Esselunga e braccino corto. L’indagine su evasione e caporalato

Prendi il carrello e scappa: il colosso della grande distribuzione organizzata di proprietà della famiglia Caprotti avrebbe evaso il fisco per 41,5 milioni di euro simulando contratti d’appalto. Tempi cupi per un impero imprenditoriale che era stato tra gli sponsor di Silvio Berlusconi

Un carrello giallo in un supermercato Esselunga

Forse il regista Giuseppe Tornatore sarà costretto a girare un nuovo corto su Esselunga, molto diverso da quello che girò nel 2011 su commissione di Bernardo Caprotti, fondatore del gigante della grande distribuzione e sponsor di Silvio Berlusconi e di Forza Italia. Caprotti, infatti, era noto per il suo anticomunismo e per la sua ostilità verso i sindacati, i giornalisti impiccioni di sinistra e le Coop, le sue grandi competitor, alle quali dedicò un libro stizzito: Falce e Carrello – distribuito perlopiù negli scaffali dedicati all’editoria dei suoi supermercati.

Allora l’imprenditore presentò assieme al noto regista un corto di 16 minuti, Il mago di Esselunga, prodotto da Adnkronos per raccontare la saga dei Caprotti e le storie di chi lavorava dietro le quinte del supermercato, cioè di quelle migliaia di lavoratori che hanno consentito a Caprotti, malgrado il clima pesantissimo sul luogo di lavoro, di creare un impero.  Oggi gli eredi di Bernardo Caprotti, morto nel 2016 alla clinica Capitanio all’età di 91 anni, dovrebbero invece spiegare le “magie” con le quali, secondo le accuse della Procura di Milano, hanno emesso e utilizzato per anni fatture inesistenti, evaso il fisco e praticato un diffuso caporalato.

41 milioni di evasione: Esselunga sotto indagine, tacciono gli eredi del fondatore Caprotti

Come si legge nei documenti del sequestro preventivo di urgenza predisposto dal PM Paolo Storari, siamo di fronte a “una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo, da parte della beneficiaria finale del meccanismo illecito, di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, in violazione della normativa di settore, che ha portato all’emissione e al conseguente utilizzo di fatture inesistenti per oltre 221 milioni di euro, più IVA superiore a 47 milioni di euro”.

Per il momento sono indagati la società Esselunga, il numero uno del colosso Albino Rocca e il suo predecessore, Stefano Ciolli. L’indagine riguarda gli anni fiscali che vanno dal 2016 al 2021.

I due dirigenti, sempre secondo Paolo Storari, che di recente ha aperto un’inchiesta simile sul caporalato di una controllata del gruppo Sicuritalia, sono indagati per frode fiscale per aver simulato contratti di appalto invece che di somministrazione di manodopera. Secondo l’accusa Esselunga avrebbe così ottenuto un vantaggio patrimoniale di quasi 41,5 milioni di euro.

Di rito il comunicato ufficiale del quartier generale aziendale: “L’azienda si è immediatamente attivata per offrire la più ampia collaborazione alle autorità giudiziarie e pieno supporto per lo svolgimento delle attività. Attendiamo con fiducia le verifiche e gli approfondimenti, nella consapevolezza di aver operato sempre nel rispetto della legalità”. Nessun commento invece da parte degli eredi di Bernardo Caprotti, gli azionisti di maggioranza assoluta Marina Caprotti, figlia di Bernardo in seconde nozze, e la madre Giuliana Albera Caprotti.

Frodi coi bilanci in positivo, l’“estremismo imprenditoriale” di Esselunga

C’era bisogno da parte dei vertici dell’azienda di ricorrere, come sostiene la Procura, a fatture inesistenti, all’evasione fiscale, e soprattutto l’odiosa pratica di contratti di appalto fittizi che nascondevano una vera e propria tratta della manodopera?

Se si guardano i bilanci del 2022 e del 2021, anno di crescita post pandemia, che come è noto ha risparmiato il settore della grande distribuzione e il settore farmaceutico, i conti hanno il segno positivo. È vero che l’azienda, come in genere i grandi gruppi italiani, per essere competitiva sul mercato ha sempre scaricato sul costo del lavoro i momenti di crisi. È vero inoltre che Bernardo Caprotti si è sempre rifiutato di quotarsi in Borsa in modo da evitare il controllo dell’azionariato diffuso e quello delle autorità di borsa come la Consob.

Nessuna di queste osservazioni, tuttavia, giustificherebbe i comportamenti avventurieri nella gestione della manodopera, denunciati dai magistrati milanesi, che avranno come risultato di sporcare l’immagine di Esselunga e di confermare quello che una volta disse un sindacalista a proposito della cultura del lavoro dell’azienda: “Mobbing strutturale e non occasionale, insito nella cultura organizzativa dell’azienda, che intende la flessibilità come espianto dei diritti, secondo un’ideologia di estremismo imprenditoriale”.

A questo oggi dovremmo aggiungere il caporalato, che finalmente, dopo anni di denunce a vuoto, è diventato indagine giudiziaria a carico non dei caporali, ma dei loro mandanti.

 

 

 

Photo credits: telenord.it

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