Il lavoro è agile, gli stipendi no

Le aziende sono chiamate a una nuova sfida gestionale: ripensare le retribuzioni sulla base dei nuovi parametri portati dallo smart working, ad esempio svincolandole da tempi e luoghi di lavoro e differenziandole a seconda della popolazione aziendale.

La pandemia ha accelerato tendenze già presenti nello sviluppo del quadro sociale ed economico, costringendoci a un adattamento forzato e a cambiamenti che in altre situazioni si sarebbero sviluppati in modo più progressivo.

Tali cambiamenti sono tutt’ora in corso e sono guidati da una serie di forze che già prima si stavano sviluppando, e che continueranno a influenzare il panorama socioeconomico anche nel prossimo futuro. Si tratta di tendenze quali l’incremento della complessità gestionale e la diminuzione della possibilità di programmazione da parte delle imprese, per effetto soprattutto dell’innovazione tecnologica e della globalizzazione. Questo contesto viene spesso identificato con la sigla inglese V.U.C.A., a indicare come ci si muova oggi in uno scenario per definizione volatile, complesso e ambiguo.

Inoltre dobbiamo considerare la terziarizzazione dell’economia e le nuove forme di lavoro che ne conseguono, il nuovo focus sulla sostenibilità del business in termini economici, sociali e ambientali e la sempre maggiore richiesta delle persone di trovare un equilibrio fra tempo dedicato al lavoro e tempo dedicato alla vita privata. Tali forze premeranno sul mondo del lavoro e richiederanno risposte e cambiamenti rispetto agli assetti organizzativi e gestionali attuali.

L’effetto dello smart working sulle retribuzioni

Uno dei fenomeni che hanno avuto uno sviluppo accelerato è il lavoro da remoto o lavoro agile, più comunemente definito smart working. Adottato in maniera massiva in via emergenziale, ha modificato la consueta relazione tra azienda e collaboratore e la modificherà ulteriormente nel futuro. Lo smart working infatti ha messo sul tavolo delle aziende la necessità di definire nuove forme di gestione delle persone, che inevitabilmente hanno delle ricadute anche in termini di gestione delle retribuzioni.

In primo luogo, si è creata la necessità di governare le differenze tra lavori tradizionali e lavori che possono essere svolti in modo agile. Di conseguenza, le relazioni che hanno storicamente definito il rapporto tra retribuzione e tempo di lavoro e tra retribuzione e luogo di lavoro si sono indebolite e hanno iniziato a prendere diverse forme. Contemporaneamente, anche il peso dell’anzianità di servizio ha perso peso in quanto tale. Al contrario la professionalità e i risultati, cioè le effettive prestazioni e il merito individuale, diventano sempre più centrali nel rapporto con la retribuzione; sotto tale aspetto emerge significativamente il valore, inoltre, del contributo del singolo ai risultati del team.

A conti fatti, la gerarchia e la posizione organizzativa divengono meno importanti della competenza e della capacità di essere flessibili attraverso l’apprendimento.

Le aziende e i lavoratori fuori sede: il confronto con altri mercati retributivi

A questi fenomeni, che già oggi richiedono nuove modalità di gestione, se ne potranno aggiungere altri, come ad esempio quelli collegati alla presenza presso la sede di lavoro: non essendo più necessaria per alcuni lavori, le aziende potranno ampliare il loro bacino di reclutamento, assumendo ad esempio persone che operano in altre città italiane o addirittura all’estero.

Con l’affiorare di un’offerta di lavoro potenzialmente globale, le aziende dovranno confrontarsi con i mercati retributivi del Paese dal quale assumono la persona; eventualità che può essere vista come un’opportunità, se si attinge da mercati retributivi meno competitivi, o una criticità, nel caso in cui i mercati siano più competitivi di quello italiano. In ogni caso, un potenziale problema di equità rispetto agli altri colleghi.

Inoltre, le persone che già stanno lavorando per un’azienda potranno chiederle (e in un periodo di Great Resignation è facile che tali richieste possano essere accolte, soprattutto per i talenti) di potersi trasferire in luoghi con un minore costo e una migliore qualità della vita, svolgendo il lavoro da remoto. Negli USA, dove ciò sta già avvenendo, un’importante azienda ha concesso questa possibilità a fronte di una riduzione della retribuzione, in relazione ai minori costi che la persona dovrà sostenere a seguito di questa concessione. Nel momento in cui ciò dovesse succedere in Italia, dovrebbe essere affrontato il paradigma “parità di retribuzione a parità di lavoro”, con tutta la complessità – anche ideologica – che ne deriverebbe.

Verso una retribuzione variabile: ma secondo quali criteri?

Quale sarà, quindi, il futuro delle retribuzioni?

L’attenzione maggiore dovrà essere rivolta al saper gestire le diversità all’interno delle realtà aziendali, con un focus continuo e proattivo sui principi di equità all’interno dell’organizzazione.

Le politiche retributive dovranno rispondere in primis alla questione non ancora risolta del gender pay gap, con la capacità di cogliere le differenze – che diverranno sempre più marcate – tra professionalità elevate e professionalità fungibili. Non solo: sarà fondamentale riconoscere all’interno dell’organizzazione la presenza di lavori di tipo tradizionale e lavori che possono essere svolti in modo agile, tenendo altresì in considerazione la presenza di lavoratori di generazioni diverse al proprio interno. Tutti questi aspetti costituiscono gli elementi su cui basare la costruzione di un sistema di retribuzione a parte fissa e a parte variabile, dove quest’ultima assumerà nel tempo un’importanza sempre maggiore.

L’elemento variabile della remunerazione, poi, potrebbe subire cambiamenti, aprendosi verso una revisione costante e in tempi brevi dei meccanismi di calcolo. In che modo? Mantenendo il focus sui cambiamenti di mercato e i cicli di performance a esso collegati. E ancora: il welfare assumerà un peso specifico sempre più importante nel calcolo della remunerazione, da una parte aumentando il potere d’acquisto del lavoratore, e dall’altra consentendo all’azienda di personalizzare i servizi a disposizione del personale, al fine di utilizzarlo poi come leva strategica per fidelizzare i propri collaboratori.

Ma come fare per governare tutti questi aspetti e il loro impatto sulle persone? Per gestire personalizzazione, evitare discriminazioni, perseguire l’equità e ottenere la miglior percezione possibile delle politiche retributive occorrerà codificare ed essere molto rigorosi sui principi base, adottare strumenti differenziati a seconda delle caratteristiche delle diverse popolazioni aziendali e, vera novità rispetto alle prassi attuali della maggior parte delle aziende italiane, mettere in campo una informazione trasparente, che non tema di comunicare la differenziazione delle politiche e degli strumenti, ma si ponga l’obiettivo di sostenerla, spiegandola in modo chiaro.

Ha collaborato all’articolo:

Giancarlo Caprioglio – Senior Consultant di JobPricing dal 2016, ha avuto una lunga carriera come manager nella funzione HR di importanti realtà italiane e multinazionali, fra cui il gruppo Ferrero dove per 10 anni ha ricoperto il ruolo di Global Compensation, Benefit & Expatriate Director. È Business Coach certificato.

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