Condizionalità sociale: l’agricoltura europea chiude i rubinetti ai caporali

Fondi solo alle imprese in regola e restituzione obbligatoria in caso di infrazioni: l’Europa si muove contro il caporalato, fenomeno diffuso in ogni Stato dell’UE. Ma non tutti sono d’accordo.

Rispettare le norme e i contratti di lavoro per ottenere i contributi dell’Unione europea. È il principio sancito con la condizionalità sociale inscritta nel nuovo regolamento della Politica Agricola Comunitaria (PAC) per volontà dell’Europarlamento e con l’intento di introdurre un altro strumento finanziario di contrasto al caporalato e al lavoro nero/grigio, utile anche a ridurre la concorrenza sleale sofferta dalle imprese che operano legalmente.

In estrema sintesi: le aziende agricole che percepiranno contributi finanziari dall’Unione europea dovranno rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori e i contratti collettivi se non vorranno essere obbligate a restituire le somme ottenute.

E nessuno si meravigli che, dopo quindici anni di discussioni sollecitate dai sindacati e dalle organizzazioni che si occupano di diritti sociali, l’UE abbia deciso di mettere all’ordine del giorno il tema della legalità nei campi: non c’è Stato membro che non debba fare i conti con ampie o ampissime aree di illegalità e con la gestione criminale e mafiosa del reclutamento di manovalanza sottocosto.

Se non sei in regola, niente fondi: l’Europa si muove contro il caporalato

Secondo il VII rapporto GRETA, sulla lotta contro la tratta di esseri umani, “il lavoro sommerso in agricoltura interessa in media il 25 % dei lavoratori europei, con una maggiore concentrazione nei Paesi del Mediterraneo e dell’Est Europa”. In Romania la percentuale sale al 40%, in Portogallo arriva al 60%, nell’area del Mediterraneo è saldamente al 30%. Poi ci sono i cantieri di Francia, Belgio e Germania affollati da irregolari, le strutture turistiche dei centri balneari e delle stazioni sciistiche in cui è diffusa l’area grigia della stagionalità, e perfino la grande industria del Nord Europa contribuisce ad alimentare un “sistema illegale organizzato che muove centinaia di migliaia di lavoratori provenienti dalla parte più povera dell’Unione europea”.

Lo afferma Leonardo Palmisano, autore e editore d’inchieste e indagini su questo fenomeno, sottraendo all’Italia anche l’esclusività della gestione mafiosa: “La mafia rumena, quella bulgara e quella albanese utilizzano i propri canali di traffico anche per spostare braccia da un Paese all’altro”.

Proprio i Paesi dell’Est Europa, con alcuni del Nord, si sono finora opposti alla condizionalità sociale. Da ultimo l’hanno ribadito il 26 maggio scorso, quando si è riunito il Trilogo (composto dalle rappresentanze di Parlamento, Consiglio dei ministri e Commissione) ed è emersa la spaccatura tra i quattordici Stati favorevoli – guidati da Italia, Francia, Germania e Spagna – e i tredici contrari: “Nazioni per lo più governate dalla destra, animata anche da un senso di rivalsa nei confronti dei diritti sociali, spaventate dalla riduzione della mobilità di lavoratori, vitale per evitare l’esplosione di conflitti sociali interni”. È la considerazione di Pietro Ruffolo, responsabile delle Politiche europee della FLAI CGIL e vicepresidente della Federazione europea dei sindacati del cibo, dell’agricoltura e del turismo (EFFAT).

Proprio la Federazione è la prima firmataria della lettera sottoscritta da oltre 150 organizzazioni nazionali e continentali con cui si chiede ai vertici dell’UE il riconoscimento di “diritti, giustizia sociale e dignità sul lavoro” per “almeno dieci milioni di persone impiegate nell’agricoltura europea, principalmente come lavoratori stagionali, lavoratori a giornata o in altre condizioni di precarietà”, che soffrono “condizioni di lavoro disumane, salari bassi, lunghe ore di lavoro, un’alta percentuale di lavoro nero e alloggi al di sotto degli standard” e “cadono spesso preda di uno sfruttamento diffuso, comprese le pratiche dei caporali e altre forme di schiavitù moderna”.

