Nel PNRR manca la C di corruzione. Sarà un’altra Tangentopoli?

L’allarme sul rischio che i fondi del PNRR alimentino mafie e corruttela viene da magistratura, ANAC e COPASIR. Quali sono i pericoli che corre il Recovery Fund? Analizziamo il precedente del Piano Marshall e le differenze con la Prima Repubblica.

L’allarme corruzione in previsione dell’attuazione del PNRR è stato lanciato da più parti. E sono tutte voci più che autorevoli: dalla magistratura al Governo, dalle associazioni imprenditoriali all’Autorità Nazionale Anticorruzione presieduta da Giuseppe Busia.

La questione differisce da Tangentopoli, dove la corruzione negli anni Novanta emerse silenziosamente all’ombra delle ultime stagioni della Prima Repubblica e poi esplose in modo fragoroso dopo l’arresto di Mario Chiesa nel febbraio del 1992, svelando tuttavia un sistema di potere e un patto occulto tra i partiti e un gruppo di imprese consociate tra loro per garantirsi commesse e appalti. In questo caso, invece, non potremo dire di essere stati presi di sorpresa se si verificheranno casi di corruzione in fase di ricostruzione post pandemia e post bellica con i quattrini presi a prestito dall’Europa.

Corruzione, se anche le mafie aspettano il PNRR

Il primo a lanciare l’allarme è stato il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. Sull’argomento il magistrato, che conosce bene la criminalità organizzata e le sue strategie, è stato lapidario: “La ‘ndrangheta punta ai fondi del PNRR”.

Nicola Gratteri, in forte polemica tra l’altro con la riforma Cartabia, spiega i mutamenti della criminalità organizzata: “Le mafie non uccidono più, non rubano le macchine e non sparano alle serrande dei negozi. Lo fanno solo quando è assolutamente necessario perché hanno la possibilità di corrompere. Oggi un funzionario o un impiegato, facilmente per duemila euro, mette la firma dove non dovrebbe metterla”.

Da un altro osservatorio, il direttore dello SVIMEZ Luca Bianchi, a seguito di un’analisi fatta dall’istituto che presiede, ha messo nero su bianco le aree nelle quali la corruzione potrebbe attecchire grazie al fatto che la mafia imprenditrice, come la definiva Pino Arlacchi nel suo libro Dalla Calabria al centro dell’inferno, sta investendo ingenti capitali in aree economiche e produttive. Aree che vanno “dall’eolico, all’offerta di servizi, alla fornitura di dispositivi medici e farmaceutici, dal ciclo dei rifiuti, all’intermediazione immobiliare e finanziaria, oltre a quelli tradizionali, quali la ristorazione, il commercio, la logistica, l’edilizia, i servizi funebri, i trasporti, le scommesse”.

Il comitato parlamentare per la sicurezza (COPASIR) aggiunge alla lista delle aree a rischio corruzione e malaffare anche il settore dei rifiuti e le criptovalute, ultima frontiera del riciclaggio di denaro sporco.

Dal Piano Marshall a Tangentopoli: storia della corruzione nella Repubblica

In Europa abbiamo un precedente storico di denaro a pioggia finito nei meandri delle istituzioni e nei cunicoli delle mafie del tempo: il Piano Marshall, stanziato dagli Stati Uniti nel 1947 e annunciato all’Università di Harvard dal segretario di Stato George Marshall. Non vogliamo dire che il piano Marshall fosse la fonte della corruzione, come sostenevano alcuni economisti statunitensi. Gli analisti che hanno studiato gli effetti del piano Marshall hanno concluso che quel Recovery Fund a stelle e a strisce fu determinante per la ricostruzione economica e finanziaria dell’Italia.

D’altronde gli aiuti del Piano Marshall non furono in alcun modo un “assegno in bianco” per i governi europei. Gli Stati Uniti erano determinati a finanziare aree essenziali di sviluppo ed evitare la corruzione o la “scrematura”. Anche perché il Piano Marshall serviva sì all’Europa, ma serviva anche a loro per creare un enorme bacino di consumo senza il quale anche la ricostruzione statunitense sarebbe stata compromessa. Non a caso l’amministrazione americana stabilì condizioni rigorose sui finanziamenti del Piano Marshall, riservandosi il diritto di cessare questo finanziamento se le nazioni beneficiarie non avessero seguito determinate direttive.

Malgrado ciò la corruzione si insinuò in modo subdolo, ad esempio attraverso la Cassa del Mezzogiorno e gli stretti legami tra la DC e le clientele del Sud Italia, così da consentire al nostro Paese di raggiungere un primato piuttosto indecoroso in materia di corruzione in un crescendo di strapotere dei partiti della Prima Repubblica.

