Foad Aodi, Presidente Associazione Italiana Medici Stranieri: “Per il coronavirus abbiamo fatto arrivare medici dall’estero. E noi?”

Non hanno la cittadinanza, non possono partecipare ai concorsi pubblici e guadagnano anche 7€ all’ora: sono i medici stranieri in Italia, che le regioni non impiegano neppure con l’emergenza sanitaria in corso.

Il personale medico e sanitario straniero in Italia è pari a poco più di 77.000 unità, secondo i dati forniti dall’AMSI (Associazione Medici Stranieri in Italia). È composto da 22.000 medici, 38.000 infermieri e altre figure specializzate come fisioterapisti, psicologi e odontoiatri.

Nel primo periodo di emergenza legato al COVID-19 in Italia, come non ricordare gli arrivi di personale medico proveniente da altri Paesi per dare supporto alle strutture sanitarie pubbliche: salutati con un misto di emozione e gratitudine, le immagini degli sbarchi all’aeroporto di équipe mediche venivano accolte con tutti gli onori del caso rimanendo nell’immaginario collettivo.

Eppure per il supporto medico specialistico la soluzione l’avevamo in casa: professionisti della sanità stranieri già presenti in Italia, ma occupati per la maggior parte in strutture private o cooperative.

Lo studio Ocse: “Medici italiani sempre più vecchi, rischio carenza”

In uno studio Ocse del 2019 sul Profilo della sanità in Italia, che analizza i dati del 2017, si evidenzia un dato assai significativo sull’invecchiamento della classe medica, visto che più della metà dei medici nel nostro Paese registra un’età media superiore ai 55 anni. Le preoccupazioni circa la futura disponibilità di personale medico sono aggravate dagli ostacoli a livello di formazione e assunzione dei nuovi medici, necessari per sostituire il gran numero di dottori che presto andranno in pensione.

Quest’ultimo dato risulta assai critico soprattutto alla luce di quanto si evince dallo stesso studio, che evidenzia come l’offerta limitata di nuovi medici stia mettendo a dura prova le capacità di occupare i posti di lavoro vacanti da parte di alcune unità sanitarie locali e aziende ospedaliere, con un conseguente aumento della carenza di personale.

Sempre secondo lo studio: “La resilienza si riferisce alla capacità di un sistema sanitario di adeguarsi efficacemente a contesti mutevoli o a shock e crisi improvvise”.

**OCSE/Osservatorio Europeo Delle Politiche e Dei Sistemi Sanitari (2019), Italia: Profilo della sanità 2019, Lo Stato della Salute nell’UE, OECD Publishing, Parigi/Osservatorio Europeo Delle Politiche e Dei Sistemi Sanitari, Bruxelles

Medici stranieri reclutati all’estero durante l’emergenza: era necessario?

Se il 2020 ha rappresentato l’anno in cui l’emergenza sanitaria ha monopolizzato l’attenzione di tutti, con gli occhi puntati su medici e infermieri chiamati ad affrontare una pandemia alla quale nessuno era pronto, le preoccupazioni evidenziate dallo studio Ocse si sono rivelate fondate.

Nel corso dell’emergenza sanitaria – soprattutto durante la prima ondata, a inizio 2020 – si sono registrate numerose criticità nelle strutture sanitarie pubbliche, con il personale medico costretto a turni estenuanti per cercare di affrontare un virus di cui si conosceva poco.

Sono giunti così in aiuto dell’Italia anche team di medici specializzati provenienti da altri Paesi: Cuba, Russia, Cina, Usa, Venezuela, con la Lombardia a fare da capofila alla fine del mese di marzo, con l’arrivo di seicento sanitari stranieri a supporto delle strutture regionali.

Perché sono atterrati plotoni di medici dall’estero in quel periodo? Era proprio necessario il loro arrivo in Italia?

