Violenza sul lavoro, tolleranza zero: come rispondono università e sanità

La Convenzione 190 della Conferenza dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro stabilisce che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro non possono più essere tollerate. Ma cosa accade oggi nei nostri atenei e nel mondo della sanità?

A fine ottobre l’Italia – secondo paese in Europa, nono nel mondo – ha concluso il processo di ratifica della Convenzione OIL 190 del 2019 sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro, con l’approvazione della legge n.4 del 15/01/2021.

Il documento, prima norma internazionale pensata per prevenire e contrastare la violenza e le molestie nel mondo del lavoro, definisce un quadro organico di intervento e richiede agli Stati membri di adottare, in consultazione con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, un approccio inclusivo e sensibile al genere attraverso azioni di prevenzione, protezione e applicazione delle norme, oltre a interventi di assistenza, informazione e formazione.

SenzaFiltro ha colto l’occasione di questo importante passaggio normativo per vedere come affrontano violenze e molestie sul lavoro due contesti specifici: le università e il mondo della sanità.

Università e codici di condotta: così si combattono le molestie

Soddisfatta della ratifica della Convenzione OIL 190 del lavoro è Elena Bigotti, avvocata torinese, consigliera di fiducia dal 2006 in alcuni atenei italiani (Università degli Studi di Torino e di Bergamo) e consulente per la formazione in enti pubblici.

“La Convenzione estende nero su bianco l’ambito di applicazione delle tutele perché si basa su un concetto ampio di luogo di lavoro, che comprende le trasferte, il tragitto casa-lavoro e viceversa, e soprattutto le dinamiche relazionali che avvengono tramite le tecnologie informatiche. È in questa zona grigia oggi che si verificano la maggioranza delle violenze e molestie da individuare”.

Elena Bigotti opera in un contesto peculiare, quello accademico, ben diverso dalle situazioni lavorative in cui al datore di lavoro si contrappone il lavoratore dipendente: “In ateneo convivono professionalità e persone differenti: il personale tecnico-amministrativo, il personale docente e gli studenti”.

Il consigliere o la consigliera di fiducia è il braccio operativo dei codici etici che è importante ogni università adotti, non restando però lettera morta. “Dopo la redazione e l’emanazione del codice, è fondamentale che venga spiegato, diffuso e fatto vivere con gli esempi e gli interventi di formazione”.

Per Elena Bigotti i codici di condotta sono uno strumento di tutela all’interno delle organizzazioni del lavoro, ma anche di formazione delle coscienze su questi temi. Una recente inchiesta di Repubblica ha indicato come 33 atenei su 67 in Italia abbiano adottato la figura delle consigliere di fiducia, con un divario ancora esistente tra Nord e Sud, dove si registrano meno nomine. Dopo anni di resistenze delle università in merito alla presenza delle consigliere, oggi gli atenei sono più ricettivi e rendono più facile lo svolgimento del nostro ruolo. Merito del movimento #MeToo, che ha aumentato la consapevolezza e ridotto i timori a denunciare. Le amministrazioni in generale sono più attente a favorire le denunce e a prendere parola pubblica contro determinante condotte”.

“Quando la governance segue questo orientamento, il clima all’interno dell’organizzazione cambia; i lavoratori e le lavoratrici si sentono autorizzati a prendere parola e quindi più protetti”. Resta però ancora molto da fare negli atenei: da un lato, affinare rispetto alle corrette procedure con cui presentare le denunce; dall’altro porre ancora maggiore attenzione a definire la molestia.

“L’aggressione fisica è senz’altro più riconoscibile, mentre è la zona grigia che richiede oggi di essere disvelata: battute, commenti sessisti e omofobi, atteggiamenti discriminatori, complimenti che nascondono sessismo ‘benevolo’ o aprono la strada alla molestia sessuale”.

La consigliera di fiducia, il primo sportello di aiuto in ateneo

Figura istituzionale terza e super partes di garanzia, prevenzione e intervento, la consigliera di fiducia non è ancora del tutto conosciuta. Prevista dalla Raccomandazione europea 92/131 del 1991 relativa alla tutela della dignità delle donne e degli uomini, la consigliera di fiducia lega il suo ambito di azione ai codici di condotta, in un primo momento relativi alle sole molestie sessuali e poi estesi al mobbing e alle vessazioni sul luogo di lavoro.

La consigliera, associata al CUG (Comitato Unico di Garanzia), assiste chi si sente vittima di comportamenti indicati dal codice di condotta (vessazioni, discriminazioni, molestie di ogni tipo), chi soffre il conflitto con colleghi e superiori, e chiunque viva una situazione di infelicità lavorativa. All’interno del contesto universitario, il codice etico e la consigliera di fiducia fungono da collante tra le diverse categorie di persone che frequentano l’ambiente e che portano istanze differenti.

