Giorgia Garola da Confindustria a Yes4TO: “Le scuole raccontano ai giovani storie ormai vecchie sul lavoro”.

C’è voluto l’ultimo reportage sulle geografie invisibili, questo sul Piemonte, per incontrare un Presidente di Confindustria. Solitamente non è la voce che da Senza Filtro andiamo a intercettare per capire come se la passino le imprese e il lavoro in giro per l’Italia. Però su Giorgia Garola, eletta due anni fa Presidente dei Giovani imprenditori […]

C’è voluto l’ultimo reportage sulle geografie invisibili, questo sul Piemonte, per incontrare un Presidente di Confindustria. Solitamente non è la voce che da Senza Filtro andiamo a intercettare per capire come se la passino le imprese e il lavoro in giro per l’Italia. Però su Giorgia Garola, eletta due anni fa Presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria Piemonte, troppe persone di cui mi fido mi avevano detto “vai, incontrala”, e sono andata. All’ora di pranzo la sua azienda è deserta, tutti in pausa come nelle buone famiglie che sanno rispettare i ritmi. Mi aspetta alle 13, suono, mi viene incontro al cancello. Quel che resta di Mirafiori è lì in fondo alla strada.

“Io comunque posso parlare anche a nome di Yes4To, se preferisci”.

Dato che le idee non si ingabbiano, poco conta quale sia il cappello per l’intervista. La sostanza è lei e di stoffa ne ha in ciò che pensa e in come lo dice. YES4TO è un tavolo interassociativo a cui aderiscono i gruppi giovani di ben 22 associazioni del territorio torinese e lei lo coordina; in assoluto il progetto italiano più inclusivo se si parla di riprogettazione culturale del lavoro mettendo insieme così tante sigle perché spesso in Italia è solo di sigle che si parla e poco di progetti e di sviluppi. Giorgia ne è la coordinatrice. “Altre città ci hanno provato ma si sono fermate a poco più di 5. Siamo tutti su base volontaria e soprattutto facciamo una scrematura di valore perché accettiamo solo associazioni meritocratiche, non sono mancati in passato quelli che volevano entrare solo per avere il proprio logo accanto al nostro. Lavoriamo per Torino, chi non ha voglia di fare non entra”.

Cosa vuol dire essere giovani imprenditori nel Piemonte di oggi?

Per fortuna oggi non sono tutti figli di e in ogni caso molti giovani che stanno nelle associazioni di categoria pretendono e introducono uno stile molto meno ingessato dei senior, sono senza dubbio più concreti e più dinamici. Tornando a Confindustria, alla fine ha un ruolo intermedio importante e deve farlo bene. Io lo ripeto sempre che non c’è stata per me università o master che mi abbia insegnato tanto, tutti i giorni, nel totale confronto di impresa sul campo coi colleghi.

Figli di è una condizione non sempre felice, non sempre facile. 

Io sono una seconda generazione un po’ particolare ma posso garantirti che ci sono moltissimi giovani che non hanno famiglia alle spalle che li introduce. Tra l’altro, in questo, Torino conta moltissime nuove imprese rispetto al Piemonte tradizionalmente più frenato. Sfatiamo quindi il racconto per cui il primo figlio va in azienda e il secondo va in Confindustria perché ha tempo da perdere. Un’identità comune tra i territori non esiste, alcune sono più macchinose e altre più reattive: in Piemonte ad esempio il Cuneese è una delle aree più virtuose. Basti pensare al mio Presidente Matteo Sebaste che è alla quinta generazione per cui hanno ampiamente superato lo scoglio della terza generazione che solitamente è fatta per distruggere. Oppure pensiamo ai tempi per aprire una società: la Camera di Commercio mi diceva che a Cuneo serve un giorno quando a Torino non ne bastano dieci.

Cuneo vi agevola anche per abbassare i tassi di disoccupazione giovanile a quanto pare.

L’oltre 40% di disoccupazione giovanile piemontese, un tasso altissimo, per fortuna è bilanciato dall’8% di Cuneo. Su questo piano la sola Torino supera il 60 e di certo il capoluogo ha sentito più delle altre la grande crisi industriale.

Piemontesi prudenti o inerti?

Qui la cultura del cambiamento ha tempi più prudenti, per questo stanno funzionando i progetti che trainano verso la conoscenza della digitalizzazione e dell’internazionalizzazione. Per i piemontesi il cambiamento forse è destabilizzante, il salto lo fanno ma il problema sta tutto nell’approccio: questo però caratterizza le vecchie generazioni; i giovani imprenditori per fortuna parlano tra di loro, si confrontano e cercano di crescere per il bene di tutti, non hanno paura di condividere, capiscono quando e dove andare insieme e non da soli. YES4TO nasce per ridare al territorio, che dovrebbe essere lo scopo di ogni imprenditore o professionista. Dentro c’è di tutto: artigiani, imprenditori, notai, albergatori, avvocati, commercialisti, giusto per citarne alcuni e per rendere l’idea.

Coinvolgete anche le scuole?

Il gap tra domanda e offerta è altissimo perché non è vero che non c’è lavoro, non ci sono più certi lavori e le scuole purtroppo stanno ancora raccontando ai ragazzi la storia delle certezze che non esistono più e del posto fisso come unico approdo. Le scuole raccontano ai giovani storie ormai vecchie sul lavoro. Spesso li sentiamo ostili nei nostri confronti quando andiamo a incontrare gli studenti per descrivere loro la nostra quotidianità completamente diversa, e riuscita, da giovani del mondo del lavoro. Stiamo facendo tanto anche sui Neet. Per fortuna nelle scuole la differenza la fanno le persone e io ne ho incontrate di speciali in quel mondo.

