Analizziamo più a fondo la disposizione. Innanzitutto si parla solo di lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato, escludendo fin da subito chi ha un contratto a termine e le libere professioniste.
Nel 2023 secondo l’ISTAT il numero di occupati è stato di oltre 23.700.000, di cui circa 18 milioni di dipendenti e 5 milioni di autonomi. Tra i dipendenti, oltre 15.700.000 sono a tempo indeterminato e i restanti sono lavoratori e lavoratrici con contratti a termine. Degli oltre 23 milioni di occupati complessivi, le donne sono circa 10 milioni. Di queste, stando alle ultime rilevazioni dell’INPS relative al 2022, circa 6 milioni, quindi poco più della metà, sono dipendenti. All’interno di questi 6 milioni, sono circa 1.200.000 le lavoratrici impiegate con contratti a tempo determinato.
Provando a tirare le somme, già circa la metà delle lavoratrici è esclusa da questa disposizione solo in base alla tipologia di contratto. Inoltre la maggior parte dei nuovi inserimenti lavorativi delle donne, già a partire dai dati 2021, avviene con contratti a tempo determinato, stagionali o in somministrazione.
Un altro punto di attenzione è rappresentato dal numero di figli: in uno scenario in cui il tasso di fertilità è fermo a 1,25 figli per donna con un’età media al parto di 32 anni, l’agevolazione guarda solo alle donne con tre figli o due (il più piccolo deve inoltre avere un’età inferiore ai dieci anni), ma in quest’ultimo caso solo per il 2024. Che tra l’altro sono quelle con i più bassi tassi di occupazione, in particolare per la fascia d’età 25-34 anni – senza considerare il trend negativo a partire dal 2020 delle dimissioni per motivi famigliari, legate alla difficoltà di conciliazione lavoro-vita privata. Un punto non banale, che sembra non tenere conto dell’evoluzione della società e del mercato occupazionale.
C’è poi da dire che la misura non è cumulabile con il taglio del cuneo fiscale a carico dei lavoratori, a esclusione della tredicesima, nella misura del 6% per redditi fino a 35.000 euro annui e del 7% per quelli sotto i 25.000. Pertanto interessa soprattutto le lavoratrici collocate in una fascia di reddito medio-alta.
La durata del Bonus – transitorio, con solo tre anni, e sperimentale – mette di nuovo l’accento sulla mancanza di interventi strutturali a favore delle donne che lavorano, inseguendo una logica assistenzialistica.