Marco Camisani Calzolari: “Per INVALSI gli studenti migliorano nel digitale? Hanno standard troppo bassi”

Il docente universitario e divulgatore scientifico di Striscia la Notizia, intervistato da SenzaFiltro, commenta i dati emersi dall’indagine ICILS 2023: “Il livello massimo di conoscenza previsto dalla ricerca oggi dovrebbe essere un livello base. L’uso del computer dovrebbe essere promosso fin dalle elementari”

15.11.2024
Studenti mentre svolgono la prova INVALSI. Marco Camisani Calzolari: "Test troppo semplici"

Adolescenti attaccati agli schermi ne vediamo sempre di più, e per un tempo sempre più lungo. Che siano smartphone, tablet o computer poco importa, sono sempre connessi. Qualche mese fa lo psichiatra Federico Tonioni mi aveva spiegato che essere iperconnessi è un loro diritto, l’importante è che questa connessione costante non si trasformi in una dipendenza, che porta poi all’isolamento sociale. Ha anche aggiunto che “i dispositivi sono tossici solo nel momento in cui sostituiscono ai genitori, ma se (anche nei più piccoli) diventano uno strumento di condivisione non c’è da preoccuparsi troppo, anzi sono un strumento di crescita condivisa”.

Ma ora la domanda che ci poniamo è un’altra: di fronte a questa iperconnessione, a questo utilizzo continuo dei dispositivi elettronici, quanto davvero i ragazzi conoscono la tecnologia che stringono tra le mani? Sono in grado di distinguere i programmi e archiviare le informazioni? Sanno aprire file, salvare e incollare testi? Quando utilizzano internet sanno filtrare le informazioni utili, e soprattutto quelle affidabili?

ICILS 2023, migliorano le competenze digitali degli studenti (e soprattutto delle studentesse) in Italia

Il 12 novembre INVALSI ha presentato i risultati italiani dell’indagine internazionale ICILS 2023 (International Computer and Information Literacy Study), promossa dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) e rivolta agli studenti dell’ottavo anno di scolarità (circa 13-14 anni, la terza media, per intenderci).

Lo studio misura le differenze internazionali rispetto alle competenze digitali e i ragazzi italiani questa volta possono dire la loro, soprattutto visto che le loro competenze sono migliorate rispetto all’ultima indagine, che risale al 2018. Alla rilevazione hanno partecipato 34 Paesi, 130.000 studenti e studentesse dell’ottavo anno scolastico e 60.000 insegnanti. In Italia hanno partecipato 3.400 studenti e studentesse e circa 2.200 insegnanti. Hanno partecipato anche i docenti perché l’indagine ha cercato di fotografare tutto il contesto in cui i ragazzi si muovono, compresa la situazione familiare e geografica.

Lo studio non valuta solo le abilità tecniche, ma anche la capacità critica dei ragazzi come consumatori e produttori di informazioni (CIL) e la capacità di pensiero computazionale (CT), ovvero il processo necessario per capire come i computer possono aiutare a risolvere i problemi. Per valutare il CIL (cioè l’abilità di usare il computer per fare ricerche, creare e comunicare al fine di partecipare in maniera efficace a casa, a scuola, nel luogo di lavoro e nella società) sono stati individuati diversi livelli, di cui il quarto è quello più alto.

Dal 2018 al 2023 soltanto in due Paesi il CIL è aumentato, e uno di questi è proprio l’Italia, che segna una crescita di 30 punti. Durante la presentazione è emerso un dato piuttosto ovvio: gli studenti provenienti da contesti socioeconomici privilegiati (misurati in base all’istruzione dei genitori e al numero di libri in casa) hanno ottenuto punteggi più alti in tutti i Paesi.

Ma il dato meno ovvio è emerso subito dopo: in media le studentesse hanno ottenuto risultati migliori degli studenti (e questo non succede solo in Italia, ma in 28 Paesi). Ho chiesto chiarimenti, perché spesso nelle prove INVALSI le ragazze ottengono punteggi più bassi dei ragazzi, soprattutto nelle materie scientifiche e volevo ulteriori spiegazioni rispetto a questo dato; mi ha risposto Roberto Ricci, il presidente INVALSI, dando una chiave di lettura che stimola diverse riflessioni: “Probabilmente le ragazze si interrogano di più sui rischi della rete, sono più riflessive, e questo loro atteggiamento dimostra che in queste competenze non incide soltanto il fattore tecnico, ma anche quello umano”.

Marco Camisani Calzolari: “Miglioramenti? Bene, ma l’asticella è ancora bassa”

Tra tasti e modem, tuttavia, non tutto luccica. In Italia i ragazzi che non raggiungono il livello 2 nelle competenze digitali sono ancora tanti e purtroppo dobbiamo ancora segnalare le solite differenze tra Nord e Sud: se il punteggio medio nazionale è 491, gli studenti del Nord Ovest, del Nord Est e del Centro hanno risultati superiori (rispettivamente 511, 503 e 502), mentre i loro coetanei del Sud e del Sud e Isole ottengono 476 e 440. Ma questi dati vanno considerati in un contesto dove le tecnologie sono sempre più presenti e il loro continuo e rapido sviluppo sta trasformando anche gli ambienti di apprendimento; se non tutte le scuole, di certo molte case.

