Quando la incontro siamo in un bar di Milano in zona Gioia, a pochi passi da dove vive. Abbiamo scelto un giorno “buono”, in cui la stanchezza non l’ha ancora sopraffatta del tutto, ma deve comunque centellinare le forze: l’indomani dovrà partire per Roma e deve ancora preparare le valigie. La sua, però, non è una vacanza di piacere. Nella Capitale coltiva la speranza di stare meglio, e per la prima volta viene presa in carico per quello che sta vivendo da più di tre anni a questa parte.
Dopo vari tentativi andati a vuoto in Lombardia – tra cui quello di trovare una struttura che potesse aiutarla per il training neurocognitivo che le hanno consigliato – nel settembre scorso, grazie all’Associazione Italiana Long COVID, si è candidata per partecipare a un percorso sperimentale del Policlinico Gemelli che sta testando l’efficacia di un nuovo farmaco per il Long COVID, riscontrando anche dei buoni risultati.
“Ho fatto un test per sapere se la proteina HERV-W Env fosse all’interno del mio corpo. La presenza o meno mi avrebbe permesso di sperimentare un farmaco clonale che funziona già per la sclerosi multipla”, mi spiega questa donna che nel suo perfetto italiano non nasconde l’origine colombiana.
“Sono risultata positiva e così ho iniziato il percorso, che è fatto di infusioni con il principio attivo di anticorpi monoclonali sintetici: una al mese per sei mesi della durata di due ore e mezzo. Si tratta di una cura molto pesante: subito dopo mi sembra di avere un frullatore nel retro della testa, ho nausea, capogiri, problemi di stabilità, mi dà fastidio la luce, sento molto caldo e fatico a leggere, parlare o scrivere. Inoltre ho reazioni cutanee non indifferenti. E vorrei anche riposarmi, ma devo pensare al prossimo trattamento e a sopravvivere”.
Tuttavia, a distanza di settimane (quando l’ho risentita per sapere come fosse andato il primo trattamento, il prossimo sarà il 21 novembre), mi ha rivelato di essere stata e stare ancora male.