Ma attorno agli anni Ottanta ci fu una svolta: la corruzione non era più solo prerogativa della criminalità organizzata, ma si estese alla società politica, civile e imprenditoriale in modo sistematico. Una mistura che portò alla nascita di Tangentopoli, il più grande evento di corruzione del dopoguerra, che fece saltare per aria la Prima Repubblica in pochi mesi.

Perché il PNRR non darà origine a Tangentopoli 2

Il quesito non è retorico: con la pioggia di denaro che ci sta arrivando dall’Europa con il PNRR, ci dobbiamo aspettare una nuova Tangentopoli?

La corruzione oggi non è più un sistema per finanziare quasi sistematicamente la politica, si è dispersa in mille rivoli. Ma esiste, è più nascosta, e quindi più pericolosa soprattutto in questa fase di grandi investimenti pubblici per il PNRR”, dice in un’intervista all’ANSA il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Giuseppe Busia. “Raramente abbiamo la maxitangente che vedevamo raffigurata in Tangentopoli. Ci sono invece fenomeni di finte consulenze e contratti paralleli, che sono le nuove modalità della corruzione. Un terreno scivoloso in cui spesso il privato corrompe il pubblico ufficiale, e insieme danno vita a un patto criminoso. In cambio il funzionario pubblico ottiene consulenze, agevolazioni per sé o i propri famigliari, incarichi, passaggi dal pubblico al privato con ingenti compensi”.

A questa tesi, peraltro fondata, vanno aggiunte alcune riflessioni per cogliere le differenze storiche e politiche tra gli anni Novanta e oggi. In primo luogo Tangentopoli nacque in un momento particolare della storia d’Italia e dell’Europa. Tre anni prima era caduto il muro di Berlino, e da quel momento l’Italia e la Democrazia Cristiana non furono più i baluardi dell’anticomunismo in Europa per conto degli Stati Uniti. Con la caduta del muro di Berlino finì la protezione dell’amministrazione americana verso l’Italia e verso la DC, e il fiume carsico della corruzione che era rimasto sottotraccia per decenni straripò travolgendo partiti e imprenditori collusi.

L’altro aspetto che forse ci consente di essere più ottimisti è che allora si trattò di un coinvolgimento di sistema e non di casi singoli. In Tangentopoli furono coinvolti i più grandi gruppi industriali pubblici e privati, dalla FIAT all’ENI, dalla Montedison al gruppo Berlusconi, fino alle principali società di costruzioni, collusi con il sistema partitico in uno scambio tra finanziamento dei partiti e appalti privilegiati. Tra concussori e corruttori c’era un patto stretto. Dentro i partiti c’era il collettore di tangenti, e nelle imprese più grandi che partecipavano all’abbuffata c’era chi pagava tutti i partiti indipendentemente dai singoli appalti. Un sistema occulto che ha fatto lievitare la spesa pubblica in modo impressionante e ha distrutto per anni la libera concorrenza tra le imprese, perché quelle imprese che non erano dentro il cerchio magico di Tangentopoli restavano ai margini del mercato.

Corruzione, il rimedio esiste. Ma passa per la politica

Oggi, dobbiamo darne atto all’inchiesta di Mani Pulite, quel sistema è stato frantumato da una magistratura che fino agli anni Novanta era invece succube dei partiti. Questo non significa che la corruzione non esista più. Anzi. Come sostiene il presidente di ANAC ha cambiato volto, le mazzette sono diventate consulenze milionarie o quote societarie attraverso un passaggio “legale” di tipo azionario. In sede locale la corruzione è ancora la leva.

L’inchiesta romana denominata Mafia Capitale è l’esempio più lampante della collusione tra amministratori pubblici e società semi-occulte che operano sul territorio: il cosiddetto “mondo di mezzo”. Si può dire che le autorità politiche e istituzionali non hanno più alibi nella lotta alla corruzione: i mezzi per combatterla ci sono, dalle banche dati agli incroci bancari, fino al controllo di tutta la catena delle imprese che partecipano agli appalti pubblici, e non soltanto dell’impresa appaltante. Tutto ciò può funzionare se c’è la volontà politica.

Malgrado sia stato proprio Draghi a denunciare il pericolo di corruzione nell’attuazione del PNRR, le recenti reticenze del suo governo alla riforma della legge anticorruzione del 2012 non sono un buon segno in vista dell’eliminazione questa piaga secolare.

Leggi gli altri articoli a tema PNRR.

Leggi il mensile 110, “Di tutte le Russie“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.


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Photo credits: stampa.unibocconi.it

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