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Ai Magazzini dal Sasso manca il buon senso. E un buon amico.
A distanza di un anno, i titolari dei Magazzini dal Sasso di Asiago, nonostante una multa da 7000 euro tornano ad esporre il cartello discriminatorio
È passato poco più di un anno, maggio 2022, da quando i due proprietari ottuagenari (o giù di lì) dei Magazzini Dal Sasso, negozio storico di Asiago, avevano esposto in vetrina quello stupido cartello fuori dal tempo e dal buon senso: “Cercansi commesse diciottenni libere da impegni familiari. Presentarsi alle ore 17:00”.
Un filotto straordinario di discriminazione di genere, di età, di stato sociale e chi più ne ha più ne metta, che credo a questo punto dipenda solo dall’età dei proprietari e dalla stanchezza procurata da cinquant’anni di mestiere, che dovrebbero suggerire e garantire una vecchiaia migliore che in questo Paese, evidentemente, è sempre più un miraggio per pochi.
Ma se l’aggiornamento culturale in certe aree dell’Italia tarda ad arrivare (siamo ancora in attesa di un contatto dall’azienda Riello, che negli scorsi giorni ha rilasciato dichiarazioni quantomeno “da approfondire meglio”), sembra che ai gestori di certe attività manchino anche gli amici o i parenti che li aiutino a evitare di inciampare negli errori, soprattutto se reiterati.
E così, nonostante una multa di 7.000 euro per violazione dell’articolo 27 del Codice delle pari opportunità inflittagli dall’Ispettorato del Lavoro, che non credo sia stata digeribilissima per un’attività di maglieria ad Asiago, Mario Dal Sasso, titolare dell’omonimo Magazzino di abbigliamento, è tornato ad affiggere sulla vetrina quello stesso cartello, dichiarando al Giornale di Vicenza: “Sono un libero professionista che non dipende da alcun sindacato e che ha il diritto di fare ciò che vuole nella propria azienda”.
Prosegue poi:
“Quel cartello non offende nessuno, non è in alcun modo denigratorio, bensì chiaro nella figura che stiamo cercando di inserire nella nostra attività. Non si comprende questo accanimento nei nostri confronti da parte di alcune sigle sindacali, nei confronti delle quali noi non abbiamo nessun obbligo di esporre le nostre politiche aziendali”.
Dunque, sebbene si possa empatizzare con la difficoltà di due anziani nel portare avanti un’attività, di certo non si può accettare da una parte l’arroganza di chi pensa di poter contravvenire alle leggi, e dall’altra l’ignoranza piuttosto diffusa in certe aree territoriali ed imprenditoriali in cui, come in questo caso, si attribuisce la colpa al sindacato, ai giovani che non hanno voglia di lavorare, al sistema vessatorio anche quando nessuno di questi fattori ci azzecca con dichiarazioni e conseguenze di determinate scelte strategiche aziendali. Se così vogliamo chiamarle.
Come non c’entra nulla che una commessa debba avere 18 anni o debba essere libera da impegni familiari, sebbene per il titolare dell’impresa (molto confuso anche nel dichiararsi “libero professionista”), queste siano considerate “competenze”.
L’articolo 27 del Codice delle pari opportunità vieta “qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione”. È opportuno ricordarlo, per noi e per tutti.
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