L’innovativo precariato dell’Istituto Italiano di Tecnologia

Ricercatori e lavoratori dell’IIT di Genova in sciopero per il riconoscimento di un contratto di lavoro regolare. Anche l’innovazione non sfugge alla tradizione.

Strano Paese il nostro, in cui a Napoli si assumono dodici laureati (su duecento giovani che hanno superato il concorso) per un posto da netturbino mentre contemporaneamente a Genova i ricercatori scioperano per ottenere il riconoscimento legittimo del loro lavoro.

Se al momento i netturbini napoletani sembrano essere stati “messi in sicurezza”, in entrambi i casi c’è da chiedersi perché “il sistema lavoro” che va dalle Istituzioni ai Centri per l’Impiego, dalle scuole alle imprese, sia così distratto o semplicemente impreparato da non riuscire a collocare le persone giuste al posto giusto e soprattutto a tutelare le professioni più strategiche in quella che sarebbe la necessaria visione di futuro di un Paese.

L’Istituto Italiano di Tecnologia è considerato una delle Eccellenze accademiche del nostro Paese, tanto da mutuare l’affidamento di un Ministero a Roberto Cingolani, ex direttore scientifico dell’Istituto, da parte dei Governi prima Draghi e poi Meloni.

Ma a quanto pare, l’aurea di innovazione ed eccellenza con cui troppo spesso in Italia si etichettano (soprattutto) le Accademie, prima o poi si scontra con una realtà fatta di opposizione al merito e alla trasparenza. È di ieri la notizia che i ricercatori dell’IIT sono in sciopero per ottenere quello che per qualsiasi altro lavoratore in Italia è un diritto costituzionale: l’adeguamento del loro lavoro ad un contratto collettivo nazionale di riferimento.

A quanto pare, proprio nel Regno dell’Innovazione i ricercatori, i tecnici e gli amministrativi accusano l’Istituto di creare precarietà e fuga di cervelli, di bloccare gli avanzamenti di carriera, di operare con modalità paternalistiche. Tutto questo nonostante i fondi non manchino di certo visto che l’Istituto è ben sponsorizzato dai privati e riceve circa 90 milioni di Euro solo dal Ministero dell’Economia.

La situazione ha dell’incredibile: 1900 dipendenti gestiti con contratti “individuali” e mal tutelati da una “rappresentanza di lavoratori” autonoma, ma da nessuna RSU interna. In poche parole stiamo parlando di un sistema che genera inevitabilmente pochissima trasparenza sui ruoli, le mansioni, le retribuzioni, le promozioni, i premi, gli inquadramenti, le pause. Il tutto nel nome di un “modello flessibile e competitivo” inaugurato da Cingolani stesso che negli anni è diventato sinonimo di “discrezionalità”. Parola elegante che nasconde un sistema di favori più affine ad una Pubblica Amministrazione qualsiasi o ad un’impresa padronale che non ad un’eccellenza dell’innovazione.

I ricercatori sono una categoria preziosissima di cui pare si occupino solo i media quando si tratta di sciorinare le cifre dell’emorragia di cervelli in fuga che ogni anno raggiungono le Università e i centri di ricerca di altri Paesi ma che non riusciamo a tutelare – non solo nelle Università – ma nemmeno nei luoghi deputati al futuro. Un evergreen che “tira sempre” nei grandi convegni, nei meeting delle Associazioni di Categoria, nei programmi elettorali raffazzonati in fretta e furia e infarciti di “empowerment al femminile”, “inclusione”, “sostenibilità” e “giovani”. Di cui poi, all’atto pratico nessuno si occupa.

Come sempre, l’innovazione è una bellissima parola che in Italia si scontra con la tradizione nella sua peggiore accezione.

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