Condizionalità sociale, le ragioni di chi è contrario: troppa burocrazia

Lo scudo sollevato a difesa dello status quo è “l’allungamento dei tempi burocratici a causa dei controlli da effettuare per verificare che le imprese abbiano operato legalmente”, spiega Ruffolo. Motivazione condivisa dalle organizzazioni di rappresentanza delle imprese, comprese quelle che sostengono la condizionalità sociale come Coldiretti: “I principi che la ispirano sono per noi riferimenti valoriali irrinunciabili per uno sviluppo equilibrato e sostenibile dell’agricoltura – afferma Romano Magrini, responsabile lavoro di Coldiretti – però dobbiamo evitare qualsiasi onere amministrativo aggiuntivo applicando norme e sistemi di controllo esistenti nei singoli Stati membri”.

Un argomento recepito dal nuovo testo normativo, tant’è che “l’unica novità che de facto viene a crearsi è un collegamento tra i controlli nazionali effettuati sulla base delle normative del diritto del lavoro esistenti e gli organismi pagatori che erogano i contributi PAC agli agricoltori”, spiega Pina Picierno, parlamentare del gruppo Socialisti e Democratici e componente della Commissione Agricoltura. “Nessuno dovrà espletare un’ulteriore pratica amministrativa, e manteniamo una PAC semplificata pur garantendo la distribuzione dei pagamenti a chi rispetti i diritti”.

“Oltre alla protezione dell’ambiente dobbiamo pensare a quella delle persone per avere una PAC sostenibile in tutti i sensi”, continua Picierno. “Con questa nuova norma avremo una concorrenza leale tra tutti gli agricoltori, e i pochi che se ne approfittano non riceveranno più i fondi europei”.

Che cos’è e come si entra nella rete del lavoro agricolo di qualità

La discussione sulla condizionalità sociale è, infatti, intrecciata a quella su “una nuova distribuzione dei pesi tra grandi strutture di produzione e vendita e piccole imprese agricole”, altro tema sottolineato da Pietro Ruffolo e oggetto di trattative in sede comunitaria. A sentire Romano Magrini, “chi si pone fuori dal sistema delle regole va penalizzato, per questo crediamo che nei rapporti di filiera sia decisiva anche l’attuazione nazionale della Direttiva Ue contro le pratiche sleali, che vieta alcune pratiche distorsive che penalizzano soprattutto gli agricoltori”.

Ipotizzando che la norma sia approvata e con alle spalle l’esperienza della legge italiana contro il caporalato, Yvan Sagnet, fondatore dell’associazione NoCap, individua uno strumento utile all’efficacia della condizionalità sociale nella effettiva costruzione della rete del lavoro agricolo di qualità.

“Possiamo e dobbiamo denunciare gli abusi e svolgere azioni repressive”, afferma. “Ancor più dobbiamo prevenire e rendere operativa la rete, che è la chiave di volta, individuando i soggetti gestori e apportando alcune modifiche ai requisiti necessari per farne parte”. Oggi, in sostanza, l’adesione si fonda sulla fotografia storica dell’azienda: se non ha commesso violazioni, può essere inserita nella rete; “ma il passato può essere diverso dal presente – sottolinea Sagnet – e avere le certificazioni penali in ordine non sempre vuol dire che l’azienda è realmente sana”.

Alla rete del lavoro agricolo di qualità fa riferimento anche Leonardo Palmisano, ipotizzando “corsie preferenziali nell’attribuzione dei fondi del Programma di Sviluppo Rurale regionale, perché l’eticità deve sostanziarsi in un vantaggio economico”. Per ottenere questo obiettivo bisogna superare “la debolezza delle organizzazioni di rappresentanza delle imprese agricole, comune a qualunque altro corpo intermedio, la frammentazione delle imprese stesse e la convinzione che sia utile la concorrenza al ribasso”, continua Palmisano. “Abbiamo bisogno di più orizzontalità dei processi di programmazione a livello territoriale per allargare la condivisione dei valori, anche economici”.

In fondo, conclude l’autore pugliese, con la condizionalità sociale “non si vuole mica imporre il socialismo, piuttosto si vuole dare valore al lavoro e alla qualità”.

Photo by Bence Balla-Schottner on Unsplash

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