Educatori in sciopero, ora le coop li inseguono: critiche ai fondi bellici e al nuovo regolamento

Proteste trasversali nella categoria di educatori e educatrici scolastici. “Basta investimenti nella guerra: spendiamo per il welfare”, sostiene l’educatore e delegato sindacale SGB Francesco Princigalli. L’ex educatrice Paola Di Michele: “Il nuovo regolamento è una beffa: non decidano i genitori se e quando sostituirci”.

Il boato di un grande “no” per ridare vita a tanti “sì”. È un connubio di protesta e allo stesso tempo di richieste quello che ha fatto da collante per lo sciopero generale nazionale contro la guerra del 20 maggio scorso a Bologna e in altre città italiane.

Tra i vari settori lavorativi che hanno fatto sentire la propria voce per traghettare le istanze più urgenti c’era anche quello degli educatori e delle educatrici. Reduce da due anni complessi, con situazioni di deriva dal punto di vista economico, del riconoscimento dei diritti e della valorizzazione della professione, l’ambito degli educatori è sempre più eroso e sfaldato.

Pochi mesi fa su SenzaFiltro abbiamo raccontato il fenomeno di fuga di numerosi lavoratori e lavoratrici dalla categoria, con la grave perdita di preziose risorse umane per il settore. Ciò che abbiamo paventato è poi successo: la situazione si è infatti ribaltata, con le cooperative che inseguono gli educatori, ma in questo caso poco è servita la litania del “personale che non si trova perché non ha voglia di lavorare” viste le condizioni risapute di queste figure professionali.

A perderci più di tutti però sono i destinatari del servizio: bambini, giovani, adulti con disabilità attorniati da un sistema che investe in tutt’altro. Ci siamo confrontati con chi vive da tempo queste dinamiche, dichiarate in modo esplicito in occasione dello sciopero.

Lo sciopero degli educatori “putiniani”: “Noi contro gli investimenti bellici e l’invio di armi. Perché non si investe nel welfare?”

Protagonista della nostra intervista è Francesco Princigalli, educatore da quasi vent’anni, una profonda passione per il proprio lavoro e uno sguardo disincantato sul settore di appartenenza, è anche delegato sindacale di SGB, una delle numerose sigle che ha sostenuto lo sciopero “Contro la guerra, contro l’economia di guerra, contro il governo della guerra”. Tanti “no” che si traducono a loro volta in “sì” per sostenere situazioni che necessitano di risorse, attenzione, tutela.

Noi diciamo ‘no’ agli investimenti bellici perché crediamo che quei soldi vadano indirizzati al sociale, alla scuola, alla sanità pubblica, ai trasporti e in generale al welfare. È importante che il Governo sostenga nel concreto i cittadini in questa fase molto complicata, per alcuni ancora di più”. E sottolinea: “Per tanti lavoratori le retribuzioni sono ferme al 2019 mentre devono affrontare il carovita con l’aumento di spese per bollette, cibo e non solo: con questa situazione di stipendi fermi e prezzi schizzati come si può affrontare la quotidianità in modo dignitoso? Si tratta di una difficoltà generale e la sinergia tra tante sigle sindacali è significativa: sul tema siamo tutti d’accordo. Lo sciopero è un’occasione per accendere i riflettori su questioni essenziali che meritano interventi concreti”.

Il no protagonista dello sciopero implica la richiesta dell’immediato cessate il fuoco e dell’altrettanto immediato stop di invio di armi all’Ucraina, oltre al taglio delle spese militari, affinché le risorse vengano trasferite agli ambiti menzionati. C’è però chi, non condividendo queste istanze, si è arroccato solo sui no senza vedere le richieste: “Ne siamo consapevoli”, sottolinea Princigalli in risposta. “Ci siamo persino presi dei detrattori, o addirittura dei putiniani, ed è assurdo: noi siamo dei pacifisti, e il nostro no alla guerra è un sì alla pace. Riteniamo inoltre urgente affrontare i problemi che riguardano diversi ambiti del Paese e la tutela dei diritti delle persone”.

Le richieste degli educatori scioperanti

Tra le richieste, impresse non solo su cartelli e striscioni, ma fatte emergere come vere istanze, anche il congelamento dei prezzi dei beni di prima necessità, tra cui pane e pasta, oltre alle tariffe di luce, acqua e gas. E ancora: la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e un nuovo blocco dei licenziamenti per contenere le prossime ondate di disoccupazione, oltre a un reddito sociale dignitoso per tutti i disoccupati.

Situazioni che toccano da vicino il comparto educatori/educatrici, già eroso da problematiche annose e penalizzato dopo due anni di pandemia, i quali si trovano a vivere quella che metaforicamente potremmo definire un’altra “maledetta primavera” di diritti messi all’angolo cui si aggiunge la stagflazione.

“Chiediamo anche l’introduzione della scala mobile, ossia l’adeguamento automatico dei salari all’aumento dei prezzi”, evidenzia Princigalli. “Il termine ‘scala mobile’ mi rendo conto che spaventi ma in fondo questa è la difficile realtà alla quale ci troviamo di fronte.”

Chiediamo al nostro intervistato quali reazioni abbia colto da parte di coloro che non condividono questa protesta. “Sicuramente il disagio. C’è chi si sta accorgendo che tanti nodi prima non considerati stanno venendo al pettine”. Prossimi passi? “La lotta non finisce di certo qui”, chiosa convinto. “Cerchiamo di capire come proseguire, la partecipazione è alta e ci sono difficoltà che chiedono risposte tempestive”.

