Repubblica, perché la redazione in rivolta non fa notizia?

In un duro comunicato del comitato di redazione, i giornalisti del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si scagliano contro la proprietà: “Editore incomprensibile, senza un progetto. Nel 2024 sarà dura battaglia”. E fonti interne ammettono che “da quando ci sono i piemontesi il clima è cambiato”

09.01.2024
La redazione di Repubblica non ci sta e lancia un comunicato contro la proprietà: nell'immagine, pagine di giornale accartocciate

A parte il Fatto Quotidiano, i giornali hanno ignorato o al massimo ripreso con timidezza il grido di dolore sul futuro di Repubblica lanciato da cinque componenti del Comitato di Redazione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari nel 1976. Eppure nell’email inviata ai 350 dipendenti del gruppo, in concomitanza con i cinque giorni di sciopero deliberati a maggioranza dall’assemblea dei giornalisti, i giudizi sono pesanti e non riguardano soltanto le rivendicazioni salariali, ma il futuro del quotidiano finito nelle mani del gruppo GEDI, a sua volta controllato da Exor (holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia Agnelli).

Il silenzio della stampa forse è dovuto a un patto non scritto ma un po’ corporativo che da decenni circola nei giornali: non si parla male degli altri giornali. Ci sembra invece che sia utile parlarne, perché quello che accade a Repubblica è emblematico. Se si guardano gli ultimi dati Ads, scorporati da quelli ambigui della diffusione, si scopre che tutti i quotidiani cartacei sono in perdita e in alcuni casi affondano; ciò significa che tutti i giornali dipendono sempre di più dalla pubblicità, l’altro canale di entrate oltre alle edicole. Questo fa sì che l’autonomia dei giornali va a farsi benedire.

Il CDR di Repubblica contro la proprietà: “Il progetto dell’editore è per noi incomprensibile”

L’email del CDR ripercorre proprio questo tunnel, sempre più oscuro.

“L’anno che si chiude è stato sofferto e difficile, assai deludente per tutti noi. Il nostro giornale continua a perdere copie, abbonamenti e non riesce a trovare una strada nel digitale. E questo, a nostro avviso, per la mancanza di una chiara strategia di investimenti, marketing, obiettivi, collocazione nel panorama editoriale. Nonostante gli sforzi titanici di tutti noi. La difesa dell’identità di Repubblica (che sembra importare solo a noi giornaliste e giornalisti che amiamo questo quotidiano e il lavoro che facciamo) ci ha impegnato in un anno che ha segnato la per noi traumatica disgregazione di quello che era il più importante gruppo editoriale del nostro Paese, smembrato e dismesso da un editore il cui progetto resta per noi incomprensibile, oltre che frutto di preoccupazione”.

Il giudizio dei giornalisti di Repubblica non riguarda solo le strategie del gruppo, ma tocca i nervi scoperti del lavoro: “Come sappiamo nel futuro prossimo ci sono ancora tagli, riduzione del perimetro giornalistico, mortificazione di competenze e professionalità”. Si legge ancora: “Il 2024 si preannuncia un anno di dura battaglia a difesa del nostro posto di lavoro, del nostro nome, della nostra professionalità. Dovremo affrontarla tutte e tutti insieme, perché da questa caduta rovinosa non si salva nessuno”.

Ed ecco il passo più impietoso. “Vedere Repubblica che viene abbandonata come una nave che affonda è motivo di particolare amarezza in questi mesi. Ma dobbiamo pensare a noi che restiamo e al futuro del giornale, certi che solo l’unione in questo frangente può fare la forza”.

“Da quando ci sono i piemontesi il clima è cambiato”

“Purtroppo non è soltanto un tema di carattere sindacale”, mi dice un giornalista che lavora a Repubblica da decenni e che preferisce l’anonimato per la sua posizione nella macchina del quotidiano.

“Da quando il giornale è passato nelle mani dei piemontesi il clima è cambiato, abbiamo perso firme importanti e soprattutto questi non si capisce che cosa ne vogliono fare del quotidiano. E ti confesso che la cosa mi spaventa un po’, hanno venduto tutto, dai quotidiani locali al glorioso Espresso. E la Repubblica? E poi parliamoci chiaro: qui è in gioco l’identità del giornale”.

CONDIVIDI

Leggi anche