“Un Ateneo come quello di Torino registra circa 150 segnalazioni l’anno – racconta Elena Bigotti – che a Bergamo diventano 50. Un’università di medio-piccole dimensioni raccoglie dalle 20 alle 50 segnalazioni l’anno. Tornando a Torino, delle 150 segnalazioni l’80% è equamente distribuito tra personale tecnico-amministrativo e docenti, mentre il 20% afferisce agli studenti. Di solito, aumentano le segnalazioni dopo una mirata formazione sul ruolo, sul servizio e sul codice di comportamento, anche se poi il trend rientra rapidamente”.

Gli studenti, continua l’avvocata, segnalano meno perché hanno un rapporto transitorio con l’università: stringono i denti e resistono fino al termine del corso di studi, perché sono in posizione più esposta e possono contare su molteplici canali di segnalazione attivi, come le associazioni studentesche, i rappresentanti degli studenti e degli organismi di ateneo con cui la consigliera di fiducia si interfaccia costantemente.

Fenomenologia delle segnalazioni: aumentano le molestie online

In base all’osservatorio di Elena Bigotti, il personale tecnico-amministrativo segnala situazioni di stress lavoro correlato, di percepito mobbing sotto forma di vessazioni psicologiche, molestie e demansionamenti, nonché di problemi dovuti a mancate o ritardate risposte da parte dell’amministrazione, problemi contrattuali, cattive relazioni con i colleghi e la direzione. Il quadro è quello dell’infelicità lavorativa.

“Per quanto riguarda il personale docente, l’impatto della formazione è evidente. Dopo lezioni mirate a direttori/direttrici di dipartimento, presidenti di corsi di studio e, a cascata, tutti gli insegnanti, le segnalazioni crescono su base mensile e aumentano anche le richieste preventive di consigli su come comportarsi in situazioni critiche.”

Sui docenti pesano l’ombra del mobbing, le difficoltà nel rapporto con i colleghi e con le dinamiche interne al dipartimento di riferimento. Filo conduttore delle casistiche che riguardano i rapporti fra docenti e studenti, e fra studenti e studenti, è il cattivo uso della tecnologia e, in maniera specifica, dei social e dei servizi di messaggistica. Sono sempre più numerose le segnalazioni di docenti donne e di giovani docenti uomini di molestie e stalking da parte degli studenti, che si manifestano in un elevato numero di email, inviti, continue richieste di ricevimento, pedinamenti all’interno e all’esterno dei locali universitari, messaggi ed email a contenuto sentimentale e personale. Facile uscire dai confini della relazione e del rapporto docente-studente, grazie alla pervasività della tecnologia.

“Senza un’adeguata formazione e assunzione di consapevolezza, vi è il rischio di porre in essere comportamenti che possono favorire condotte contrarie al codice etico anche in modo non del tutto consapevole”.

Molti interventi della consigliera di fiducia riguardano naturalmente anche i docenti, che si approfittano della loro posizione di potere per tentativi – reali e virtuali – di aggancio inopportuno con prodromi di molestie sessuali, o che sono responsabili di commenti sessisti, battute a sfondo erotico, a doppio senso e comportamenti inadeguati in occasione di lezioni ed esami, anche da remoto.

“La consigliera – conclude Elena Bigotti – interviene sempre e solo su istanza di parte”. Chi necessita di consulenza e sostegno scrive alla consigliera, che la riceve su appuntamento o sempre più spesso tramite video call da remoto. Se la prima parte conciliativa e informale non porta alla risoluzione della condotta molesta, si prosegue con una complessa procedura che prevede tre gradi di istruttoria e coinvolge il rettore o la direzione tecnica generale — a seconda di chi è coinvolto — ed eventualmente la commissione disciplinare.

Aggressioni sul lavoro, le più colpite sono sanità e assistenza sociale

Maria Carmela Nuccia Calindro, medico all’ospedale crotonese San Giovanni di Dio, fu aggredita con un cacciavite nel dicembre 2018 alla fine del proprio turno di lavoro da un parente di una paziente deceduta nella struttura sanitaria. Giovanni Bergantin, medico di medicina generale, fu preso a calci e pugni da un paziente a Cavarzere (Venezia) nel 2017.

