Enrico Sostegni, Consiglio Regionale Toscana: “PNRR e rischio tempesta perfetta sulla sanità”

Il presidente della Commissione Sanità intervistato da SenzaFiltro: “Con Speranza intesa sulla riforma, ma non sul piano economico. C’è il rischio di replicare lo stesso errore sul personale sanitario”.

Il passaggio verso un nuovo progetto di sanità sul territorio la Toscana ha provato a farlo partire più di un anno fa, mentre l’Italia stava con le mani e i piedi ancora nel pantano della pandemia. Toscana che vanta un primato assunzioni nel momento più delicato per la salute dei cittadini e del Paese stesso: 4.000 persone, più di tutte le altre Regioni.

Con gli Stati Generali della Salute avviati a maggio 2021 e conclusi lo scorso ottobre, sono state oltre 200 le audizioni e 1.300 i soggetti coinvolti tra cittadini, enti e associazioni. Quando il mese scorso al Teatro della Compagnia di Firenze è stato presentato il risultato di tutto quell’investimento di tempo e di risorse sotto forma di risoluzione del Consiglio regionale per impegnare concretamente la Giunta, le parole del presidente Commissione Sanità Enrico Sostegni, davanti anche allo stesso ministro della Salute Roberto Speranza, hanno fatto rimbombare la realtà a cui ci stiamo preparando coi fondi in arrivo dal PNRR, che serviranno a coprire solo i costi per strutture e infrastrutture di una sanità più presente sui territori, ma senza che si sia minimamente tenuto conto dei costi legati al personale sanitario. Sostegni non ha fatto sconti: “Ci sono le condizioni per una tempesta perfetta”.

Gli Stati Generali della Salute nel Teatro della Compagnia, a Firenze.
Gli Stati Generali della Salute nel Teatro della Compagnia, a Firenze.

Cuore della risoluzione, inevitabile, la richiesta di un servizio sanitario pubblico più capillare; tradotto, vorrà dire per la Toscana una Società della salute in ogni distretto, l’istituzione dello psicologo di base entro il prossimo ottobre, incentivi al personale – soprattutto medico – per coprire le zone più svantaggiate e periferiche, la valorizzazione dei caregiver, la riorganizzazione dell’Agenzia regionale di Sanità.

Sulla carta non fa una piega, come per ogni procedimento formale con cui lo stesso Governo ha rispettato anche per il PNRR Sanità tempi, scadenze e formalismi al 30 giugno scorso. Senza però preoccuparsi della sostanza, vale a dire che il grande problema della sanità italiana si innerva dentro il personale che ci lavora. Ma questo è un Governo delle forme e degli obiettivi da spuntare sui fogli.

Enrico Sostegni: “Col governo intesa sulla riforma, ma non sul piano economico. Va rimosso il limite alla spesa di personale”

Enrico Sostegni mi concede un’intervista che non fa sconti sulle ossa fragili del Paese e della sua Regione quando si parla di sanità in via di riforma:

Enrico Sostegni, presidente della Commissione Sanità.

“Dallo scorso anno abbiamo fatto centinaia di audizioni, ma poi alla fine la sintesi è che il servizio sanitario pubblico ha come vero elemento di criticità il personale di sanità, oltre al sottofinanziamento degli ultimi decenni che resta comunque collegato al principale. Intanto la formazione, che non è mai stata allineata negli anni al fabbisogno del servizio sanitario sia pubblico che privato, e poi forse su tutti la retribuzione. Non saprei dire dove nasca la ragione del pagare poco i medici, e magari in passato finché ce n’erano disponibili molti di più forse ce lo potevamo anche permettere, ma da qualche anno è impossibile competere sia con la tendenza dei più giovani a scappare verso Paesi stranieri per ragioni economiche e di carriera dopo essersi formati in Italia, sia in particolar modo col servizio sanitario privato. Vanno al più presto trovati incentivi per fare in modo che laureati e specializzati siano attratti a restare nel pubblico, è un’urgenza che non può più restare indietro.”

I laureati italiani scappano quindi all’estero o verso il privato. Riusciamo a farne solo una questione di soldi, detta senza girarci intorno?

C’è anche tutta la questione spinosa della differenziazione e della possibilità di carriera. Penso alla Toscana, dove come tutte le grandi aziende sanitarie il massimo di carriera è il direttore di dipartimento, per quanto poi per ogni specialistica il direttore è solo uno. Serve al più presto una riforma verso una maggiore mobilità interna di retribuzione anche legata alle professionalità. Per non parlare della eccessiva burocratizzazione che da troppo tempo sottrae energie e competenze a medici e infermieri, oberati da incombenze amministrative rispetto alla propria professionalità.

In tutto questo non abbiamo ancora parlato del PNRR: del resto la mole di denaro in arrivo dalla UE non si preoccuperà di coprire la voce del personale di sanità. Che senso ha una riforma sul territorio senza pensare a gestire le persone, e non solo le strutture?

