C’era bisogno da parte dei vertici dell’azienda di ricorrere, come sostiene la Procura, a fatture inesistenti, all’evasione fiscale, e soprattutto l’odiosa pratica di contratti di appalto fittizi che nascondevano una vera e propria tratta della manodopera?
Se si guardano i bilanci del 2022 e del 2021, anno di crescita post pandemia, che come è noto ha risparmiato il settore della grande distribuzione e il settore farmaceutico, i conti hanno il segno positivo. È vero che l’azienda, come in genere i grandi gruppi italiani, per essere competitiva sul mercato ha sempre scaricato sul costo del lavoro i momenti di crisi. È vero inoltre che Bernardo Caprotti si è sempre rifiutato di quotarsi in Borsa in modo da evitare il controllo dell’azionariato diffuso e quello delle autorità di borsa come la Consob.
Nessuna di queste osservazioni, tuttavia, giustificherebbe i comportamenti avventurieri nella gestione della manodopera, denunciati dai magistrati milanesi, che avranno come risultato di sporcare l’immagine di Esselunga e di confermare quello che una volta disse un sindacalista a proposito della cultura del lavoro dell’azienda: “Mobbing strutturale e non occasionale, insito nella cultura organizzativa dell’azienda, che intende la flessibilità come espianto dei diritti, secondo un’ideologia di estremismo imprenditoriale”.
A questo oggi dovremmo aggiungere il caporalato, che finalmente, dopo anni di denunce a vuoto, è diventato indagine giudiziaria a carico non dei caporali, ma dei loro mandanti.
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