Disabilità e occupazione: “Emilia-Romagna e Lombardia non assumono tutti i disabili che potrebbero”

Affrontiamo un tema che porta i lividi di numerose contraddizioni: disabilità e occupazione. In Italia il riconoscimento della tutela dei diritti delle persone disabili abbraccia documenti di alta importanza: dalla Costituzione alla Convenzione Onu, ratificata nel 2009, dove in particolare l’articolo 27 è dedicato a lavoro e occupazione. Siamo passati dal cosiddetto collocamento obbligatorio a […]

Affrontiamo un tema che porta i lividi di numerose contraddizioni: disabilità e occupazione.

In Italia il riconoscimento della tutela dei diritti delle persone disabili abbraccia documenti di alta importanza: dalla Costituzione alla Convenzione Onu, ratificata nel 2009, dove in particolare l’articolo 27 è dedicato a lavoro e occupazione. Siamo passati dal cosiddetto collocamento obbligatorio a quello mirato: significa che viene progettato un percorso personalizzato a partire dalle capacità della persona con disabilità per arrivare a un inserimento che soddisfi sia le sue esigenze sia quelle dell’azienda.

Esistono anche dei range da rispettare. Le imprese dai 15 ai 35 dipendenti hanno l’obbligo di assumere almeno un disabile, mentre quelle dai 36 ai 50 almeno due. Le aziende con più di 50 devono riservare alle assunzioni dei disabili la quota del 7% del totale dei dipendenti. Chi non rispetta la normativa subisce sanzioni.

Fin qui tutto chiaro. Ma ci chiediamo: qual è la situazione attuale a livello occupazionale per le persone con disabilità? Esiste uno scollamento tra la normativa e la sua applicazione? Abbiamo preso in esame le due regioni italiane più feconde dal punto di vista delle opportunità lavorative, la Lombardia e l’Emilia-Romagna, che oggi sono anche le più colpite dal coronavirus. C’è da chiedersi come sapranno reagire a questa nuova emergenza, ma è ancora presto per capirlo, anche perché non è semplice chiedere e ottenere informazioni in questo periodo.

 

La testimonianza di Ledha: in Lombardia quasi in 50.000 disabili pronti a lavorare, ma solo 7.000 le assunzioni

Abbiamo interpellato Alessandro Manfredi, presidente dal 2018 di Ledha – Lega per i diritti delle persone con Disabilità. Con sede a Milano, da ben quarant’anni Ledha offre servizi gratuiti di ascolto, consulenza e informazione dedicati alle persone disabili e alle loro famiglie. Non mancano attività di sensibilizzazione, coordinamento delle associazioni, e non da ultimo un costante dialogo con le istituzioni per rispondere a questioni urgenti.

Partiamo da una premessa importante: tutte le imprese che devono rispondere alla legge vengono censite, il problema è che non tutte adempiono tramite l’assunzione, come ci spiega subito Manfredi. “La legge permette un regime di esenzione. Ossia: le imprese che ritengono di non essere nelle condizioni di assumere pagano una quota che concorre a costituire un fondo regionale, utilizzato per sviluppare politiche a sostegno dell’inclusione lavorativa. L’altra possibilità consiste nello stipulare una convenzione con gli uffici del collocamento mirato per definire un arco di tempo in cui poter gestire l’obbligo di assunzione”.

Secondo i dati forniti da Regione Lombardia, al 31 dicembre 2018 risultano scoperti ben 23.108 posti di lavoro in azienda da destinare all’inserimento di lavoratori e lavoratrici disabili. Si registrano al contempo 47.835 persone disabili iscritte al collocamento mirato: un dato di sedimentazione che comprende anche gli iscritti di anni precedenti, se pensiamo che solo nel 2018 si contano 12.531 nuovi iscritti. Tutte persone che stanno cercando lavoro. Nell’arco dell’anno menzionato sono state 7.195 le assunzioni avviate. Numeri alla mano, si evince che i posti disponibili in Lombardia non sarebbero stati sufficienti a priori per il totale degli iscritti al collocamento. In ogni caso svetta un dato rilevante: 23.108 posti in azienda avrebbero potuto consentire l’inserimento di altrettante persone con disabilità e invece non l’hanno fatto. Stiamo parlando di persone ormeggiate in situazioni di disoccupazione o anche di inoccupazione.

“Gli avviamenti realizzati sono molto inferiori rispetto alle potenzialità e necessità rilevate”, evidenzia il presidente di Ledha. “Riguardo alle assunzioni avviate, 5.685 sono state effettuate da aziende in obbligo di assunzione e 1.510 da aziende non in obbligo. Si tratta di imprese, in quest’ultimo caso, che hanno assunto personale con disabilità non per dovere, ma per libera scelta, riconoscendo le potenzialità. Un aspetto positivo”.