Mi faccia dire intanto una cosa, cioè che va rimosso al più presto il limite alla spesa di personale che va avanti dal 2004 ormai. Quanto alla riforma in atto, forse pochi sanno che le Regioni non hanno neanche rilasciato l’intesa sul DM 71, che ora è diventato il DM 77, e non l’hanno rilasciata perché le spese di investimento devono essere legate a una spesa sul personale che per ora non è adeguata rispetto a quelle che saranno le necessità: confermo che è stato il primo problema in assoluto che abbiamo messo sul tavolo. C’era inevitabilmente l’intesa sul quadro generale della riforma, perché questa giusta intuizione del ministro Speranza di ripensare il servizio sanitario è figlia del fatto che durante il COVID-19 gli ospedali hanno resistito, ma il territorio è stato un disastro. Non c’era affatto intesa, al contrario, sul piano economico.

Provo a riassumere: stiamo andando a riformare la sanità sui territori, ma voi Regioni non avrete né soldi né medici.

Più o meno è così. Mancano i medici di medicina generale, abbiamo zone carenti, non c’è un ricambio tra chi va in pensione e chi dovrebbe arrivare dopo. La mancata intesa col Governo sta portando tutti nella direzione del trovare le risorse per fare in modo che i miliardi del fondo crescano anche in quell’ottica, ma non dimentichiamo la variabile politica di questo governo. Sono tante le questioni che ballano. E a ogni modo, sempre restando sui limiti della riforma sanitaria in atto, resta da sciogliere il nodo di come organizzare il lavoro dentro le Case della Comunità, quelle che di fatto chiamavamo e chiamiamo ancora Case della Salute dato che il nuovo modello non è poi così lontano dal precedente.

Non stiamo facendo tesoro di quello che non ha funzionato in passato. Intende questo?

Nonostante tutti gli sforzi, e nonostante in alcune aree quel modello abbia anche risposto in maniera eccellente, alla fine il personale medico e sanitario ha sempre e solo lavorato per silos. Il medico di medicina generale ha fatto il suo, il medico di famiglia ha fatto il suo, lo specialista ha fatto il suo e avanti così, senza che nessuno di loro si riferisse all’altro, dialogasse, si mettesse in relazione: il rischio di questa riforma è replicare lo stesso errore, vale a dire ristrutturare il modello senza ragionare in premessa su come e dove far lavorare il personale di sanità.

Si riferisce al nervo scoperto dei liberi professionisti nella nuova idea di Ospedali di Comunità?

Al di là del medico dipendente o convenzionato, questa riforma un elemento deve portarlo a casa, cioè decidere come gestire il lavoro del personale, e questo lo decide chi organizza il territorio (ad esempio, in Toscana è il direttore della Società della salute). Ma se noi stiamo riformando un sistema sanitario sul territorio partendo da liberi professionisti che hanno solo l’obbligo di andare qualche ora nelle Case della Comunità, perché per ora mi pare siamo a questo, e non hanno l’obbligo di interagire e lavorare d’intesa con lo specialista ospedaliero e l’infermiere di comunità, allora rischiamo di non riformare niente. Le riforme si fanno pensando al come e in che tempi, altra via non la vedo.

Cos’altro, invece, non si vede da fuori per un cittadino che spera in una sanità migliore e più vicina ai suoi bisogni?

Un problema nazionale ma ben visibile poi in ogni territorio, compresa la Toscana, è che si parla tanto di integrazione del lavoro, ma poi le competenze sociali sono in capo ai Comuni e quelle sanitarie in capo alle Regioni. Come si realizza la famosa integrazione sociosanitaria? Qui ci abbiamo provato con la Società della salute, per provare almeno ad avere un unico soggetto in cui si realizza dialogo e parte operativa tra le parti. Non dico certo che bisogna togliere le competenze alle Regioni o ai Comuni; dico che bisogna in fretta interrogarsi su come farli lavorare al meglio. Prima dei soldi, in sanità, serve chiedersi con grande cura che cosa manca, che cosa non ha funzionato.

Rischiamo coi fondi del PNRR di pensare solo al fuori, solo alle strutture come semplici idee di presidio sul territorio?

L’ospedale non può e non deve essere pensato solo come un luogo che interessa per le misure sull’innovazione dei macchinari o per le norme antisismiche, giusto per fare due esempi estremi ma presi dalla realtà del modo quotidiano con cui ci si pensa amministrativamente. L’ospedale è parte del territorio, e se noi continuiamo a riformare il territorio senza pensare all’ospedale commettiamo un altro errore. Io non sono visto mai bene da tutti i medici sumaisti, che secondo me dovrebbero proprio sparire (SUMAI, Sindacato Unico Medici Ambulatoriali Italiani, che rappresenta la quasi totalità dei medici ambulatoriali, ossia coloro che agiscono sul territorio o in ospedale per curare patologie di interesse specialistico, N.d.R.). Sul territorio il medico di medicina generale, se c’è uno specialista con cui parla, deve essere uno specialista che sa come funziona un ospedale. Altrimenti il castello cade. Ma anche di questo, che avrebbe molto a che fare coi fondi del PNRR, purtroppo non se ne parla.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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