Chi non lavora non va a Sanremo

Per il festival dei record il lavoro non è stato un tema da monologo. Eddy Anselmi: “Un successo ma senza un occhio al mondo di oggi”.

Il lavoro rimane fuori da Sanremo. Non solo dal Festival, ma da tutta la città, dall’Italia intera.

Di certo non ci saremmo aspettati in una delle conduzioni più patinate e “politically correct” della storia del festival proteste di lavoratori in cassa integrazione o che rischiano il licenziamento, ma nemmeno la totale assenza di un tema tanto cruciale per questa Italia, considerando la presenza di monologhi e interventi a favore di parità di genere, razzismo, mafie, disabilità, inclusione e temi più o meno “alti”. Come se il lavoro, con la disoccupazione al 9%, con circa 70 vertenze gravi aperte sul tavolo dei Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, con le serrande di tanti negozi che si sono abbassate nel febbraio 2020 e non si sono più rialzate, rispetto a quelli fosse un tema non sufficientemente idoneo al popolo dei social o, forse, troppo deprimente per la tenuta dello share.

Persino Saviano ha preferito parlare della tragica storia di Rita Atria, la diciottenne ribellatasi alla mafia e morta suicida anni fa, Massimo Ranieri ha dedicato una canzone agli emigranti costretti ad andare all’estero. Cent’anni fa. Eppure sarebbe bastato chiamare un tecnico luci, un tecnico del suono o un organizzatore di concerti, insomma uno di quei lavoratori delle spettacolo che fino a un anno fa erano presenti su tutti i palchi perché appartenenti a una categoria tra le più toccate dal Covid-19. Invece niente. Come se al di fuori della città dei fiori la vita fosse ripresa normalmente con i negozi aperti, i bar pieni e i concerti dal vivo. Ma non è così. I concerti sono pochi e a capienza ridotta, i negozi faticano a tirare avanti e i posti di lavoro sono pochi e sempre meno sicuri. 

Eddy Anselmi, storico del Festival: “All’edizione dei record è mancato un occhio sul mondo di oggi”

A caldo, direttamente dalla chiusura della conferenza stampa finale del festival nella mattinata di oggi, abbiamo chiesto un commento a Eddy Anselmi: giornalista e storico del Festival, cultore di musica e costume, nonché conduttore radiofonico e autore televisivo. Proprio in occasione dell’edizione 2020 De Agostini ha pubblicato il suo ultimo lavoro: Il festival di Sanremo. 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate. Suo è anche l’Almanacco Panini del Festival.

“Al festival dei record è mancato un occhio sul mondo di oggi, in particolare un occhio alle tematiche di attualità, alle tematiche sociali. Sì i monologhi, sì il racconto generale: il festival di certo non ha potuto prescindere dal mondo in cui viviamo ma lo spazio dove non ha quasi lasciato traccia è stato l’ambito delle canzoni: tutte hanno parlato d’amore o di rapporti personali e bisogna leggere con la lente di ingrandimento i testi per potersi accorgere che lo spirito dei tempi, anche quando lo lasci di proposito accidentalmente fuori dalla porta, rientra dalla finestra. La canzone dei La rappresentante di lista, “Ciao ciao”, snoda una storia d’amore, e una voglia di disimpegno, sul sottofondo di una prossima fine del mondo probabilmente in relazione all’emergenza climatica di cui tanto si parla in questi mesi, in questi anni. Anche il pezzo di Dargen d’Amico, “Dove si balla”, non può che fare riferimento alle mascherine, alla nostra storia che va a farsi benedire, a un mondo – quello dell’intrattenimento nei locali da ballo che per troppo tempo in questo biennio di pandemia è stato lasciato ai margini dall’azione politica – considerato quasi superfluo. Lo stesso autore lo ha ricordato chiaramente durante la serata finale del festival che quello è un lavoro serio, che si tratta di un indotto, si tratta di famiglie, si tratta di un importante settore dell’economia del Paese.

L’altro tema – il “fateci lavorare, abbiamo bisogno di tornare dal vivo” – è stato comunque avvertito: certo meno dell’anno scorso dove Lo stato sociale aveva messo in scena durante la serata delle cover una performance che ricordava proprio l’apertura dei teatri ma alcuni lo hanno provato a fare anche in questa edizione. Cesare Cremonini ha detto “Erano due anni che non mi esibivo dal vivo”, sottolineandolo proprio davanti a un teatro Ariston strapieno per l’occasione. Sanremo è servito per dare al Paese uno spettacolo con un 65% di share: il punto è che non si raggiungevano da anni simili ascolti sul totale della televisione ma sappiamo che è fortemente diminuita la platea televisiva, soffrono le altre televisioni generaliste, lo share è un concetto che andrebbe spiegato meglio e con più cura ma questa è una divagazione che non ha nulla a che fare col ragionamento iniziale. Comunque lo show di grande successo c’è stato e va riconosciuto. Quando Amadeus ha trasformato l’Ariston in un locale da ballo forse in molti avranno pensato “allora è il momento, forse la guerra è finita”. Magari è stato un modo delicato, naturale, non clamoroso per dircelo”.

Però l’Italia non ha bisogno di mezze risposte da intuire, ha bisogno di chiarezza, e mentre si diverte a votare da casa il vincitore del Festival di Sanremo 2022 magari vuole anche sapere da che parte sta andando il suo lavoro, i suoi italiani, i suoi diritti messi ingiustamente sul banco d’accusa in nome di un’emergenza a cui la maggior parte di noi non crede più. Un’Italia a cui non basta lo share dei record.

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