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Più turismo, meno razzismo
Marketing: è tutta questione di marketing. Anche il razzismo. Il settore turistico in Italia misura 147 miliardi di euro, che contribuiscono per il 9,4% alla formazione del PIL, con un impiego di circa 2,5 milioni di persone, pari al 10,9% dell’occupazione nazionale (stime del World Travel and Tourism Council). In questo settore, dove chi scrive […]
Marketing: è tutta questione di marketing. Anche il razzismo.
Il settore turistico in Italia misura 147 miliardi di euro, che contribuiscono per il 9,4% alla formazione del PIL, con un impiego di circa 2,5 milioni di persone, pari al 10,9% dell’occupazione nazionale (stime del World Travel and Tourism Council). In questo settore, dove chi scrive contribuisce ogni tanto con una goccia della sua poca saggezza, non esiste razzismo. Tra i banconi delle reception dove migliaia di americani, russi, cinesi, tedeschi e indiani ogni giorno chiedono della camera che hanno prenotato, tra i tavoli dei ristoranti, tra gli uffici dell’accoglienza turistica, non esiste razzismo. Ma cominciamo dal principio.
Clienti e processi del settore turistico
In principio c’è un bisogno. Rispetto a quel singolo bisogno vi sono una serie di risposte possibili, che in un sistema economico come il nostro si diversificano tra di loro per un determinato numero di caratteristiche: il prodotto, il prezzo, la promozione e la distribuzione.
Nel sistema turistico, cioè un sistema strutturato che risponde al bisogno di passare temporaneamente del tempo al di fuori dall’ambiente in cui si vive, le cose si fanno più complicate. Oltre a quelle quattro caratteristiche, le risposte alla soddisfazione di quel determinato bisogno si arricchiscono di altre due peculiarità. E non sono peculiarità da poco: sono costituite dalle stesse persone per cui il servizio/prodotto è stato realizzato e dal processo produttivo di cui fanno parte.
In buona sostanza nel sistema turistico, così come in qualsiasi sistema del terziario, le persone e i processi fanno parte dei servizi stessi. Ancor più semplicemente: cambiando i clienti o i processi, i risultati non rimangono invariati.
Il turismo, un servizio complesso
Questa particolarità ci porta direttamente al secondo problema che ci si trova ad affrontare quando si decide di erogare servizi complessi come quelli turistici. Non sono la deperibilità o l’impossibilità di immagazzinarli a renderli complessi, bensì la difficoltà di analisi. Dato che qualsiasi processo di business inizia e finisce sempre con un’analisi, si capisce bene quanto sia importante questo aspetto.
La difficoltà di analisi del fenomeno turistico è dovuta ad una serie di problematiche che affliggono il Bel Paese, come ad esempio la lentezza nella raccolta dati o l’estrema eterogeneità (e sono gentile) degli stessi. Ma oggi non voglio parlarvi di questo genere di analisi, anche perché da questo punto di vista ci vengono in aiuto, e lo faranno sempre più spesso, tecnologie e dati sempre più precisi e immediati. No: l’analisi di cui voglio parlarvi, che è in assoluto la più complessa, è quella che ogni operatore turistico fa tutti i santi giorni.
Camerieri, receptionist, cameriere ai piani, facchini e guide turistiche ogni giorno ascoltano i loro clienti. Li ascoltano e offrono loro soluzioni, dispensano consigli, risolvono problemi. Di fatto ognuno di questi professionisti effettua complicatissime analisi più volte al giorno per innescare un processo di business che porta alla soddisfazione di uno specifico bisogno del cliente. Nulla di più facile, direte voi. E invece non c’è nulla di più difficile.
Difficile perché l’ascolto di un turista che viene da un paese differente del nostro, da un modello linguistico diverso, da abitudini inconsuete rispetto alle nostre, è difficile. No, non è sufficiente sapere le lingue. Non stiamo parlando della capacità di comprendere il significato “digitale” di una domanda. Bisogna capirne il significato “analogico”; occorre capirlo nella sua infinita possibilità di misurazioni.
Per “capire” l’altro, quello strano – quello che fa domande assurde – si deve obbligatoriamente lavorare sulle cornici e sui legami. La cornice dell’altro diventa il contesto entro cui l’operatore turistico che voglia dispensare aiuto deve inserirsi. Deve quindi reincorniciare la propria realtà per incontrare quella dell’altro e, all’interno di questa, creare dei legami.
Dall’ascolto alla relazione
Cornici e legami portano alle relazioni.
La capacità di “reincorniciare” il proprio mondo per incontrare l’altro si concretizza nel momento in cui l’ascolto, da passivo, diventa attivo. Non si ascolta più solo ed esclusivamente con l’udito, ma anche con la vista e le emozioni, sospendendo il giudizio e assumendo che l’altro abbia ragione. Tutto ciò ci permette di ricostruire la nostra cornice e di creare legami.
In tutto questo processo non si può pretendere che l’ascoltatore abbia il pieno controllo sulla situazione, perché sta camminando in un territorio inesplorato. Il territorio dell’altro. Per questo risulta fondamentale la formazione dell’operatore turistico, intesa come l’insieme delle leggi e delle norme entro cui può esprimersi. Solo in questo modo si potrà indirizzare l’altro verso soluzioni effettivamente applicabili. All’interno dell’insieme di leggi e norme (che diamo per rigido) entro cui si muove l’operatore turistico, vi è un’altra barriera: la coerenza strategica.
La coerenza strategica di un ente che offre servizi turistici dipende dall’insieme dei valori su cui poggia questo ente, dalla sua capacità produttiva, dalle inclinazioni delle sue risorse umane, dalla sua “vision”. La resilienza, cioè la capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento, è perennemente in attrito con il concetto di coerenza strategica. Quanto più il sistema ha la capacità e la volontà di studiare l’insieme degli “ascolti”, tanto più avrà la possibilità di adattarsi al cambiamento portando ai limiti estremi la sua coerenza strategica.
Un antidoto contro il razzismo
Si capisce quindi che l’insieme degli “ascolti attivi”, che gli operatori compiono più volte al giorno, non può rimanere relegato alle singole risoluzioni di problemi, ai singoli capricci dei turisti. Queste relazioni (basate su cornici e legami) devono diventare per ogni ente che gestisce il fenomeno turistico – dagli alberghi ai punti di informazione turistica, dai ristoranti ai musei – dei fari puntati su quello che si aspettano i turisti da loro. L’immenso valore espresso dalle risorse umane sul campo deve essere impiegato, analizzato, sfruttato.
Ecco perché nel settore turistico non esiste il razzismo. Non esiste razzismo se nel settore turistico si parte dai bisogni dei clienti e non dal prodotto, dal prezzo o dalla concorrenza. Non esiste razzismo se nel settore turistico l’operatore ascolta con la vista, le emozioni e l’assunzione di ragione, e non solo con l’udito. Non esiste razzismo se nel settore turistico chi prende decisioni lo fa con la consapevolezza di dover rispondere al mercato, portando al limite estremo la coerenza strategica della struttura che dirige.
Perché in fondo che cos’è il razzismo se non l’incapacità di ascoltare l’altro?
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