Come ti smonto Confindustria: il contratto degli alimentaristi che rischia di detronizzare Bonomi

La questione del contratto degli alimentaristi ha provocato una rivolta senza precedenti all’interno di Confindustria: i sindacati incassano, a rischio la presidenza di Carlo Bonomi. Ne parliamo con Ivano Gualerzi e Sara Palazzoli della CGIL.

Nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, malgrado la sonora sconfitta personale e politica subita lo scorso anno a proposito del contratto nazionale di lavoro degli alimentaristi (che abbiamo raccontato nel numero di dicembre 2020 e che torniamo a raccontare con alcuni particolari poco enfatizzati dai media al momento della rottura), ha azzardato un nuovo diktat che pare abbia fatto breccia a Palazzo Chigi.

Si tratta del blocco dei licenziamenti, che secondo i sindacati dovrebbe essere prorogato gradualmente fino a ottobre, mentre secondo il presidente di Confindustria dovrebbe cessare immediatamente. Carlo Bonomi ha lanciato un guanto di sfida, certo di ottenere il plauso degli industriali; ma sarà davvero così o si ripeterà una rottura del fronte confindustriale?

La questione è ancora aperta e vedremo chi la spunterà, ma nella comunità degli affari si pone un problema assai serio. Un imprenditore del Nord che preferisce l’anonimato commenta gelido: “Dopo l’esito del contratto degli alimentaristi che ha visto l’80% delle associazioni industriali disattendere la linea della presidenza di Confindustria, si pone un problema di rappresentanza e di credibilità dell’attuale capo dell’associazione”.

Il caso del contratto alimentaristi che ha visto Confindustria sconfitta e divisa

Parole durissime che ci costringono a tornare sul caso del contratto alimentaristi, che gli stessi sindacalisti definiscono “clamoroso e inedito”.

Il 31 luglio del 2020 viene firmato dalle confederazioni sindacali il contratto nazionale degli alimentaristi. Dall’altra parte del tavolo ad apporre la firma non c’è Federalimentare, che rappresenta Confindustria, ma c’è la gran parte delle associazioni industriali che rappresentano il settore alimentare, come Union Food (alla quale aderiscono i grandi gruppi alimentari come Barilla e Ferrero e le multinazionali del food, come ad esempio Unilever), ANCIT e Assobirra. Tra gli irriducibili contrari alla firma c’è Assocarni. In sostanza “disobbedisceai voleri di Bonomi l’80%, se non il 90%, del settore alimentare.

Gli uomini di Bonomi, increduli di fronte a un esito tanto traumatico, accusano il colpo della inedita frattura. Maurizio Stirpe, vicepresidente della Confindustria e fedelissimo di Bonomi, firma un comunicato di fuoco che non ha bisogno di commenti: “Non era mai successo che a sottoscrivere l’intesa fossero solo tre associazioni titolari del CCNL e, quel che rende il fatto ancora più grave, in assenza di Federalimentare”. “Proprio per evitare che si arrivasse a tanto – continua – più volte ho manifestato a Federalimentare disponibilità a intervenire, personalmente e direttamente, per favorire un chiarimento e una ricomposizione tra tutte le associazioni e la federazione e, da ultimo, ho scritto a tutti voi richiamandovi al rispetto degli accordi interconfederali per scongiurare il pericolo che si arrivasse a sottoscrivere impegni non coerenti con quelli concordati da Confindustria”.

Gli impegni imposti senza successo da Carlo Bonomi erano un aumento salariale più basso, (80 euro e non 119 euro come stabilito dal contratto) e un trattamento dei fondi pensione unilaterale che avrebbe dovuto coinvolgere di meno i lavoratori. Un diktat caduto nel vuoto che lo spiritoso presidente di Confindustria aveva definito una “rivoluzione”.

Ancora più clamorosa è la lettera che gli industriali firmatari dell’accordo inviano alle confederazioni sindacali in piena trattativa: “È emersa l’esigenza di trovare il necessario equilibrio che tuteli lavoratori ed imprese (…) chiediamo un incontro con l’auspicio di finalizzare un accordo negoziale nell’interesse dei lavoratori e delle imprese”. Una dichiarazione di guerra al presidente della Confindustria Carlo Bonomi che lo costringerà a ingoiare il rospo senza più commenti sulla sua “rivoluzione” mancata e un caso senza precedenti.

Ivano Gualerzi e Sara Palazzoli, CGIL: “Confindustria ha perso. Deve rivedere la sua rappresentanza”

Ne abbiamo parlato con Ivano Gualerzi, protagonista di quella singolare trattativa e attualmente passato all’organizzazione della CGIL con Sara Palazzoli, segretaria nazionale con delega al settore alimentare.

“Direi che una rivoluzione c’è stata”, commenta ironico Gualerzi, sindacalista CGIL reduce dalla trattativa. “Sul frontespizio del contratto nazionale che abbiamo firmato a luglio dello scorso anno per la prima volta non c’è la sigla di Federalimentari. Le posso assicurare che non era mai successo e ora la preoccupazione dei vertici della Confindustria è che possa succedere in altri settori. È evidente che i gruppi industriali che hanno firmato hanno scelto di pagare un po’ più salari in cambio di una bassa conflittualità”.

Ma mi spiegate perché il presidente della Confindustria ha preferito pagare il prezzo di una rottura del fronte industriale piuttosto che firmare un aumento salariale in un settore che in alcuni casi è stato favorito dalla pandemia?

“È una domanda che ci siamo posti anche noi”, commenta Sara Palazzoli. “Probabilmente il presidente di Confindustria non prevedeva che sarebbe andato incontro a una sconfitta così cocente. La sua è stata una scelta politica forse legata alla conflittualità con il governo precedente. Sta di fatto che Confindustria ha perso. Anche perché il sindacato si è presentato unito ai tavoli della trattativa, mentre la controparte era divisa: pensi soltanto al fatto che abbiamo fatto la trattativa in tre sale separate”.

Quali insegnamenti avete tratto da questa vicenda? Ivano Gualerzi non ha dubbi: “Ha ragione l’imprenditore che mi citava all’inizio della nostra conversazione, da questa vicenda, lo ripeto inedita e che meritava un clamore maggiore: emerge il tema della rappresentanza. Il nostro segretario Maurizio Landini pone da tempo questo tema, e oggi, alla luce di quello che è avvenuto con il contratto alimentaristi, quella è una questione non più rinviabile, non soltanto per il sindacato”.

Sara Palazzoli chiude con una considerazione sul futuro: “Se i vertici di Confindustria non abbasseranno l’ascia di guerra sul tema del lavoro, fenomeni come questi si ripeteranno”.

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