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Estate: la scuola finisce, ma i genitori lavorano. A chi restano i ragazzi? I risultati di un’indagine ADOC-Eurispes sui costi dei centri estivi in cinque città italiane: Milano, Bologna, Roma, Napoli e Bari. Qual è la più cara, e quali sono le differenze nell’offerta?
La scuola è finita, andate in pace. Anzi no.
Per più di una famiglia è proprio in estate che si apre tutta una serie di problemi logistici senza precedenti. Espletata la sua funzione educativa, la scuola italiana chiude per dodici settimane (in Germania, Francia e Regno Unito si va dalle sei alle otto, per dirne una), lasciando i giovani e giovanissimi studenti in carico ai genitori, i quali, però, nella maggioranza dei casi non hanno modo di prestare loro le cure necessarie: in caso di due genitori lavoratori, anche contemplando ferie “sfasate” – e annullate per curare i propri figli – è impossibile coprire tutto il periodo rimasto scoperto.
Una delle più importanti risorse pedagogiche d’Italia, i nonni, quando presenti sono una risorsa sempre meno utilizzabile: l’allungamento della speranza di vita e la dilazione dell’età pensionabile spesso li mettono in condizioni simili a quelle dei genitori, agli sgoccioli o nel pieno di un impegno lavorativo ancora stringente.
Per i genitori che lavorano resta una sola opzione: i centri estivi, pubblici o privati, che tuttavia riservano tutta una serie di problematiche, fotografata da un’indagine svolta da ADOC (Associazione nazionale per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori) ed EURES. SenzaFiltro se n’è occupato negli anni scorsi e torna sull’argomento per confrontare i prezzi con gli incrementi più recenti del periodo post-pandemico.
La rilevazione ha riguardato le offerte dei centri estivi in cinque città di diverse zone d’Italia: Milano, Bologna, Roma, Napoli e Bari.
La notizia neanche troppo scioccante è che Milano è la città più cara tra quelle sottoposte all’indagine. I centri estivi meneghini chiedono in media 207,7 € alla settimana per l’orario pieno, dalla mattina al tardo pomeriggio, e 163,10 € nel caso di orario ridotto.
A seguire, longitudinalmente, figura Bologna con 109,60 € per l’orario pieno e 86,50 € per quello ridotto – con la precisazione che qui diversi centri sono convenzionati con il Comune, che partecipa alle spese. Segue Roma con 123,10 € per l’orario completo e 87,50 € per il ridotto, per poi arrivare a una situazione più favorevole nel Mezzogiorno con 105,30 € per l’orario completo a Napoli e 76 € per il ridotto. Bari, che può vantare i prezzi più bassi (100 € l’orario completo e 65,40 € il ridotto), presenta anche una peculiarità: lì il 90% dei centri estivi contattati per l’indagine non prevedono orari ridotti, forse per una maggiore disponibilità della rete famigliare.
La media italiana, dunque, è di 140,50 € settimanali per l’orario pieno e 95,80 € per quello ridotto. Una statistica che, per otto settimane, prevede un esborso medio di 1.124 € per una famiglia con un figlio, e di 2.200 €, scontistica inclusa, per chi ve ne iscrivesse più di uno. La cifra scende a 702 €, più 671 € circa per ogni membro aggiuntivo della prole, nel caso in cui il periodo si riducesse a cinque settimane. Oltre la metà del reddito medio di una famiglia, pari a circa 2.734 € al mese.
Diverso il caso dei centri estivi convenzionati, l’accesso ai quali è difficoltoso e sottoposto alla partecipazione a bandi pubblici. Qui, grazie alla partecipazione del Comune di riferimento, i costi scendono in media a 50 € alla settimana, pari circa a 400 € per il primo figlio e 372 € per il secondo e gli eventuali successivi per un periodo di cinque settimane.
La presidente di ADOC Anna Rea e il presidente di EURES Fabio Piacenti concordano nella richiesta di strutture più accessibili su base ISEE ripartite per quartiere, o financo per condomini, nel rispetto delle necessità pedagogiche dei minori, individuando in tale possibilità un potenziale di assunzione di assoluto rilievo nel quadro nazionale.
Photo credits: fantasticamente.org
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