Pare proprio di no. Nel Decreto Cura Italia pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 17 marzo 2020, l’art. 13 cita espressamente:

(Deroga delle norme in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie)

 1. Per la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga agli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394 e successive modificazioni, e alle disposizioni di cui al decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 206 e successive modificazioni, è consentito l’esercizio temporaneo di qualifiche professionali sanitarie ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una  professione  sanitaria conseguita all’estero regolata da specifiche direttive dell’Unione europea. Gli interessati presentano istanza  corredata  di  un certificato di iscrizione all’albo del Paese di provenienza alle regioni e Province autonome, che possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti ai sensi degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14.

Il governo cercava in questo modo di rispondere all’emergenza della prima ondata, aprendo le porte delle strutture sanitarie pubbliche al personale medico straniero, anche se con la modalità dell’esercizio temporaneo. L’articolo 13 permetteva così anche ai medici stranieri di presentare istanza per essere reclutati nelle strutture pubbliche regionali e delle province autonome.

Reclutamento di medici stranieri, il presidente AMSI: “Alcune regioni hanno frainteso il decreto”

Foad Aodi è presidente dell’AMSI (Associazione Medici Stranieri in Italia): lo raggiungiamo telefonicamente dopo che ha appena concluso un’intervista con una TV egiziana.

Esperimento riuscito, quello dell’articolo 13 del Cura Italia? Pierpaolo Sileri, il viceministro della Sanità, dopo aver partecipato ai congressi dell’AMSI mi chiamò per dirmi che stavano decidendo con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per inserire l’ art. 13 nel decreto Cura Italia, su cui stavano lavorando, ma a mio avviso l’articolo non è stato molto chiaro. Nel senso che alcune regioni, durante la fase dell’emergenza, l’hanno interpretato come se fosse solo per i medici provenienti dall’estero: Cuba, Russia, Cina. La nostra richiesta in realtà era diversa, ma alcune regioni devono avere frainteso”.

“Noi siamo un esercito di 77.500 professionisti della sanità di origine straniera, tra medici, infermieri e fisioterapisti, e il 65% di questi professionisti della sanità non ha la cittadinanza italiana, ma vive e lavora regolarmente in Italia. Credo non sia civile avere medici di serie A quando si parla di doveri e medici di serie B quando si parla di diritti. I nostri professionisti sono o laureati in Italia, o con il titolo riconosciuto legalmente, e ognuno di loro paga regolarmente le tasse. In un momento in cui c’è carenza di personale medico, questa chiusura da parte di alcune regioni nei loro confronti è incomprensibile.”

Foad Aodi, Presidente Associazione Medici Stranieri in Italia
(Photo credits: sanitainformazione.it)

Dopo il Decreto Cura Italia, come detto, la Lombardia a fine marzo ha chiamato seicento sanitari tra medici e infermieri provenienti dall’estero. Il Veneto ha cercato di reclutare personale per le loro ATS (Aziende di Tutela della Salute) cercandolo direttamente all’estero. Il Piemonte e l’Umbria si sono rese protagoniste in negativo attivando bandi per la ricerca di personale sanitario che fosse esclusivamente di cittadinanza italiana, con la stessa AMSI che, insieme ad altre due associazioni, ha deciso di denunciare questa condotta discriminatoria.

Umbria e Piemonte, in seconda battuta, sono tornate sui loro passi con nuovi bandi per la ricerca di personale sanitario, allineandosi così con l’articolo 13 del Cura Italia e quindi aprendo la ricerca anche a personale medico straniero con residenza in Italia, anche senza cittadinanza.

I medici stranieri in Italia e l’appello a Mattarella contro la discriminazione

È un tema scottante: reclutare personale medico all’estero quando in Italia ci sono 22.000 medici e 38.000 infermieri (secondo le stime dell’AMSI) di origine straniera presenti nel nostro Paese, e cosa ancor peggiore, creare balzelli per non permettere loro di entrare nelle strutture sanitarie pubbliche. Inoltre, mancando il requisito della cittadinanza italiana e pur possedendo i titoli e i relativi requisiti di legge, i medici stranieri in Italia non possono accedere neppure ai concorsi pubblici.

