ANMIL, ottant’anni di tutela per un’eternità di incidenti

In occasione degli ottant’anni dell’Associazione Nazionale fra lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, intervistiamo il presidente Zoello Forni: “Il Testo Unico infortuni non è aggiornato dal 1965. I governi parlano di sicurezza solo davanti alle tragedie”

Il presidente ANMIL Zoello Forni

“Oggi il primo pensiero non può che andare alla tragedia di Brandizzo, ai cinque operai deceduti e alle loro famiglie. La perdita delle loro vite è un’ingiustizia che mai potrà essere cancellata. Condividiamo in pieno le parole del Presidente Mattarella quando dice che si tratta di un oltraggio ai valori della convivenza. E nessuno parli di fatalità, perché nessun incidente può essere considerato frutto del caso o della sfortuna, ma frutto soltanto dei comportamenti, degli interessi e della sottovalutazione dei rischi”.

Con queste parole Zoello Forni, presidente dell’Associazione Nazionale fra lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL), ha accolto la visita del Presidente della Repubblica in memoria degli ottant’anni di battaglie per la sicurezza sul lavoro.

Zoello Forni rappresenta l’esperienza in carne e ossa, il vissuto drammatico di un mercato del lavoro anomalo e devastante che negli anni ha continuato imperterrito a seminare feriti e morti, accompagnati con puntualità dalla cinica retorica della politica, dell’imprenditoria e della stampa, che gridavano allo scandalo per qualche giorno per poi tornare a un silenzio assordante sulle cause di una strage eterna.

Quando iniziamo questa conversazione telefonica, prima di parlare dell’attualità gli chiedo se ha voglia di ricordare che cosa avvenne quel giorno del 1952, a Modena, dove l’allora giovanissimo Zoello Forni lavorava in una vetreria. Il racconto viene introdotto da una manciata di silenzi.

“Era un altro mondo, non esistevano centri estivi e le colonie spesso erano irraggiungibili. E non esisteva neppure la prevenzione. Avevo 13 anni. Sì, ha capito bene, 13 anni. Ci mandavano a lavorare in fabbrica per imparare un mestiere e dare una mano alla famiglia. Allora funzionava così. Prima andai in una falegnameria, poi in una vetreria; a quei tempi la sicurezza sul lavoro era affidata alla sola esperienza sul campo. E io a quell’età, come è ovvio, ero inesperto. A causa di una puleggia priva di protezione, una cinghia di trasmissione mi trascinò sotto la macchina con la quale lavoravo e una lastra di vetro mi tranciò una gamba: in ospedale, dove restai 15 mesi, decisero per l’amputazione della gamba dal ginocchio in giù.”

Dal racconto di Zoello Forni si capisce perché durante la nostra conversazione affiora una sensibilità particolare verso quelle famiglie che hanno avuto la disgrazia di avere un morto o un disabile sul lavoro. Lui era uno di loro.

 

 

 

Sono allibito presidente, a 13 anni già al lavoro, un impiego precario e senza sistemi di sicurezza. Uno brutto scenario, o sbaglio?

No, non sbaglia. I sistemi di sicurezza in sostanza non esistevano, non esistevano tutele, e anche le rendite per gli invalidi erano – nel mio caso – al minimo. Fu allora che decisi che qualcuno se ne doveva occupare in modo serio, di questa tragedia.

A proposito della sua lunga esperienza professionale, le posso chiedere come valuta il rapporto con i politici e con le istituzioni sul tema della sicurezza sul lavoro?

Non voglio essere troppo scettico, ma devo constatare che all’inizio i propositi dei partiti e dei governi sono tutti positivi sull’onda di questa o di quella tragedia; poi come per incanto cala il silenzio mediatico fino al prossimo incidente mortale. Lei mi chiede del nuovo governo? Speriamo che metta in pratica gli annunci fatti in materia di sicurezza sul lavoro. Il ministro del Lavoro ha istituito una commissione che dovrà occuparsi di questo. Si parla dell’assunzione di nuovi ispettori. Ce ne sarebbe bisogno, perché c’è una grande mancanza di controlli. Una buona parte degli incidenti è causata dalla loro assenza.

Mi pare che la situazione non sia cambiata; ce lo dicono anche i numeri. È così?

Purtroppo, nonostante il minor numero di ore lavorate, se guardiamo le cifre sull’andamento infortunistico dei primi 9 mesi di quest’anno, gli infortuni in Italia sono stati quasi 370.000, mentre gli incidenti mortali sono stati 947: numeri che fanno molto male perché dimostrano quanto siamo ancora lontani da una prevenzione che, nel mondo del lavoro, dovrebbe essere al primo posto nella scala di valori da difendere. Dietro quei freddi numeri ci sono persone e famiglie che si trovano all’improvviso ad affrontare drammi ingiusti, ma che potrebbero sempre essere evitati. Tenga conto che nelle statistiche non ci sono i lavoratori morti per malattie professionali. E mi risulta che sono tanti.

Se dovesse lanciare un appello al mondo dell’imprenditoria che cosa direbbe?

Agli imprenditori direi che la sicurezza non deve essere considerata un costo, ma un investimento. In edilizia, in agricoltura e nelle piccole imprese si continua a morire a seguito di gravi incidenti. E troppo spesso si scopre che gli investimenti sui sistemi di sicurezza sono risibili, non adeguati ai rischi sempre crescenti. Io sono convinto che per combattere questa piaga ci voglia, tra l’altro, molta formazione, sganciata dalla burocrazia. Per questo abbiamo messo in campo i testimoni.

Chi sono i testimoni?

Sono uomini e donne della nostra associazione che sono stati vittime di incidenti sul lavoro. Che avendo vissuto sulla loro pelle situazioni drammatiche sono in grado di formare nelle scuole e nelle aziende i lavoratori giovani e meno giovani. Questa è una parte importante della nostra attività di formazione. Mi scusi, ma mentre noi parliamo di formazione mi vengono in mente quei ragazzi morti durante il periodo di scuola-lavoro. È una cosa terribile, quei ragazzi dovevano guardare e imparare, non essere messi a rischio senza rigidi sistemi di prevenzione e di sicurezza. È questo che intendo quando parlo di formazione e controlli. La mancanza di prevenzione può uccidere. Sul territorio nazionale la nostra associazione offre agli oltre 300.000 iscritti consulenza e assistenza, senza lasciar solo nessuno anche in questo periodo difficile, ma ci ripromettiamo di ampliare la nostra presenza e la nostra forza rappresentativa sull’intero territorio con nuove sedi e punti di contatto, per arrivare a essere sempre più vicini a vittime e famigliari, anche nella delicata fase del reinserimento al lavoro, e per dare agli invalidi del lavoro nuove opportunità, attraverso la formazione e percorsi lavorativi mirati, affinché la nostra categoria continui a rappresentare una risorsa per il nostro Paese.

Sul piano legislativo qual è la situazione, che cosa chiedete al governo Meloni?

Intanto ci batteremo con sempre maggior impegno per i diritti negati alle vittime di incidenti prodotte ogni giorno da un lavoro spesso fuorilegge, vittime che si traducono in morti e invalidità sempre prevedibili ed evitabili. Tra i principali obiettivi della nostra futura azione c’è innanzitutto la lotta per il completo rinnovo del Testo Unico infortuni, che è del 1965 ed è del tutto da rivedere, in quanto inadeguato all’attuale società: prevede situazioni fortemente inique per vittime e famigliari, pertanto non ci daremo tregua finché la nuova proposta di legge non vedrà la luce.

 

 

 

Photo credits: anmil.it

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