiare il privato rispetto al pubblico: oggi che idea di qualità del lavoro c’è per i professionisti del settore, che dopo il COVID-19 sono fuggiti dalle strutture sanitarie pubbliche, e quali sono le risorse necessarie per attivare le nuove strutture di sanità territoriali finanziate dal PNRR?

Le risposte di Letizia Moratti alle cinque domande di SenzaFiltro

Letizia Moratti, già ministro dell’Istruzione e sindaco di Milano, è stata chiamata al Pirellone dall’amministrazione uscente guidata da Attilio Fontana come assessore al Welfare e vicepresidente della Regione Lombardia; lo scorso novembre ha poi messo un punto alla lunga contesa che la vedeva da mesi in attesa di una risposta dal centrodestra riguardo la possibilità di candidarsi alle Regionali del 2023. Di qui la candidatura a presidente con il Terzo Polo.

Ecco le sue risposte alle nostre cinque domande.

 

 

 

Trenord è l’unica azienda a offrire servizio di trasporto pubblico regionale. Che cosa proponete di fare per migliorare l’esperienza di servizio dei pendolari lombardi, che ogni giorno si muovono in treno per recarsi al lavoro?

La linea che abbiamo tracciato nel nostro programma di governo è chiara: mettere a gara il servizio. Dove è stato fatto, come in Germania e Francia, i costi sono diminuiti del 30% e il servizio è migliorato. E attenzione: non si tratta di privatizzare. In Veneto il servizio messo a gara è stato aggiudicato a Trenitalia. Le gare devono avere come obiettivo quello di favorire una migliore organizzazione interna della futura azienda che effettuerà il servizio ferroviario lombardo, con risultati positivi in termini di qualità e puntualità. Il tutto avverrà tutelando i lavoratori sia dal punto di vista contrattuale che di welfare aziendale. La gara ha come obiettivo un miglior efficientamento di chi gestirà il servizio, garantendo sempre i lavoratori.

Qual è il modello di lavoro che la Regione Lombardia intende seguire in ottica di smart working, anche alla luce dell’accordo siglato proprio sullo smart working per i lavoratori del settore pubblico?

Occorre disciplinare un documento strategico per questa forma di lavoro, in modo da facilitarne il ricorso diligente da parte di imprese e lavoratori, non solo guardando all’efficienza o a eventuali “furbetti”. Si tratterà da una parte di sfruttare le opportunità che il “lavoro agile” ci ha proposto, seppur attraverso la drammatica esperienza della pandemia; dall’altra di continuare a “dare anima” a dinamiche lavorative che presuppongono una socialità, un contatto tra le persone. Lo dico perché, se è vero che lo smart working può presentare dei vantaggi in termini di lotta all’inquinamento e di risparmio energetico, è altrettanto vero che per la Regione, come per altri uffici pubblici c’è la necessità di “recuperare” quella vicinanza con i cittadini che in molti mi hanno segnalato essere venuta meno in questi ultimi anni. Ma non solo. Il lavoro in presenza va anche valutato per le ricadute sui negozi e le attività nelle aree degli uffici: penso in primis a bar e ristoranti, ma anche ad altre realtà che in pausa pranzo o subito dopo la conclusione della giornata lavorativa beneficiano della “presenza” degli uffici. Saremo comunque aperti a studiare queste dinamiche anche con idee innovative. Faccio un esempio: c’è l’idea, in collaborazione con chi gestirà il servizio, di garantire la possibilità di avere abbonamenti a un prezzo scontato per i lavoratori che svolgano fino a un massimo di due giorni lavorativi in smart working, tutelando così anche la continuità dell’acquisto degli abbonamenti al trasporto ferroviario regionale al posto dell’utilizzo di mezzi privati.

Tema dei giovani sul lavoro: in Italia ci sono tre milioni di “scoraggiati” tra i 15 e i 34 anni, e due su tre sono del tutto inattivi: i NEET. In Lombardia quale formazione si ha in mente per rappresentare in maniera più efficace il ponte ideale per trovare lavoro?