La manifestazione romana che critica il nuovo regolamento per gli educatori

Facciamo un ulteriore punto della situazione per il settore educatori sul territorio di Roma, dove il 28 aprile, il 9 e 10 maggio è stato indetto uno sciopero dai sindacati CUB e USB. Protagonisti sono in questo caso i lavoratori e le lavoratrici OEPAC (Operatore Educativo Per l’Autonomia e la Comunicazione). Di fatto sono figure educative che lavorano a scuola per promuovere l’inclusione di bambini e adolescenti con disabilità. Allo sciopero è stata aggiunta una manifestazione in Campidoglio nelle giornate del 28 aprile e del 10 maggio per evidenziare a gran voce la deriva della situazione.

“Recentemente è stato approvato un nuovo regolamento per il nostro servizio scolastico che doveva apportare dei miglioramenti, e che invece si è rivelato una totale presa in giro”, chiosa Paola Di Michele, che gestisce la pagina social informativa “Assistente educativo culturale”. Ex educatrice con numerosi anni di esperienza alle spalle e una formazione corposa, tra cui una laurea e due master, ora lavora come insegnante di sostegno “perché la precedente professione non era più sostenibile per poter vivere degnamente”. E puntualizza: “Contestiamo che il regolamento prodotto faccia riferimento alla Legge 328, che riguarda i servizi socio-assistenziali: tutto ciò crea delle conseguenze negative sulla tutela del nostro lavoro”.

In riferimento ai miglioramenti promessi ma di fatto mancati, Paola Di Michele ci esplicita alcuni passaggi chiave da danno più beffa. Il problema frequente per queste figure è che se il bambino è assente da scuola non vengono pagate. “Qui siamo proprio peggiorati. In vari municipi del territorio i giorni di paga garantita in caso di assenza del bambino erano cinque, ora con il regolamento si è passati a due per tutti”.

Altri miglioramenti sono solo di facciata: “Dal livello C1 in cui eravamo riconosciuti, unico caso in Italia e che corrisponde alla terza media, siamo passati al D1, che significa educatore senza titolo”. Un’assenza di riconoscimento anche per coloro che i titoli e l’esperienza ce l’hanno eccome.

A tutto ciò si aggiunge un panorama di problematiche da tempo cristallizzate e che non trovano risoluzione, tra cui estate precaria o anche non pagata, lavoro spesso a cottimo, mancato riconoscimento del livello che si traduce in salari più bassi, mancata formazione se non a spese proprie. Tutto ciò ha portato all’esodo di massa che ben conosciamo.

Un sistema tossico che non accenna a diminuire, come testimonia Paola Di Michele: “In Sicilia ci sono casi di persone che girano nelle scuole per fare pubblicità alle cooperative; so anche di casi a Trapani in cui le famiglie hanno fatto assumere i parenti”.

Educatori contrari alle famiglie come garanti dei servizi: “È subordinazione, non si può dare possibilità di scegliere cooperativa”

Paola Di Michele tocca infine un altro punto nevralgico.

“Del nuovo regolamento non accettiamo che le famiglie siano decisori e garanti del servizio. Questo minerebbe il rapporto di alleanza educativa portando a una subordinazione”. E sostiene: “Il genitore in questo modo avrebbe infatti facoltà, anche a fine anno scolastico, di decidere di cambiare cooperativa se non gli sta bene come viene fatto il lavoro. Anche gli insegnanti di sostegno non si possono scegliere, ed è giusto così, non ci possono essere discriminazioni tra lavoratori pubblici e privati”.

Nei nostri articoli su SenzaFiltro non ci siamo mai arroccati su posizioni manichee e consideriamo fondamentale il confronto schietto con i nostri intervistati, sempre preziosi, e allo stesso tempo con il nostro pubblico di lettori e lettrici. Se da un lato riteniamo urgente che ci sia una reale tutela dei lavoratori e un loro giusto riconoscimento, sia nel pubblico che nel privato, dall’altro consideriamo però anche l’importanza di riscontro dei destinatari dei servizi a cui tante volte nei nostri articoli abbiamo dato voce.

Il lavoro non può esistere se non c’è un fruitore: crediamo sia corretto evitare gerarchie, ma allo stesso tempo che sia doveroso che i destinatari di servizi scolastici, educativi, sanitari e non solo abbiano una vera voce in capitolo, e che loro stessi non siano preda di situazioni disagevoli; men che meno vorremmo che le risorse pubbliche vengano disperse in servizi gestiti malamente. Tutelare i lavoratori non significa creare subordinazioni, ma nemmeno accettare o subire quello che passa il convento senza messe in discussione.

Concludiamo così ponendo una domanda focale: in questa Italia che si arrabatta da tempo sui fronti descritti, è così utopico creare un sistema che tuteli i lavoratori e allo stesso tempo i destinatari dei servizi (famiglie, pazienti, utenti) concretizzando la qualità del servizio, e quindi il rispetto dei soldi pagati da tutti noi?

La riflessione è aperta.

Leggi gli altri articoli a tema Sanità.

Leggi il reportage “Lavorare con il nemico“, e il mensile 111, “Non chiamateli borghi“.


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