CCNL Metalmeccanici e settimana corta: plebiscito tra i lavoratori

Sindacati e operai battono un colpo: approvata con consenso quasi unanime la piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale. Tra i punti principali la settimana lavorativa di 35 ore retribuite come 40, aumenti stipendiali e welfare aziendale

24.04.2024
CCNL Metalmeccanici, l'immagine dell'annuncio dell'approvazione della piattaforma tra sigle sindacali

Con un consenso pari al 98,13% dei lavoratori votanti è stata approvata la piattaforma per il rinnovo del CCNL metalmeccanici, in scadenza il prossimo 30 giugno 2024. Bisogna ammettere che i temi condivisi e scelti dai sindacati contano diversi elementi di novità, primo fra tutti la proposta di riduzione dell’orario di lavoro. Tema, quindi, che torna agli onori della cronaca dopo i tanti dibattiti degli ultimi due anni, peraltro spesso conditi da campagne promozionali che nascondevano operazioni di finte rivoluzioni aziendali.

Settimana corta e aumenti: la proposta di rinnovo del CCNL approvata da sindacati e metalmeccanici

Si torna quindi a parlare di settimana corta e stavolta è nientemeno che FIOM, insieme alle altre maggiori sigle nazionali, a cavalcare l’onda, con l’obiettivo di introdurre nel futuro accordo la settimana di 35 ore, pagate 40. Non proprio un giorno in meno ma una sensibile riduzione, che la parte datoriale dovrebbe recepire trasformando i processi produttivi per salvaguardare la fantomatica produttività. Strada tutt’altro che semplice, però già il fatto che se ne parli almeno unilateralmente rappresenta un segno tangibile di cambiamento.

È pur vero, peraltro, che diverse organizzazioni adottano già sistemi simili, in virtù di quanto previsto dagli accordi integrativi aziendali. Pensiamo ai cicli continui, la cui rotazione (necessaria per il mantenimento degli impianti) non garantisce sempre il raggiungimento delle 40 ore ogni settimana; oppure ad altre lavorazioni pesanti che richiedono di andare in quella direzione, come ad esempio in alcune fonderie. Casistiche concrete, magari non strutturate e create per responsabilità sociale, ma che raccontano come in realtà parlarne non sia blasfemia.

L’altro aspetto determinante è rappresentato dalla proposta economica, sintetizzata in un aumento complessivo sui quinti livelli (categoria C3) di 280 euro. Difficile stabilire la congruità della richiesta, però balza di certo all’occhio quanto accaduto nel 2023, quando a fronte dell’applicazione dell’adeguamento ISTAT (pari al 6.6%) l’aumento annuale è schizzato a 124 euro, sempre per i quinti, contro i 27 inizialmente previsti. Una situazione che da un lato ha scatenato il dilemma amletico dei superminimi assorbibili, e dall’altro ha esposto le imprese a un aumento imprevisto legato all’inflazione e concretizzatosi grazie a una specifica postilla contrattuale.

Non che i lavoratori siano diventati ricchi per questo, anzi. I salari italiani rimangono comunque al palo, però il 2023 ha evidenziato un cambio di passo che di sicuro segnerà il dibattito tra le parti sociali nei prossimi mesi, in un rinnovo che si preannuncia tutt’altro che semplice. A maggior ragione perché, a fare da sfondo, ci sono tutti gli argomenti che l’attualità richiama con forza nel contesto storico odierno. Smart working, bilanciamento vita-lavoro, supporto alla genitorialità e welfare in generale. Non ultima la sicurezza sul lavoro.

Interessante constatare un sensibile aumento dei partecipanti alle assemblee, che si sono svolte in ben 6.630 aziende di tutta Italia, con 785.000 lavoratrici e lavoratori chiamati in causa. Di questo gruppo i presenti al voto sono stati 411.320, pari all’87% dei presenti in assemblea. I contrari sono stati appena 7.621, l’1,87%, con 2.858 schede bianche e 920 nulle. Segnali di vita dal fronte sindacale, segnali di vita dal mondo della produzione. Il dibattito è aperto. E la settimana al momento è ancora lunga.

 

 

 

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Photo credits: fiom-cgil.it

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