L’IA si dà alle truffe e i social ci guadagnano

Fabio Fazio arrestato, Alessandro Sallusti che rivela come arricchirsi in fretta e molti altri: le frodi generate tramite IA rischiano di fare sempre più vittime accedendo alle sponsorizzazioni via social. Che continuano a incassare tralasciando il fenomeno

12.03.2024
Truffe generate dall'IA: un finto articolo che coinvolge Fabio Fazio e Alessia Marcuzzi

Fabio Fazio tratto in arresto – la foto sembrerebbe del resto inequivocabile – con la didascalia che fa riferimento a una telecamera che resta accesa. Paola Cortellesi in diretta TV che svela incredibili trucchi finanziari che devono restare nascosti. Una straordinaria intervista esclusiva di Rai News a Elon Musk che garantisce il segreto della ricchezza. Addirittura, Sallusti (sì, il giornalista Alessandro Sallusti) sarebbe andato a raccontare in giro come fare soldi facili con le nuove tecnologie.

Quando si parla di devianze delle intelligenze artificiali generative si immagina che tali truffe così futuristiche siano ancora lontane nel tempo, o al più prerogativa dei grandi crimini come quello perpetrato ai danni di una azienda di Hong Kong, dove una AI ha simulato volto e voce di un alto dirigente per autorizzare spostamenti di denaro per circa 24 milioni di euro “a favore” dei criminali.

In realtà quanto sopra citato (Fazio, Cortellesi, Sallusti, Musk, ma anche Chiara Ferragni e chissà quanti altri personaggi del momento) è successo sui feed Facebook di centinaia di utenti. Tra cui quei genitori, nonni e tanti altri non propriamente nativi digitali che, superando ogni difficoltà nell’approccio a un mezzo ostico nella speranza di tenersi in contatto con modi e lingua dei loro cari, si sono imbattuti in tali truffe senza avere a disposizione gli strumenti per riconoscerle e combatterle.

Aumentano le frodi informatiche: anche l’IA è usata per le truffe

Secondo l’ultimo report diffuso dalla Polizia postale, nel 2023 sono stati 16.300 circa i casi di frodi informatiche di cui agenti e investigatori si sono occupati. Si tratta di 1.000 casi in più rispetto al 2022, ma con un numero di indagati praticamente simile (3.571 contro 3.511 in un anno). Una dimostrazione che, nonostante l’enorme sforzo compiuto dalle forze dell’ordine, trovare i responsabili di tali atti sia complesso. Non impossibile, ma estremamente complesso. E la natura stessa del cybercrimine non rende certo semplice tale compito.

Le frodi informatiche finanziarie registrano più o meno lo stesso trend: un migliaio di casi in più in un anno (con una variazione percentuale che però si attesta su un +15% circa) per meno di 1.000 indagati (917 persone nel 2023). Persone fisiche, certo, ma soprattutto PMI e grandi società sono nel mirino dei criminali per un volume di “affari” stimato per 40 milioni di euro (solo per l’emerso dalle indagini). Criminali che sanno perfettamente, del resto, che con sistemi sempre più complessi da aggirare è molto più semplice hackerare le persone: farsi dare le chiavi di casa per entrare in modo lecito nei sistemi che un tempo andavano bucati.

In questo panorama globale, la commistione tra intelligenza artificiale generativadigital divide applicato agli utenti meno avvezzi allo strumento informatico trasformano l’attuale esperienza utente in realtà in una tragedia già allestita. Le campagne di sensibilizzazione (di cui tra l’altro la stessa Polizia postale italiana è straordinaria protagonista) lasciano però il tempo che trovano se tali criminali hanno “sponda” nella piattaforma. Piattaforma che li ospita, mostra che tale inserzione è pagata e crea di fatto quell’autorevolezza che al criminale mancava.

I social media complici degli illeciti

Quello che sta accadendo su Facebook in queste ore, con inserzioni truffa che trovano terreno fertile in un target variegato che una volta agganciato non viene più mollato in alcun modo, rimette però al centro del dibattito (o almeno, si spera) una urgenza reale.

Queste società, questi colossi del tech che macinano fatturato e poi spostano parte dei loro introiti verso le sedi centrali sotto la voce “costi per servizio” (come raccontava in uno straordinario articolo di qualche mese fa Francesco Bertolino sul Corsera) lasciando spiccioli di imposte sul territorio, dovrebbero rispondere di tali condotte. Il concetto di offrire un servizio e lasciare che venga utilizzato allo scopo di perpetrare una truffa (o un reato qualsiasi) guadagnando dei soldi dalle sponsorizzazioni nel processo, crea un imbarazzante corto circuito: la truffa arricchisce anche la stessa piattaforma. Solerte sì a bloccare attraverso algoritmi atti del tutto innocui, ma non altrettanto attenta a non far passare inserzioni che a un occhio umano (e non a un algoritmo – incluso quello di intelligenza artificiale che anima azioni di sicurezza e chatbot di discutibile efficacia) sarebbero subito individuabili in tutta la loro viscida illiceità.

In altre occasioni una simile condotta sarebbe ritenuta equiparabile alla complicità in atto illecito. Per i big del tech tale assioma non vale. Eppure, quella dicitura “sponsorizzato” sotto la pagina violata per l’azione criminale dice tutto.

David Rothkopf, insigne politologo e accademico statunitense, qualche anno fa diceva: “I proprietari di siti di social media dovrebbero essere responsabili delle conseguenze di bugie e disinformazione diffuse sui loro siti, proprio come altri proprietari di media. L’idea che le società di social media non siano società di media (che risale agli anni Novanta) è una parte importante del problema che dobbiamo affrontare oggi”. Che l’Italia possa invertire tale errata convinzione e dettare una nuova linea, finanche essere pioniera su tali argomenti che la vedono sempre fanalino di coda a livello comunitario, è quello che ci auspichiamo. Non tanto per disquisire sui massimi sistemi, ma per evitare che i nostri nonni, a causa di un improbabile arresto di Fabio Fazio, finiscano per prosciugare i loro conti.

 

 

 

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Photo credits: borsainside.com

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