Lettera di una ragazza che sogna un mondo del lavoro “umano”

Gentile redazione, Vi seguo da un po’ di tempo, dunque mi capita spesso di leggere ciò che scrivete e per questo ho deciso di condividere la mia esperienza che vorrei sapere se è generalizzata o meno. Lavoro in una grande multinazionale e faccio il lavoro che sognavo mentre studiavo: marketing in un’azienda del Food&Beverage. Mi […]

Gentile redazione,

Vi seguo da un po’ di tempo, dunque mi capita spesso di leggere ciò che scrivete e per questo ho deciso di condividere la mia esperienza che vorrei sapere se è generalizzata o meno.

Lavoro in una grande multinazionale e faccio il lavoro che sognavo mentre studiavo: marketing in un’azienda del Food&Beverage. Mi ha sempre affascinata questo mondo, sin da quando, bambina, accompagnavo mia mamma a fare la spesa. Ho ancora una fortuna in più: lavoro per un brand di cui sono sempre stata fedele consumatrice.
Dunque per me questo è stato anche motivo di orgoglio.

Sono in azienda da oltre 5 anni, ho iniziato subito dopo l’Università e ho sempre dato il tutto e per tutto perché volevo imparare, ero curiosa, volenterosa e tutto ciò che ci si aspetta da un qualsiasi neo laureato.

In questi 5 anni ho dato tantissimo all’azienda, in termini di tempo ed energie e conseguentemente di cambiamenti di vita (ho traslocato un paio di volte per seguire le varie opportunità). Tutte le sere che facevo tardi, o che mi accorgevo che l’abbonamento in palestra era abbandonato da mesi, o ancora che arrivavo a casa senza nulla in frigorifero con forze pari a 0, mi giustificavo dicendomi: “sono in stage e devo farmi vedere volenterosa” ; “sono all’inizio in questo ruolo e devo capire il contesto” “c’è una presentazione importante e poi andrà meglio…” tutte scuse trite e ritrite che noi aziendalisti conosciamo bene.

Tuttavia oggi, dopo soli (o già) 5 anni, a 28 anni io mi sento esausta. Già da un annetto buono ho maturato il fatto che, sebbene lato lavorativo sia soddisfatta delle persone con cui lavoro perché competenti, perché ho ancora tanto da imparare da loro, dall’altra parte non mi sento minimamente soddisfatta lato umano. Guardo i miei capi lassù, e tutto quel che penso è: “non li invidio neanche un po’. Avere famiglie, vite private e dedicarsi 12h al giorno al lavoro“.

E questa considerazione me ne ha portata ad un’altra ancora peggiore e forte: non le stimo come persone.

Quest’anno, dopo un periodo per me particolarmente turbolento Primavera/Estate, ho deciso che avrei ripreso in mano l’equilibrio lavoro-vita privata (workbalance… e tutti gli inglesismi di cui ci piace tanto abusare), perché ho avuto una conferma dopo l’altra che le aziende di questo aspetto se ne occupano solo a parole (di solito avvalendosi delle famose plenarie), ma MAI nei fatti. E devo ammettere di essermi sentita tradita nel momento in cui ho realizzato, perché la mia azienda l’ho sempre supportata e difesa. Invece ho capito che per l’azienda è molto più importante avere persone che lavorano tanto e non si lamentano. E più volte nelle ultime settimane, talvolta anche con un discreto senso di colpa, mi sono trovata a pensare: “persone che lavorano li da 20/30/40 anni non si lamentano, perché io avverto questo malessere dopo soli 5 anni?”

Mi sono risposta che per me evidentemente la vita privata, il cercare di essere più possibile esseri umani e non macchine, è forse più importante che per altre persone e non è giusto neanche pretendere che tutti la pensino come me.

Sono tuttavia arrivata all’amara conclusione che se continuerò a lavorare ”solo” le mie 8h al giorno, in questa azienda o in un’altra, sarà molto difficile crescere. Si è davanti ad un bivio: o la carriera o la vita privata. E questo mi fa rabbia! Ma è davvero difficile smantellare questo modo di pensare.

Mi piacerebbe seguire dei percorsi aziendali su questo genere di temi per cambiare questo malatissimo sistema del lavoro, ma è evidente che alle aziende non potrà mai interessare fin quando ci saranno persone pagate per lavorare 39h settimanali senza straordinari (nascosti dalla gentil concessione dell’orario flessibile) ma che lavorano invece 60h. Come potrebbe andare meglio di così?

Mi sento un pesce fuor d’acqua ultimamente, perché vedo che sì, gli altri colleghi si lamentano delle troppe ore ma restano comunque fino alle 19, alle 20 a lavorare.. io non riesco più ad accettare questa “normalità”. Forse non è più il lavoro adatto a me? L’ambiente adatto a me? Mi frullano in testa queste domande da settimane.

Sono curiosa del Vostro parere avendo rapporti con tante aziende, tanta esperienza e avendo anche Voi a cuore la parte umana del lavoro. E mi piacerebbe sapere se ci sono altri lettori che vivono il mio disagio.

Concludo questa mia lettera di considerazioni/sfogo, ringraziando in anticipo (e chiedendo scusa per la lunghezza).

Buona giornata!

Lettera firmata.

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