C’è da capire come aiutare le scuole, ma anche i genitori a sostenere i ragazzi in questo cammino digitale: a Marco Camisani Calzolari – docente universitario, divulgatore scientifico e volto noto di Striscia la Notizia – abbiamo chiesto quali sono i passi giusti da fare.

Marco Camisani Calzolari
Marco Camisani Calzolari, docente e divulgatore scientifico per Striscia la Notizia

 

Marco, quanto è soddisfatto di questo miglioramento?

Dal mio punto di vista, dopo anni di divulgazione e di lavoro sul tema del digitale, avere un risultato positivo è un bel segnale, ma è positivo fino a un certo punto perché i livelli di giudizio delle prove tengono comunque l’asticella un po’ bassa. Ad esempio, il livello 4 di conoscenza, che è oggi è il massimo, considerando il periodo in cui viviamo dovrebbe essere individuato quasi come un livello base.

Quindi i ragazzi sono stati valutati con delle aspettative un po’ basse?

In passato questi livelli avevano un senso, oggi bisogna aumentare le aspettative. Va bene che sappiano utilizzare le informazioni più rilevanti che trovano in rete, ma per classificarsi come livello 4 dovrebbero anche risolvere problemi tecnici, saper configurare nuove caselle di posta e utilizzarle quotidianamente. Gli inglesi, ad esempio, già alle elementari hanno in dotazione un computer, ricevono i compiti via mail e utilizzano tutti i giorni la posta elettronica. L’uso del computer dovrebbe essere promosso fin dalle elementari, perché oggi ha la stessa importanza del saper leggere e scrivere. Se un bambino delle elementari utilizza la mail in Italia viene considerato un genio, ma quel bambino quando sarà grande la mail la utilizzerà tutti i giorni (anche solo per lavoro). Alle lettere dell’alfabeto e alle tabelline andrebbe affiancato l’utilizzo della tastiera, perché il mondo va in quella direzione.

Vorremmo adolescenti ipertecnologici quando siamo ancora convinti che consegnare i dispositivi elettronici ai bambini sia il male.

Perché non sappiamo darli con le giuste protezioni. Consideriamo lo smartphone un dispositivo che serve a poco, o comunque a fare cose stupide, perché nella maggior parte dei casi viene utilizzato per perdersi nelle bolle dei social network. Ma nello smartphone c’è una tastiera che può essere utilizzata, soprattutto se non si ha un computer a casa. Non voglio essere frainteso: è evidente il fatto che il cellulare in classe è un male, perché l’insegnante non può avere il controllo di quello che fanno gli studenti, ma non bisogna neanche pensare che il telefono – quindi lo strumento – sia responsabile di quello che ci si fa sopra. Nell’ABC che si insegna ai bambini deve rientrare anche l’utilizzo della tastiera. Insegnare a scrivere con la penna è fondamentale, ma non deve essere l’unico modo.

È che la penna sembra molto meno pericolosa dello smartphone.

Vero, ma ti faccio un esempio pratico: se tuo figlio o tua figlia con la penna ha imbrattato i muri o il banco, tu che cosa fai, non gli dai più la penna? La soluzione è insegnare al bambino a non imbrattare i muri, non togliergli lo strumento dalle mani. Lo stesso ragionamento va fatto con lo smartphone. Se lo studente delle medie o delle superiori fa i compiti con ChatGPT, la colpa non è dello strumento.

Tendiamo a demonizzare gli strumenti perché non siamo capaci di insegnare ai nostri ragazzi come usarli?

Questa non è una colpa, perché non è scontato che un genitore sappia utilizzare gli strumenti nel modo giusto. Però ci sono i mezzi di comunicazione, i giornalisti responsabili, e in teoria dovrebbero intervenire anche le istituzioni.

A proposito di scuola, prima citava ChatGPT. Quanto è pronta la scuola al fatto che gli studenti usino l’IA per fare i compiti?

Non è pronta, perchè non sta tenendo conto dei cambiamenti in corso. Del resto, poi gli studenti sanno usare ChatGPT, ma magari non hanno idea di che cosa sia un server.

Sappiamo che la scuola spesso ha tempi biblici di adeguamento, e ancora più spesso non ha i mezzi per aggiornarsi. Ma non posso pensare che non ci siano escamotage che gli insegnanti, i genitori e i ragazzi possano usare.

Se la scuola non si aggiorna, se le ore di informatica non bastano, l’aiuto deve arrivare dall’esterno. In attesa di un cambiamento strutturale si possono aumentare i supporti esterni, si possono produrre video da distribuire nelle scuole, con i test di verifica da fare direttamente su video. Se non ci sono i mezzi per formare gli insegnanti o per mandare dei divulgatori scientifici all’interno di tutte le scuole, i video avrebbero la loro utilità e viaggerebbero velocemente. Ma questa non deve essere un’attività facoltativa: dovrebbe essere obbligatoria come la matematica, perché il futuro è lì.

 

 

 

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Photo credits: invalsiopen.it

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