È un tema attualissimo che stiamo seguendo con grande attenzione di fronte a dati che parlano da soli: in Lombardia ci sono oltre 200.000 giovani che non studiano e non lavorano. Per questo, sui NEET come per altre situazioni (disabili, giovani migranti), pensiamo a incentivi per gli enti formativi che sapranno innovarsi e aggiornare la propria offerta, anche con proposte formative efficaci e incisive per l’inserimento lavorativo. Guardando questa “fotografia”, ci sono due grandi criticità: l’elevato tasso di abbandono scolastico e l’alta percentuale di laureati che non trovano un’occupazione adeguata alla propria formazione. Sono problematiche per le quali gli interventi strutturali non sono più rinviabili. Ecco allora che occorre superare il mismatch tra le competenze fornite dalle scuole e quelle richieste dal mondo del lavoro. È fondamentale che Istituzioni, scuole, università e imprese dialoghino costantemente tra di loro, soprattutto in un’azione previsionale che sappia cogliere le reali necessità e opportunità lavorative tra il medio e lungo periodo. Occorre, poi, valorizzare tipologie formative differenti, che consentano l’acquisizione di un titolo di studio e l’inserimento nel mondo del lavoro. Iniziative di formazione centrate sul lavoro potrebbero garantire, infatti, il recupero di almeno parte dei “giovani scoraggiati”, offrendo loro un percorso alternativo all’apprendimento in classe. Il potenziamento della formazione professionale e tecnica è quindi indispensabile. Attenzione dovrà essere dedicata anche all’istruzione e formazione professionale erogata dalla Regione e all’istruzione e formazione tecnica superiore. Con il coinvolgimento delle fondazioni promotrici e dell’università occorre procedere ulteriormente al rafforzamento degli ITS e delle lauree professionalizzanti/abilitanti, nonché alla loro integrazione con il tessuto imprenditoriale. Sono azioni che hanno come obiettivo di soddisfare soprattutto le esigenze delle piccole e medie imprese, il “mondo produttivo” che più ci chiede risposte rapide ed efficaci. Per questo, le esperienze dell’apprendistato e una diversa proposta dell’alternanza scuola-lavoro potrebbero essere di fondamentale importanza. Ma vogliamo essere molto incisivi e concreti anche su orientamento e ri-orientamento.

Collocamento e ricollocamento di donne e over 50 che escono dal mondo del lavoro: quale tipologia di formazione e quali politiche attive occorrono per favorire il loro reinserimento professionale?

È uno dei temi più attuali e forse la sfida più importante da vincere sul fronte delle politiche sociali e lavorative. Oltre che per i giovani, il problema occupazionale per le donne e per chi ha superato gli “anta” è una ferita aperta. Per le donne prevediamo appositi percorsi di formazione. Più nello specifico, l’obiettivo è implementare misure volte a favorire la partecipazione delle neomamme al mercato del lavoro. Una prima “finestra” prevede sgravi fiscali per le aziende che assumono neomamme e donne in età fertile, ma da presidente della Regione l’impegno sarà anche quello di prevedere un bando regionale per l’accesso a contributi di sostegno al reddito durante i periodi di maternità a favore delle giovani donne libere professioniste e lavoratrici autonome. Il mondo del lavoro ci mette però di fronte a tutti i suoi mutamenti: il 50% di tutti i lavoratori avrà bisogno di reskilling, complice l’impatto della digitalizzazione. Il lavoro umano sarà però ancora determinante. È vero che la digitalizzazione si traduce in alcuni casi in perdita di lavori, ma il digitale è in grado di generarne anche di nuovi. Dunque è necessario che le persone si preparino per il nuovo mondo digitale e che le aziende giochino un ruolo importante nel prepararle e accompagnarle in questi percorsi. La Regione è pronta a fare la sua parte, anche con bandi dedicati soprattutto al mondo dell’artigianato. Sono possibilità che, quasi in modo insperato, ci arrivano anche dalla tecnologia. In questi giorni un fornaio operativo nella grande distribuzione mi ha spiegato di aver trovato molta disponibilità di manodopera proprio tra gli over 50. I macchinari tecnologici hanno reso meno pesanti alcune mansioni: ciò ha permesso di assumere persone in là con gli anni.

In tema di sanità qual è la vostra idea sulla qualità del lavoro per i professionisti del settore, che dopo il COVID-19 sono fuggiti dalle strutture sanitarie pubbliche? Quali risorse saranno necessarie per attivare le nuove strutture sanitarie territoriali finanziate dal PNRR?

Il potenziamento della sanità territoriale è un percorso appena avviato che va portato a termine attraverso una messa a terra programmata su tre anni. Con la riforma sanitaria la Lombardia è stata la prima Regione a dare attuazione al PNNR attraverso una legge di respiro nazionale ed europeo. Lo ha fatto con risorse certe: 1 miliardo e 200 milioni dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e 800 milioni di fondi regionali. Per dare ulteriore concretezza a questa progettualità è però necessario che il Governo metta più fondi sulla sanità, e anche per aumentare le retribuzioni di medici e infermieri, che spesso non sono pagati come dovrebbero. Purtroppo i primi segnali non sono stati incoraggianti: quest’anno il tasso di investimento riferito al PIL è sceso dal 7 al 6,2%. Ma soprattutto, occorre che il ministro Schillaci tiri fuori dal cassetto la bozza di decreto redatta con il precedente Governo e condivisa dalle principali sigle sindacali dei medici di medicina generale. Si concretizzerebbe così un nuovo accordo che regoli il rapporto tra il Sistema sanitario nazionale e i medici di famiglia, che sono liberi professionisti. Il testo prevede di innalzare a 20 ore settimanali l’orario ambulatoriale dei medici, che metteranno ulteriori 18 ore a disposizione delle Regioni, per un orario complessivo di 38 ore settimanali, così come i medici ospedalieri. In questo modo le Regioni avranno in mano la leva, che ora non hanno, per indirizzare i medici di medicina generale all’interno delle case di comunità. È un passaggio fondamentale per completare questa riforma.

 

 

 

Photo credits: formiche.net

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