Eppure si era pensato che in tempi di pandemia il loro supporto fosse non solo strategico, ma soprattutto necessario: a onor del vero l’associazione AMSI si batte per togliere dall’invisibilità i professionisti stranieri della sanità ben prima del fatidico 2020, e un Paese civile non dovrebbe aspettare momenti di emergenza per attuare scelte di civiltà. Se il Decreto Cura Italia è del mese di marzo del 2020 e l’appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da parte di AMSI – in cui si chiede che non ci siano discriminazioni nei confronti dei medici stranieri solo per questioni di cittadinanza – è dello scorso mese di dicembre, significa che qualcosa è mancato anche nel corso del 2020, nonostante si sia cercato di rispondere a questa mancanza proprio con l’articolo 13.

“Dopo l’appello a Mattarella ho ricevuto molte chiamate da consiglieri regionali, deputati e senatori che mi hanno chiamato da ogni parte politica, visto il grande lavoro che stiamo facendo. Significa che il tema è molto sentito da tutti in maniera trasversale.”

Medici stranieri: in Francia la cittadinanza, in Italia 7 euro all’ora

Ma in Europa come si stanno muovendo gli altri Paesi nei confronti dei medici stranieri? “A livello europeo sono molto avanti nell’ottica dell’inserimento professionale e del riconoscimento delle esperienze professionali: vedo all’avanguardia Germania e Francia, dove Macron ha riconosciuto la cittadinanza francese ai medici stranieri per aver fornito un importante contributo nell’emergenza coronavirus”.

“Allora dico all’Italia che non c’è bisogno di fare arrivare i medici dall’estero: bisogna prima inserirli e poi incentivarli a rimanere nella sanità pubblica, proteggerli, pagarli meglio e consentire ai medici stranieri di integrarsi coi medici italiani. Dico anche che chi esercita in Italia deve conoscere la lingua italiana e avere alle spalle cinque anni di attività professionale. Purtroppo, però, le offerte – nella maggior parte dei casi – sono a tempo determinato per un periodo massimo di diciotto mesi, con la richiesta di trasferirsi e senza alcuna certezza di essere confermati. Per questo molti rimangono nel privato, dove in alcune cliniche abbiamo anche denunciato paghe orarie di 7€.”

Risulta a dir poco incomprensibile come la resistenza al cambiamento giochi sempre un ruolo determinante, ponendoci come fanalino di coda nelle classifiche europee. E, ancora, come in situazioni di emergenza e di necessità non riusciamo a trovare soluzioni concrete per rispondere a legittime rivendicazioni e a necessità fisiologiche cui il Paese non può più sottrarsi.

Foto di copertina: regione.piemonte.it

CONDIVIDI

Leggi anche

Prodotte e abbandonate: le mascherine italiane non possono competere con la Cina

La riconversione per la produzione di mascherine ha dato respiro a diverse imprese pugliesi (come la Baritech, ex Osram) che ora non possono reggere il confronto col mercato: “Noi dobbiamo usare materie prime certificate e pagare adeguatamente gli addetti”. La testimonianza di Leo Caroli (presidente task force per l’occupazione della Regione Puglia) e Francesco Centrulli (imprenditore e dirigente di Federmoda CNA Puglia).

Farmacisti collaboratori, una farmacista di spalle al bancone
Farmacisti, tutti ricchi? Non i collaboratori

“Contratti rinnovati in ritardo e 25 centesimi all’ora di premio per il COVID-19”: un farmacista su due pensa di cambiare lavoro, e chi sceglie di fare il freelance giura di guadagnare il doppio lavorando la metà. Ne parliamo con Lino Gorrasi (CONASFA), Francesco Imperadrice (SINASFA) e professionisti del settore