 

Disabilità e occupazione: opzioni e numeri da paradosso. Uno sguardo all’Emilia-Romagna

A gravare sulla questione c’è una grande contraddizione. Se più di ventitremila posti non sono stati destinati all’occupazione significa che diverse aziende, anziché assumere persone con disabilità, hanno scelto di destinare il contributo al fondo regionale, che nel caso della Regione Lombardia ammonta annualmente a circa 50 milioni di euro. Il fondo, va sottolineato, è costituito solamente dai contributi delle aziende che hanno optato per l’alternativa, e viene utilizzato nientemeno che per le cosiddette politiche di sostegno al lavoro e per attivare, ad esempio, tirocini in azienda per giovani e adulti con disabilità.

A questo punto chiediamo: non è un paradosso evitare l’assunzione nella propria azienda e al contempo sostenere economicamente esperienze lavorative a tempo determinato in altre? “Sicuramente lo è”, sottolinea Manfredi. “Bisognerebbe però verificare le ragioni specifiche. Ci possono essere situazioni di crisi aziendale o altri motivi”. Voi di Ledha avete mai avuto un confronto diretto con qualche referente di queste aziende che hanno optato per il versamento, giusto per capire le motivazioni alla base? “Finora non è mai accaduto. Proprio riguardo a questo aspetto stiamo sollecitando le province, alle quali vengono destinati i fondi di cui parlavamo prima, per aprire un tavolo di confronto con le associazioni di categoria delle aziende, permettendoci così di entrare nel merito della questione”.

Sul tema abbiamo voluto tastare il terreno di un’altra regione ricca di imprese: l’Emilia-Romagna. Nell’ultimo quinquennio il fondo regionale per la disabilità regionale ha stanziato circa 60 milioni di euro, la maggior parte dei quali utilizzati per il collocamento mirato, l’istruzione e la formazione professionale. Ma 25.000 sono le persone con disabilità ancora in cerca di occupazione, mentre 7.000 i posti scoperti in ambito aziendale.

 

L’assenza di lavoro proietta l’ombra dell’assistenzialismo. La questione dei costi di assunzione

Porte che faticano ad aprirsi, e altre che si schiudono solo per brevi periodi di tempo. Si diventa allora come equilibristi sul filo, per i quali l’occupazione stabile risulta una missione impossibile. In molti casi si piomba nel risvolto dell’assistenzialismo. Le ricadute sono variegate, e non pesano solo sulla persona con disabilità e sul microcosmo della famiglia, ma anche sulla società.

“Chi resta senza occupazione viene mantenuto dalla propria famiglia”, spiega Manfredi. “Sono tanti i casi di genitori, ai quali andrebbe fatto un monumento, che si fanno carico dei propri figli con disabilità fino alla fine. L’alternativa è l’inserimento in strutture residenziali che spesso hanno costi molto elevati”. Una stima? “Al netto parliamo di circa 3.000 euro a persona al mese. Gli enti locali rivelano che questo rappresenta uno dei principali oneri che grava sulle spalle delle finanze pubbliche. L’altra parte viene assorbita dalle regioni tramite il sistema dell’accreditamento”.

Da un lato la legge, dall’altro il lavoro che arranca o che proprio non si trova. E così lo scollamento tra diritti e loro tutela si allarga. Ricordiamo che non esiste un sindacato esclusivo per chi ha una disabilità, anche perché si cadrebbe in contraddizione creando una sorta di mondo a parte. Quando possibile, vengono gestite delle contrattazioni.

Emerge poi un aspetto focale: per le imprese assumere una persona costa di più rispetto al contributo previsto per il fondo regionale. Ritorna così a gran voce un tema dibattuto da anni in Italia: quello dei costi di assunzione. Non possiamo non considerare situazioni di intrinseca difficoltà all’interno dell’impresa, riconosciute dalla normativa stessa. Resta però lecito chiedersi se le alternative all’assunzione nella maggior parte dei casi siano davvero dettate da cause di forza maggiore di carattere economico, o se l’assunzione di una persona con disabilità sia frenata da timori e pregiudizi, tanto da spingere verso le alternative. O ancora: se l’ottica del risparmio a tutti i costi perseveri nel divorare l’ambito imprenditoriale.

Un sondaggio rispetto a questa scelta operata dalle aziende non è ad oggi reperibile, ma resta quanto mai necessario. Non solo per proporre soluzioni concrete, ma anche perché le decisioni hanno un costo; un costo salato, che coinvolge sia diretti interessati sia la società in generale. A discapito del presente e del futuro.

 

 

In copertina un lavoratore della cooperativa CIM a Bologna

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