Sono soltanto due tra i tanti esempi di un fenomeno, quello delle aggressioni a medici e operatori sanitari, che può dirsi globale come denuncia l’OMS, secondo cui dall’8% al 38% degli operatori sanitari nel corso della propria carriera subisce violenze fisiche. L’INAIL ha accertato dal 2015 al 2019 quasi 11.000 infortuni sul lavoro nel settore sanità e assistenza sociale da “sorpresa, violenza, aggressione, minaccia” (variabile Esaw – deviazione codice 80), per tre quarti donne, frutto del 60% di forza lavoro femminile riscontrato negli ospedali e case di cura e dell’80%, sempre femminile, nelle strutture di assistenza sociale residenziale e non.

I più colpiti sono infermieri/e, ma anche educatori e educatrici professionali, normalmente impegnati nei servizi educativi e riabilitativi all’interno dei servizi sanitari o socioeducativi. “Sembra assurdo che gli ‘eroi’ nazionali, gli ‘angeli’ del lockdown siano anche gli quelli che oggi sono più a rischio di ieri”, ha commentato Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana, in occasione della presentazione del rapporto annuale dell’Osservatorio sulle aggressioni al personale di CRI. La pandemia, secondo il rapporto, ha esacerbato la già complessa situazione. Si parla di minacce (60%), percosse, violenza a mano armata e atti di vandalismo, perpetrati in maggioranza dai pazienti. Tra gli scenari delle aggressioni, troviamo i pronto soccorso, i reparti di degenza, gli ambulatori, gli SPDC (Servizio psichiatrico Diagnosi e Cura), le terapie intensive, le ambulanze del 118, le case di riposo e i penitenziari.

La centralità dei dati: sbloccato il decreto che istituisce l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza

Diverse indagini fotografano quindi il fenomeno, ma c’è un significativo vuoto da colmare.

“Bisogna considerare che le aggressioni denunciate all’INAIL sono quelle compiute nei confronti del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (120.000 persone), senza contare, quindi, quelle contro le guardie mediche, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, che esercitano in regime di convenzione con il Servizio sanitario e non sono assicurati INAIL ma privatamente (circa 70.000)”, spiega Domenico Della Porta, specializzato in medicina del lavoro, consulente negli anni per diversi ministeri e oggi referente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) per l’INAIL.

“Il tassello più importante della Legge n.113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) è l’istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza, che avrà il compito di monitorare tutti gli episodi di violenza commessi ai danni dei sanitari, grazie al coinvolgimento dei 31 ordini professionali, mettendo fine all’attuale discrepanza dei dati. Dati che sono infatti indispensabili per rafforzare e orientare le azioni di protezione e prevenzione dei lavoratori”, continua Della Porta.

A più di un anno dalla sua previsione normativa, la legge contro la violenza sui sanitari, che prevede anche l’inasprimento delle pene e protocolli operativi con le forze di polizia, è rimasta nei fatti inapplicata, soprattutto per quanto riguarda l’attivazione dell’Osservatorio. “Una mancanza – sottolinea Della Porta – che pesa anche in relazione alla Convenzione OIL sulla violenza sui luoghi di lavoro che il nostro Paese ha da poco ratificato”.

Il silenzio finalmente è stato rotto il 9 dicembre con la trasmissione dal ministero della Salute alle Regioni dell’atteso decreto ministeriale che istituisce l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie. Il provvedimento, che dovrà essere approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, ne esplicita la corposa composizione (circa 80 componenti) con la presenza di referenti dei ministeri di Salute, Interno, Giustizia, Difesa e Lavoro, otto rappresentanti delle Regioni, uno dell’INAIL e di Agenas. Nutrita la rappresentanza degli Ordini professionali e dei sindacati.

Prevenzione, sorveglianza, monitoraggio. Come contenere la violenza in sanità

Per intervenire sul fenomeno, aggiunge Domenico Della Porta, serve l’azione combinata di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

“Sul fronte della prevenzione primaria, occorre rispettare le normative e i regolamenti che già esistono nel nostro Paese, anche prima della Legge n.113/2020, per evitare o ridurre il ricorso alla violenza. Faccio riferimento al Testo Unico sulla salute e sicurezza dei lavoratori (legge 81/2008), integrato dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. 106/2009”. L’aspetto più importante della legge è l’obbligatorietà da parte dei datori di lavoro di valutare tutti i fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro, compreso quello di aggressione.

Pilastri fondamentali della prevenzione secondaria, continua l’esperto, sono il monitoraggio del fenomeno, la promozione di strumenti di videosorveglianza, così come di campagne di comunicazione per sensibilizzare l’utenza, e la formazione per il personale sanitario. Tutti passaggi in qualche modo previsti dalla normativa del 2008, ma che l’Osservatorio nazionale avrà il compito di portare avanti con maggiore incisività.

Infine c’è la prevenzione terziaria, che consiste nella verifica dell’impatto dell’infortunio e nel recupero professionale del lavoratore.

Photo by Charl Folscher on Unsplash

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