Le navi cariche di armi e carburanti dirette in Israele contro le imbarcazioni civili della Global Sumud Flotilla, piene di aiuti umanitari destinati a Gaza: non flotte coinvolte in uno scontro diretto, ma rotte parallele che, sulla mappa della coscienza collettiva, tracciano i contorni della guerra e della solidarietà.
Già prima dell’arresto della Flotilla, i portuali italiani avevano dichiarato la disponibilità a bloccare i porti in caso di attacco alla spedizione umanitaria. Non erano parole dette per caso, perché le proteste più recenti, nei giorni scorsi, indicano che le rappresaglie sui moli (e non solo) sono destinate a inasprirsi. Quello che succede nei porti italiani non è folklore sindacale, e non si tratta di episodi locali. È il riflesso di un Paese in cui le coscienze non sono allineate con i palazzi.
A Genova, Livorno e Taranto si è palesato un fatto che la politica preferirebbe non vedere: il lavoro, quando si organizza, può ancora essere più potente delle cancellerie. Specie se l’Italia, oggi, si riconosce più nei portuali che nei ministri.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Sottoscrivi SenzaFiltro