Da queste parti chi si sente straniero quando si parla di lavoro?

Torino registra perlopiù una grande presenza di stranieri dalla parte africana della Nigeria, anni fa poteva essere il Marocco. Per me averli in azienda è una grande risorsa perché non trovo più operai specializzati italiani e loro sono diventati indispensabili. Io ne faccio da sempre una questione di competenza e non di provenienza ma occupandomi di estero mi viene naturale, per me il diverso non è mai esistito. La fabbrica poi si è tanto trasformata e non è più il luogo triste e cupo: questa cosa però bisogna spiegarla aprendo le porte e spesso lo facciamo con Yes4TO. Gli effetti si vedono, dopotutto il nostro scopo è informare e comunicare il lavoro, orientare i giovani.

Torino come sta?

“Per non sbagliare è meglio non fare”, questa è l’attitudine. Torino con le Olimpiadi del 2006 aveva fatto un salto enorme, faticosissimo ma l’aveva fatto. Poi però un po’ alla volta ha frenato, frenato, frenato. La politica che ci governa usa una prudenza che può essere in parte comprensibile ma alla lunga si fa dannosa, non si può dire no a tutto per principio. La politica dovrebbe valutare effetti e conseguenze, i rallentamenti non possono che far male al carattere dei piemontesi che va già a rilento.         

Posso chiederti un tuo sentimento su Marchionne sia da imprenditrice che da torinese?

Con Yes4TO abbiamo presentato il libro Marchionne lo straniero, di Paolo Bricco, perché alla fine questo è ciò che lui ha comunicato ai torinesi. Chi lo frequentava da vicino ha avuto la possibilità di capire davvero tutto ciò che ha fatto per la città ma lui non è stato in grado di comunicarlo. Marchionne ha salvato un’azienda che avrebbe di certo chiuso, ha salvato un’azienda intera facendo manovre difficili anche per lui, non ha salvato tutti ma ha lasciato qui una realtà che ancora vive e dà lavoro. Ha rilanciato la Maserati, ha rilevato lo stabilimento Bertone che stava fallendo.

Il piemontese è diffidente, non ti mette subito a suo agio e non ti apre le porte da subito, lui ha badato alla concretezza dello scopo per cui era stato chiamato e ha trascurato la relazione con la città, il farsi accettare. Di certo un uomo timido e schivo verso la città ma uomo brillante. Pensa che i primi tempi veniva qui e apriva i convegni facendo battute in piemontese, era simpaticissimo. Io l’ho stimato molto, lo stimo tuttora. Torino e Marchionne non si sono mai innamorati tra di loro, mettiamola così.

 

 

Giorgia Garola, oggi alla guida dell’azienda di famiglia Scam Technology, parte da studi di economia nel marketing perché non voleva chiudersi dentro la fabbrica di casa. Una tesi sulle cialde Lavazza ad uso domestico, tra le primissime in Italia a parlare di un oggetto sconosciuto ai più. Parliamo del 2000.

“Lavazza per me è un simbolo importante. Un’azienda dall’atmosfera ancora familiare che è diventata una multinazionale ma dove, tra gli uffici, tira ancora aria di casa. Famiglia numerosa che ha sempre scelto con grande i propri collaboratori come l’attuale Amministratore delegato che è un grande manager formatosi in Fiat al fianco di Marchionne. Con la Nuvola hanno regalato alla città un’opera incredibile che ha bonificato totalmente l’area e recuperato una zona oggi in rinascita. Più volte è stato proposto alla Lavazza di trasferirsi a Milano ma non hanno mai voluto lasciare la città perché hanno un grande amore nei confronti del territorio che li ha visti nascere”. 

Per Giorgia, dopo la tesi, arrivarono Roma e Milano lontano dalle comodità dell’azienda di famiglia che avrebbero potuto facilitarle troppe strade, il troppo facile non l’ha mai attratta, ha sempre cercato aria. Poi esperienze di marketing nel tessile e a seguire in Dolce e Gabbana. “Mio padre, prima di entrare nella metalmeccanica, aveva un’azienda di maglieria per cui il tessile ce l’avevo evidentemente già un po’ addosso. Alla fine fui richiamata all’ordine e rientrai. Il mio passaggio generazionale è stato faticosissimo, mio padre aveva quasi novant’anni, un visionario nel lavoro che però non credeva nelle donne – figuriamoci nel campo della metalmeccanica dove mi sono dovuta spesso confrontare con collaboratori stranieri che venivano da culture in cui le donne hanno valore zero. La mia piena affermazione in azienda è arrivata ora che lui non c’è più, dopo che ha aspettato invano che arrivasse un nipote maschio a tirare avanti il tutto. Con lui la chiave giusta fu il tenergli testa: se sei debole con le persone autoritarie allora perderai sempre ma ad un certo punto, standogli fianco a fianco tutti i giorni, capii che in me ci credeva e come”.

Il destino che ci rieduca. 

Giorgia Garola ha una sorella più piccola e tre figlie femmine, il maschio – almeno per ora – in casa non si è visto.

Il padre Giovanni era figlio di altri tempi e di un’altra Torino.

Alla fine siamo tutti figli di qualcuno da cui dovremmo sempre evolvere.

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